La Formula Regional è ormai un format affermato globalmente, una categoria intermedia tra la Formula 4 e la Formula 3 che negli anni ha lanciato moltissimi piloti nel panorama del professionismo. In pochi anni, il sistema delle Formula Regional si è espanso a macchia d’olio arrivando ad avere serie in quasi tutti i continenti.
L’idea, presentata nel 2017, mirava a unificare la miriade di formule propedeutiche europee sotto un unico nome e campionato, anche nell’ottica di creare una scala solida e stabile dalla F4 alla F1. Negli anni, la Formula Regional europea per prima ha ricoperto il ruolo di canale di passaggio verso i campionati mondiali, formando diversi piloti di successo.
Sulla scia del campionato europeo, sorgono quello statunitense, mediorientale, giapponese e perfino la Toyota Racing Series, importante categoria cadetta neozelandese, viene rebrandizzata come Formula Regional Oceania. Eppure, con il conflitto con la Formula 3 e la rinascita di campionati “privati”, il sistema delle Regional appare in crisi.
Come nasce la Formula Regional?
A metà dello scorso decennio, i campionati propedeutici erano moltissimi. Ogni federazione nazionale (o privata) aveva il suo campionato a ruote scoperte per preparare i piloti al grande salto. Tra questi, alcuni brillavano più degli altri: erano gli anni d’oro della Euroformula Open, mentre in Oceania la Toyota Racing Series ospitava futuri piloti di Formula 1 e negli Stati Uniti l’Indycar andava affinando il suo sistema di formazione di giovani piloti tramite le formule minori.
In questo clima, la FIA si pone il problema di unificare almeno alcune di queste categorie in un unico format adattabile in tutto il mondo. Così nasce l’idea delle Formula Regional. Nelle intenzioni iniziali, ci sarebbe dovuto essere un campionato per ogni continente, da cui poi i migliori piloti sarebbero passati in Formula 3. Al primo campionato, quello europeo, si iniziano lentamente a sommare tutti gli altri.
Ma, come scrive Umberto Eco, per capire le regole bisogna partire dall’uso che se ne fa. Analizzando la città di Brasilia, infatti, nota che al progetto iniziale si sono sommati, nel tempo, quartieri che non erano previsti sorti in aree che gli architetti non avevano nemmeno considerato. Così accade con le Regional. All’idea di “una serie per ogni continente” si sovrappongono campionati localizzati, alcuni di successo e altri che invece durano poche gare. Ad un campionato giapponese che riesce a trovare iscritti, infatti, si contrappone un campionato indiano che nonostante le buone intenzioni verrà cancellato quasi subito.
Lotte di potere
All’aumento del numero di campionati, nascono i conflitti sia con le serie superiori sia con quelle parallele. Negli Stati Uniti, la competizione diretta con l’Indycar si sente da subito. In un Paese dove la Formula 1 sta cercando un nuovo mercato, è necessario confrontarsi con il campionato a ruote scoperte per eccellenza nel Nuovo Mondo, quello per cui si corre la Indy 500. La Formula Regional Americas, così, si trova a dover battere l’Indy Lights. Proprio in quel periodo, Roger Penske si inizia a occupare di solidificare la serie come via privilegiata d’accesso alla Indy 500, ribattezzandola Indy NXT e potenziandone l’esposizione mediatica. La Formula Regional Americas funziona e trova una sua nicchia, ma resta percepita come un campionato meno valido rispetto al corrispondente a stelle e strisce.
Il secondo conflitto, invece, è interno al format. Per decenni c’è stato un singolo campionato invernale dove mettersi in mostra: la Toyota Racing Series. Da alcuni anni, nel frattempo, i paesi arabi hanno trovato proprio nei campionati invernali la nicchia in cui inserirsi. Così, ad una Toyota Racing Series che nel frattempo si trasforma in Formula Regional Oceania, si contrappone una Formula Regional Middle East. Il Medio Oriente si avvantaggia della sua posizione geografica: i piloti europei lo scelgono. La cultura motoristica di Australia e Nuova Zelanda, però, è tale da permettere alla serie oceanica di sopravvivere anche solo con piloti locali. Tra loro emergono comunque alcuni giovani talenti.
Il terzo e più importante duello però si ha con la Formula 3. Nata da un rebranding della GP3, doveva essere la terza serie FIA, l’ultima intercontinentale. Di fatto, almeno fino ad ora, è sempre stata un campionato europeo. Proprio a causa di un calendario incentrato sul Vecchio Continente, presto i piloti iniziano a desiderare di salire più in fretta in F3, saltando la Regional che nel tempo diventa sempre più “accessoria”. In questo processo, le Academy e i manager hanno un ruolo fondamentale nel cercare di portare i giovani piloti alla Formula 1 il più velocemente possibile.
La Formula Regional sta morendo?
Se dovessimo rispondere brevemente a questa domanda, si potrebbe argomentare che tutte le formule cadette, per definizione, sono destinate a rimodellarsi e reinventarsi continuamente per adattarsi alle categorie maggiori. Di conseguenza, la Formula Regional prima o poi dovrà per forza lasciare spazio a nuovi format.
La vera domanda da porsi è se il sistema delle Regional è sostenibile. A distanza di sette anni dall’annuncio, si sta riproponendo una situazione analoga a quella di partenza. Le serie FIA, infatti, non riescono a soddisfare la domanda. Questo favorisce la creazione di campionati esterni con regolamenti paragonabili e la competitività interna per portare i nomi migliori nella propria “regione”.
Alla lunga, la combinazione di questi due fattori ha portato alla percezione delle Regional come elementi di disturbo più che di formazione. Sicuramente parliamo ancora di campionati rilevanti, che molti scelgono comunque di correre, ma se confrontiamo la situazione attuale ai primi anni, è chiaro che la spinta unificatrice della Formula Regional sta andando a spegnersi.
Ci vorranno probabilmente diversi anni prima di essere obbligati a rivedere queste strutture, ma, memori delle esperienze passate, possiamo dire che siamo poco dopo l’intervallo di un film già visto.