“Nasce tutto da un’esigenza: la mia, che, però, può essere anche quella di qualcun altro. D’altronde, siamo tutti esseri umani: diversi, ma simili“. Questo ha spinto Carolina Tedeschi ad aprire il suo canale F1WithCarolina, il suo palcoscenico e trampolino di lancio in cui racconta la Formula 1 con il sorriso e spigliatezza che hanno caratterizzato anche la nostra chiacchierata.
Una visione fresca, brillante e la determinazione sono gli ingredienti della sua crescita ed entrata tra i professionisti di questo sport. Un sogno che si realizza per lei, un esempio per noi giovani.
Carolina e il motorsport: passione e lavoro guardando ai giovani
Cosa ti ha spinto ad avvicinarti al Motorsport e alla Formula 1?
Allora, in realtà non è che questo mondo lo odiassi; da piccola non lo apprezzavo sicuramente. Sono cresciuta in una famiglia all’interno della quale hanno tutti corso: mio fratello ha corso sui go-kart per 9/10 anni, mio cugino, che è molto più grande di noi, correva in Formula 3000, e quando era giovane mio zio era campione italiano di motocross. Quindi tra le due e le quattro ruote questa passione l’ho sempre avuta nelle vene.
Da piccolina non mi piaceva affatto perché con mio fratello che correva con i go-kart noi giravamo per tutta Italia con il camper durante il week-end. Immaginate una bambina di 5 anni dal venerdì al lunedì rinchiusa in un kartodromo: delirio, totale confusione, si sentivano odori di qualsiasi tipo… Non mi piaceva. Poi quando mio fratello ha deciso di smettere è nata questa passione. Sapete quando dai per scontate delle situazioni e quando non le hai più capisci il vero valore? Così è stato un pochino per me. In realtà, in famiglia durante il week-end, anche quando mio fratello correva, abbiamo sempre seguito la Formula 1. I miei primi ricordi sono, ahimè, dopo Schumacher: Fernando Alonso vincente con la Renault. Da lì poi è nato tutto.
Per noi è stata una passione nata, per esempio, perché la domenica ci si svegliava vedendo Schumacher a podio. Tu non hai avuto questa opportunità visto che eri in giro con la famiglia. Magari questo ti è mancato…
Forse sì o forse no, sarà perché ero costretta a fare quel tipo di vita che sinceramente non volevo fare. A 5 anni volevo andare al compleanno delle mie amiche, giocare alle bratz… Io mi chiudevo nel camper e guardavo o il wrestling o Disney Channel, questa è la pura verità. E poi, questo l’ho scoperto dopo, non mi piaceva neanche perché mi sentivo “un po’ trascurata” dalla mia famiglia: tutti giravano intorno a mio fratello perché i massimi sacrifici si facevano per lui, come era giusto che fosse. Di conseguenza, sì, non ho avuto un bell’inizio con il mondo del Motorsport.
Cosa ti ha portato ad aprire i canali social in cui parli di Formula 1?
Io, in realtà, questo attaccamento forte l’ho vissuto più tardi. Quando dico così, intendo interesse e curiosità nello scoprire altro, oltre quello che ci facevano vedere in tv, quindi leggere articoli, studiare; prima mi accontentavo di vedere prove libere, qualifiche, gara e chiudeva lì. Quando mi sono ritrovata a Roma, stavo studiando recitazione nel 2019/2020 e ho capito che avevo bisogno di parlare con qualcuno di Formula 1.
Prima ero sempre abituata alla mia famiglia: la domenica andavamo tutti a mangiare da mia nonna da parte di mio papà e post gara ci ritrovavamo sempre a commentare. Ho pensato che magari in giro per l’Italia ci fosse qualche pazzo folle, donna o uomo, che non sapesse con chi parlare di Formula 1. Inoltre sentivo l’esigenza, in una città che era molto più grande di me, come lo era Roma, di un posto sicuro, che, in quel momento, era la Formula 1. Perciò ho detto “Proviamo! Vediamo chi mi segue in questa folle idea”.
Quand’è che hai capito che stavi davvero crescendo? C’è un episodio chiave?
Questo è un po’ strano, perché spesso le persone si approcciano ai social e vogliono spaccare, conquistare numeri… Il mio percorso era un altro: io volevo fare l’attrice, questo non era proprio contemplato e quindi l’ho vissuto senza aspettative. Non avere aspettative è stata la chiave perché tutto quello che arrivava era oro per me. Sono partita a gennaio 2020 e poi è iniziata la pandemia: parlavo e vedevo che il pubblico si iniziava a formare. Ciò che è stato anche la mia fortuna è che non c’era praticamente nessuno che faceva questo: ora ci sono tantissimi ragazzi che lo fanno, prima no e non c’era nessuna ragazza che mettesse davanti la sua immagine perché spesso si nascondevano dietro i post scritti.
Io ho cercato di unire la mia passione e il mio lavoro e mi sono resa conto che l’abbinamento continuava a piacere. Nel tempo mi hanno iniziato a contattare delle persone per commentare delle gare e-sport (inizialmente neanche sapevo cosa fossero) e da lì è partito tutto. Non c’è stato un vero e proprio episodio chiave… anzi no, c’è stato un momento in cui ho detto “ok qualcosa di figo lo sto facendo”: quando mi hanno fatto i complimenti quelli del team di Sky.
A proposito di Sky… per te cosa vuol dire far parte della redazione di Sky Sport Formula 1?
Quello è letteralmente un sogno che diventa realtà: sono cresciuta con Sky, con Disney Channel e poi ho sempre stimato tantissimo il lavoro che hanno fatto negli anni tutta la redazione: Carlo, Mara, Federica, insomma tutto il gruppo… ed ero una grandissima fan di Race Anatomy. È qualcosa di enorme, non me lo sarei mai aspettato nella vita. È un grandissimo onore. La cosa che mi ha stupito di Sky è l’apertura verso la nostra generazione, hanno questa grande curiosità per il mondo dei giovani. Ogni tanto mi chiedo cosa c’entri io, ma cerco di dare il mio, che può essere una visione diversa, un po’ più fresca, brillante di una Formula Uno che sta aprendo le porte anche ai giovani.
Come ti vedi tra 5 anni? Come vedi sviluppare questa tua presenza nel mondo della Formula 1 o comunque nel mondo del Motorsport?
Non ne ho la più pallida idea e anche questa è la chiave. È nato tutto senza pretese, quello che è arrivato è stato qualcosa di così straordinario che quando penso al mio futuro non riesco a vedermici. Ho una lista di cose che mi piacerebbe fare o sogni che vorrei esaudire, però non so effettivamente dove sarò. L’unica cosa che posso fare ora è lavorare nel mio presente per costruirmi quello che sarà; se dovesse andare così me lo auguro!
Sicuramente continuerò a fare questa cosa che faccio sui social perché mi dà piena libertà e poi è proprio il mio mondo, sono partita qui a parlare con i ragazzi. Mi piacerebbe continuare a fare degli eventi come quello che ho fatto a teatro, che è stato “Il coraggio di sognare”. Mi piacerebbe portarlo in giro per l’Italia, mi piacerebbe avere un contatto un po’ più stretto con quello che è il mondo della Formula 1, magari intervistare dei piloti… Mi piacerebbe fare tante cose, ma non lo so: vediamo dove sarò.
Formula 1 tra giovani e social
Agganciandoci a questo tuo desiderio di realizzare eventi dedicati ai giovani come appunto quello di Imola, magari spesso c’è il rischio che restino eventi isolati. Soprattutto guardando il contesto in cui viviamo c’è appunto il rischio che ci sia solo quella possibilità per i giovani e basta…
Sì, è vero, è complicato. Quello che mi ha spinto a fare l’evento a teatro è stato un po’ come il mio percorso, cioè tutto è nato da delle mancanze che ho vissuto nella vita. Parlavo prima di quando è nato tutto il percorso sulla Formula 1: è stata un’esigenza mia, e quando dico mia è perché fondamentalmente siamo tutti differenti, ma molto simili sotto tanti aspetti, perché siamo tutti esseri umani. Mi sono detta “se è mia, potrebbe esserlo anche di qualcun altro”; io personalmente avrei pagato per andare a teatro a vedere quello che ho visto, che abbiamo portato.
È complicato organizzare qualcosa di più strutturato, per me personalmente questo è già un grandissimo traguardo, perché mai mi sarei immaginata di riuscire a trasformare quella che era un’idea scritta sul mio taccuino in qualcosa di reale. Un evento simile non si era mai fatto prima di Imola, speriamo che si possa ripetere anche l’anno prossimo. Ho ricevuto tanti messaggi da ragazzi che mi hanno detto “ti prego, portalo anche nella mia città! Pensa ad un format che sia più ampio di Imola!”. Mi piacerebbe tanto però sono da sola, insomma… vediamo se riusciamo a organizzare qualcosa di buono. L’obiettivo era lasciare qualcosa ai ragazzi e poi dopo è una responsabilità di ogni singolo individuo cercare di alimentare quella fiamma che abbiamo lasciato.
In quale altro modo tu pensi che si possano avvicinare ancora molti più ragazzi nel mondo del Motorsport? In Italia è quasi di nicchia anche se abbiamo una grande scuderia come la Ferrari… cosa pensi si possa fare in più per avvicinare i ragazzi in questo momento?
Il motorsport è un mondo molto ampio: ci sono un miliardo di categorie. Mi soffermo sulla Formula 1 perché è l’argomento di cui tratto io sui miei social. Già ampliare il bacino d’utenza della Formula 1 è tanta roba. Si inizia a condividere che cos’è il mondo della Formula 1, così la gente si emoziona, si appassiona e si gasa; poi conosce anche la Formula 2, 3, da dove arrivano i piloti, il mondo del karting e dell’endurance… Va bene buttarsi sulla Formula 1, ma poi occorre farsi una cultura per avvicinare ancora di più i giovani.
Bisogna essere onesti, la Formula 1 sta vivendo un momento straordinario molto florido, ma è tutto figlio anche di quello che accade in pista… questa è una verità di fatto. Ci sono 23 gare all’anno che sono al centro dei week-end, inoltre ci sono anche delle personalità molto forti: ragazzi che hanno la nostra età, ma che comunque si sono costruiti dei personaggi e funzionano da casa, quindi appassionano.
Una volta che c’è l’anima, c’è la base su cui lavorare sopra per aumentare il bacino di utenza: che sia rendere i biglietti più o meno accessibili per andare a vedere i Gran Premi, parlare di Formula 1 e continuare a farlo in tutte le piattaforme, toccare con mano quello che è il mondo del paddock, del dietro le quinte che risulta sempre un po’ distante.
Dopo essere stata a Imola, mi sono resa conto dello straordinario lavoro che fa Sky: sotto alcuni aspetti quella zona di élite della Formula 1 è un po’ fredda, show, spettacolo, soldi… La passione vera la si percepisce in tribuna, nel Prato, nel biglietto circolare; nel paddock la percepisci sì, ma è diversa. Il team di Sky riesce a rendere vivi e colorati anche degli aspetti degli ambienti che di prima impressione possono sembrare molto freddi e da casa ti fanno vivere tutto al 100%. Stiamo e stanno lavorando nella direzione giusta, ma ci sono tantissimi passi ancora da fare.
Il mondo della Formula 1, piloti in primis, sembra inarrivabile. Essendoci protagonisti giovani, piloti e team hanno cambiato approccio con il pubblico. Il problema dell’accessibilità, se confrontato anche con altri sport come la Moto GP, rimane. Non pensi debba essere un lavoro di comunità?
Sì, certo: deve essere un lavoro di tutti. Devo ammettere che vedo le differenze, anche se sembrano davvero cavolate. L’altro giorno mi sono messa a seguire su TikTok il profilo della Mercedes e c’era Hamilton che rispondeva alle domande: gli hanno chiesto della skin care routine e altre cose simili, vedi che anche lui prima di andare a letto si fa le sue cose… Parlo di Mercedes, di Aston Martin, sono cose che sono iniziate ad andare su piattaforme prettamente giovanili, dove l’età media è 13-18, poi ci sono anche gli over, però quello è il bacino d’utenza. Ora TikTok è anche sponsor di Aston Martin e questo fa capire che stanno entrando nelle nostre modalità di ragazzi. Poi è un sistema diverso dalla Moto GP, girano proprio nei soldi diversi… lo percepisci dal paddock, da tutto.
I social possono essere anche un’arma a doppio taglio. Sono un buon jolly per raggiungere il pubblico più giovane però, purtroppo, sono palcoscenico dell’antisportività. Come si può sensibilizzare riguardo la sportività?
Nel mondo della Formula 1, a differenza di altri sport, c’è molto più rispetto soprattutto live, agli eventi. Mi è capitato di viverla in Italia e all’estero, dove c’è un pubblico misto, per esempio il tifoso di Verstappen con quello di Leclerc e di Hamilton. Potrebbe succedere qualunque cosa in pista, ma nessuno alzerebbe le mani, sono tutti molto educati l’uno con l’altro; è un clima sereno vissuto live. Da remoto, tramite i social, purtroppo no. Ha aspetti positivi e aspetti negativi che vivo anche io sulla mia persona.
Ognuno deve fare la differenza nel proprio: io cerco di condividere la passione per la Formula Uno, che è questa la cosa più importante. Poi ognuno di noi può essere tifoso, però bisogna sempre approcciarsi ad uno sport e a delle persone con rispetto, con professionalità e cultura. Tante volte si parla a sproposito senza sapere delle cose che in realtà sono successe. Indipendentemente da chi tifi, il talento va riconosciuto, bisogna essere oggettivi. Anch’io ho delle preferenze, ma cerco di parlare sempre nella maniera più pulita possibile perché sentire l’opinione di un tifoso spudorato non apre ad un dialogo. L’hating c’è e per me chi lo fa sono persone poco intelligenti.
Collegandoci a questo, visto che come hai detto prima ti capita anche di viverlo in prima persona, l’hating è mai stato per te uno ostacolo o comunque ti è capitato di incontrare degli ostacoli e critiche nel tuo percorso?
L’hating è un ostacolo se lo vedi tu come tale. Gente che da anni lavora nell’ambito, in tv, mi ha detto “più crescerai più arriverà hating e più arriverà più vuol dire che stai facendo la cosa giusta”. Se tu non fossi nessuno, nessuno ti calcolerebbe. Se parlano di te nel bene e nel male vuol dire che fai un bel lavoro a prescindere. È normale che quando ti esponi non piaci a tutti.
Il mio obiettivo non è piacere alla gente perché se dovessi partire con questo presupposto cambierei me stessa. Certe volte all’inizio è stato un po’ difficile, perché, insomma, chi me l’ha fatto fare di ricevere insulti gratuiti. E invece poi ho capito che c’è sempre gente che parla male di te. Io sono apertissima ai consigli per crescere, ma non sono aperta a dei giudizi e critiche offensive perché poi anche questo fa parte di tutto.
Donne nel motorsport
Secondo te, parlando della categoria della W Series, quanto può essere ideale questa come soluzione per le pilote donna?
Interessante, tra l’altro ci ha corso fino all’anno scorso Vicky Piria, mia amica. È una serie molto interessante, ma manca lo step successivo. È molto complicato accedere alla Formula 1, lo è sia per gli uomini che per le donne, in particolare per quest’ultime. Io fossi uno sponsor sponsorizzerei tantissimo il ritorno di una donna in Formula Uno, perché funzionerebbe anche a livello di media, di marketing. Se l’obiettivo della categoria è accedere in Formula Uno, ancora non ci siamo. Se invece è dare visibilità alle ragazze, dare loro la possibilità di buttarsi su altre categorie, allora sta funzionando.
Se non si danno la possibilità e la visibilità alle donne, dato che comunque veramente ce ne sono poche, alla fine secondo te cosa serve alle donne in questo momento per mostrarsi, per così dire, più “appetibili”?
Ripeto, io se fossi uno sponsor pieno di soldi ci butterei qualche cifra su una di queste ragazze, perché, sebbene sia una Formula Uno che va sempre più verso il Green e il We Race As One, manca ancora la donna. Mi piacerebbe vedere una Formula 2 come in passato, anni in cui era un bel mix. Ok, in questo momento è complicato perché, ripeto, lo è anche per i maschi. Inoltre avranno avuto le loro motivazioni nel fare una serie solo donne. L’unica cosa che mi auguro davvero è che sia una categoria propedeutica. È partita da due anni, vedremo… sono curiosa di vedere come si trasformerà in futuro.
Formula 1 a tutto tondo: non solo pista
Prima abbiamo toccato un po’ il tema del We Race as One. Riprendendo quanto è successo a Gedda poco più di un mese fa, abbiamo visto un aumento della sensibilità da parte dei piloti verso determinate tematiche. In futuro, per caso ti aspetti di rivedere delle scene come quelle che accaddero in Sudafrica nel lontano 1982?
I tempi sono cambiati. Quello che è successo per tante persone è molto borderline. Noi la guardiamo soltanto da casa e pensiamo solo al rispetto dei diritti umani. Però dobbiamo metterci anche nei panni di Formula Uno, di Liberty media, perchè Formula Uno è, sì, uno sport, ma anche un’azienda che fattura, che deve far quadrare i conti, ci sono dei contratti in ballo… cioè, è lavoro. Mi metto nei loro panni e cerco di comprendere, di capire fino in fondo. Quindi se loro hanno corso alla fine a Jeddah è perché hanno avuto delle rassicurazioni, delle parole date dal governo locale. Forse, non si doveva neanche arrivare a correre lì perché alcuni razzi erano stati lanciati prima. Formula 1, Pirelli, staff del circuito, marketing… è un lavoro. Lo Stato inoltre ha pagato milioni per avere la Formula Uno lì. È una situazione particolare, ma la capisco.
L’episodio di Gedda credi possa anche aver fatto scattare qualcosa nella Formula Uno? Magari aumentare iniziative legate al We Race As One, perché spesso sembra solo un motto messo lì…
È complicato. Io dico sempre complicato, ma perché viviamo in un mondo fatto di contraddizioni. Secondo me, alla fine, ciò che ci giunge a casa sono i piloti, quello che fanno in pista. Finché i piloti continueranno a spingere in quella direzione, penso a Sebastian Vettel o anche Lewis Hamilton, portando motti di uguaglianza, pace e così via, a me va bene, perché poi quando c’è da parlare tutti i piloti lo fanno nel bene o nel male, anche i ragazzi più giovani.
I prossimi Gran premi saranno quelli di Miami e Monaco che sono un po’ il confronto tra il moderno e lo storico. In questo ultimo periodo si è discusso tanto sul togliere dei circuiti storici, come appunto Monaco e Spa, e aggiungere piste nuove, come Miami o Las Vegas. Cosa ne pensi di questo confronto tra lo storico e il moderno?
Mi piace molto il cambiamento e la trasformazione, non sono una di quelle persone statiche che rimane aggrappata a cose del passato. Ci sono stati tantissimi tracciati che sono entrati e sono usciti in Formula 1 e sono ritornati e poi sono usciti di nuovo, quindi va bene così. La Formula 1 secondo me continuerà ad avere un’anima europea. Monaco ha rinnovato, Spa secondo me rimarrà… però dall’altra parte c’è anche uno sport in continua trasformazione perché viviamo in un mondo dinamico, che si guarda intorno… Sono incuriosita da nuovi tracciati, da nuovi scenari, ad esempio Miami o quello che sarà Las Vegas. Ovvio, l’anima delle piste storiche quando vai in un tracciato storico la senti, la percepisci. Mi piace questa doppia faccia: una parte storica che guarda al passato e una parte che guarda a quello che sarà il futuro.
Io sono molto incuriosita dal Gran premio di Miami (a parte che Miami è una delle mie città preferite negli Stati Uniti e quindi sono molto incuriosita). So che tanti non hanno apprezzato lo show che hanno creato intorno, tipo gli yacht che hanno messo lì con l’acqua finta, la piscina, spiaggia finta… fa parte del gioco, non ci vedo davvero niente di male.
A me piace vedere ogni tappa con una sua anima diversa. Avendo vissuto la Formula Uno anche all’estero, posso dire che quando vai a vederla in Canada piuttosto che a Monaco o in Italia ti porti a casa qualcosa di diverso. Per chi la vive da casa, la differenza la fanno poi anche secondo me i piloti in pista. Io, ad esempio, sono una grande amante di Gedda, mi piace molto come tracciato nonostante per molti sia una pista super pericolosa.
Le polemiche, discussioni, si creano intorno anche proprio al tracciato in sé. Per esempio, quello di Las Vegas da molti è stato criticato per i rettilinei, perché ci sono poche curve o comunque si crede sia meno stimolante per i piloti e da vedere…
Io sono onesta, appena l’ho visto non mi ha entusiasmato. Però la cosa che dico sempre è che la nostra opinione conta zero, l’unica che conta è quella dei piloti. Se a noi non piace, ma loro la trovano entusiasmante, è brutto da dire ma dobbiamo solo stare zitti.
Sono dell’idea che nell’abitacolo ci sia il pilota…
Quando parliamo di Formula Uno tutto quello che diciamo ha senso e allo stesso tempo non ce l’ha perché nessuno di noi ha mai corso in Formula Uno.
Però tu sei stata in un simulatore, come è stata questa esperienza?
Folle, completamente folle! Rispetto per tutti i piloti, dal primo all’ultimo, perché spesso non ce n’é per quelli in fondo griglia, sono tutti fenomeni. Ho avuto un’adrenalina pazzesca, io ho provato il simulatore di vittoria, quello che provano i piloti, che è pazzesco. Tu dici, ok, sono tutti dei geni, poi è normale che in un gruppo di 20 persone c’è quello che ha più talento e quello che ne ha meno, ma per guidare una macchina a quelle velocità in quei tracciati… Chapeau!
Quali sono i tuoi tre tracciati preferiti?
Vado molto di cuore: Interlagos, Imola e Canada.
Per qualche ricordo in particolare?
Interlagos mi piace tantissimo perché ho proprio in mente delle gare straordinarie. Il giorno dell’anniversario della morte di Senna mi è capitato sul telefono un video del 2021, quando Hamilton ha fatto una gara straordinaria, di tutta questa gente che gridava “Olè Senna”, e poi mi ricordo la vittoria di Ayrton, la sua prima vittoria lì. Mi piacerebbe tantissimo andarci, il mio sogno nel cassetto. Il popolo super caloroso, vivono proprio con grandissimo entusiasmo, secondo me è qualcosa di indimenticabile.
Del Canada invece ho un ricordo stupendo perché l’ho vissuto nel 2019 tutto il week-end. In Canada c’è la passione dell’europeo essendo un’ex colonia francese, ma c’è quella voglia di divertirsi all’americana quindi tutta la gente con il barbecue, piazzati lì. Poi Imola perché dopo quello che ho vissuto settimana scorsa non potevo assolutamente non metterla, io, poi, sono palesemente legata a Senna.
A proposito di Senna, se tu lo avessi davanti cosa gli chiederesti?
Non direi nulla, probabilmente lo ringrazierei con le lacrime agli occhi e basta. Io ho due persone che stimo maggiormente: lui e Alex Zanardi. Li ringrazierei e basta per tutto quello che hanno dato e stanno continuando a dare. Ho una mia amica che ha fatto un anno all’estero con le scuole. Era andata a San Paolo e mi ha detto che quando entrava nelle case dei suoi amici, in tutte in un angolino c’erano i cimeli di Ayrton Senna come se fosse un Dio, con le foto, le candele accese. Ayrton ha dato speranza ad un Brasile che non aveva speranza. Il Brasile è diventato conosciuto grazie alla figura di Ayrton.
Uno dei più grandi rimpianti che un tifoso della Formula 1 può avere è il non averlo vissuto, ma siamo nati nell’epoca dei social, è possibile rivivere tutte le emozioni. Per questo, più il tempo passa e più il mito di Ayrton diventa leggenda, rimanendo lui la figura principale della Formula Uno.
Ciò che il Brasile vive per Ayrton, il Messico lo vive con Pérez, anche se non ha vinto ancora grandi cose. Pérez è proprio la figura principale del Messico. Da europeo l’idea è che lui sia uno dei tanti, lì no…
In quel momento capisci quanto una persona possa diventare l’anima di un paese intero. Città del Messico, quando nel 2020 non avevano rinnovato il contratto di Pérez con la Racing Point, ha detto “se non c’è più Perez nel 2021 non c’è neanche più il Gran Premio di Città del Messico”. Questo vi fa capire la sua importanza. Per non parlare di papà Pérez, è diventato un mito!
Per concludere
Quale consiglio daresti alla Carolina di qualche anno fa per progetti futuri, obiettivi?
Di credere in me stessa, di darmi l’opportunità e di avere fiducia nella vita.
Arrivata nel posto giusto al momento giusto, Carolina Tedeschi con passione e dedizione si sta facendo un nome nella Formula 1. Noi la ringraziamo per la sua disponibilità augurandole un futuro ricco di soddisfazioni (e chissà, magari la realizzazione di nuovi progetti).