Non si può definire celebre l’indagine per frode fiscale e riciclaggio in Formula 1, ma se nel 2018 avete aperto un giornale o acceso la TV, ne avrete sicuramente sentito parlare. F1 inchiesta
Le radici della questione
Tutto inizia a Monza, nel 2012, quando la Procura della Repubblica di Monza apre un’indagine sul riciclaggio nel circuito italiano. In breve tempo le ricerche portano a scoprire una rete di riciclaggio nazionale, ma questa è solo la “punta dell’iceberg”.
Ben presto, infatti, gli investigatori capiscono che lo schema illegale viene riprodotto in ogni (o quasi) Stato che ospiti un Gran Premio di Formula 1.
L’indagine si divide in vari settori: il primo vede indagata la società padrona dell’autodromo di Monza, la SIAS. In secondo luogo, iniziano le investigazioni sul riciclaggio tramite fondi in nero, nascosti da quasi cento società fantoccio. Infine poi, la terza e più grande indagine: capire se la rete di riciclaggio venga attuata sul piano internazionale. La risposta è affermativa.
Il caso Bianchi
I primi sospetti sulla vera dimensione del caso, nascono nel 2013. Nel mirino dell’indagine c’è Jules Bianchi, pilota della Marussia, che in questa stagione porta sul casco il logo di un grande brand italiano. Il colosso industriale risulta aver pagato 1 milione e 25 mila euro per il piccolo sticker: una cifra spropositata, se si pensa al ruolo minore della Marussia in F1 e che Bianchi è un outsider. Il prezzo esorbitante si scopre essere dovuto a una serie di contratti con società fantoccio con sede in Inghilterra.
Il caso è sempre più inquietante: si contano 80 milioni di euro coinvolti nella rete di riciclaggio, 24 procure sotto inchiesta e 82 indagati.
Cosa succede in Italia
L’inchiesta prosegue per diversi anni e nel 2017, a Monza, viene arrestato Alberto Bernardoni, con l’accusa – riportata da diversi testimoni – di essere stato lui a promettere a più piloti guadagni illeciti.
Piloti? Sono, quindi, in molti ad essere coinvolti e non solo Bianchi? Esatto. Le indagini vedono indagati Fisichella, Jarno Trulli, Glock e Massa. Bianchi, in seguito al tristemente famoso incidente di Suzuka nel 2014, perde la vita, proprio nel bel mezzo delle indagini.
Viene interrogato anche Nicolas Todt, in quanto manager dei due piloti Marussia nel 2013, ma negherà qualsiasi tipo di legame con lo schema di riciclaggio.
L’inchiesta internazionale fallisce
Come finisce la storia? Ottima domanda! La storia non finisce, non del tutto almeno.
Le ricerche portano a scoprire una serie di fatture emesse dalle società fantoccio a Red Bull e Puma, e a manovrare quei conti risultano essere persone molto vicine al vertice della Formula 1 del 2016. I risultati di queste indagini portano all’interrogatorio di Ecclestone, capo supremo del Circus ai tempi, ma poi tutto si ferma.
In Italia il caso è stato risolto, con Bernardoni e altri cinque imprenditori italiani arrestati, chiudendo così i primi due rami dell’inchiesta. La terza branca però viene congelata, anche a causa del passaggio di potere in F1, da Ecclestone a Liberty Media.
Il 12 aprile 2018 un gruppo di investigatori entra nel paddock di Monza poco prima della corsa GT Series Endurance Cup, interrogando piloti e manager. Le informazioni raccolte non sono positive: una nuova rete di riciclaggio sembra che stia già nascendo.
Si giunge ad un punto morto: il terzo filone d’inchiesta non è mai stato chiuso e il caso internazionale si è rivelato essere troppo vasto e profondo da gestire.