“Mentre l’Italia sciamava nei prati, si è sparsa la voce che Senna stava morendo sulla pista di Imola” – Candido Cannavò
“Dov’eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, un momento preciso” – Lucio Dalla
A 28 anni dalla scomparsa del mito Ayrton Senna durante il Gran Premio di San Marino, abbiamo deciso di riproporvi l’articolo che Candido Cannavò, allora direttore de “La Gazzetta dello Sport“, scrisse in merito all’accaduto. Cannavò fa un’interessante analisi che va oltre il dolore per la perdita del campione brasiliano e si concentra sul macabro record televisivo che l’incidente ha raggiunto: quasi 10 milioni assistettero alla morte di Ayrton. Nessuno ricorda un ascolto del genere di primo pomeriggio. Inoltre: quanta complicità c’è negli incidenti del weekend nero della Formula Uno? Non è il caso di “tornare indietro”?
“Alle 14.17 del 1° maggio, mentre tanta Italia sciamava nei prati, si è sparsa la voce che Senna stava morendo sulla pista di Imola. E allora è avvenuto un fatto mostruoso, tipico dell’era televisiva: la più grande celebrazione della morte in diretta e del suo fascino irresistibile. Il 64 per cento dei televisori si è sintonizzato su quella scena, quasi dieci milioni di italiani l’hanno eletta a crudele spettacolo del giorno di festa.
Nessuno ricorda un ascolto del genere di primo pomeriggio, da quanto esiste la tv. Ci volevano Senna e la sua tragedia per stabilire questo macabro record. La pietà per l’uomo che se n’è andato in quel modo così agghiacciante è immensa. L’uomo dico, al di là del campione.
Senna merita questo distinguo: lui aveva la grandezza e la vulnerabilità di Fausto Coppi; in lui non c’era momento felice che non fosse venato di tristezza; contorto, timido, amabile, ma anche industriale di se stesso, capace di cattiverie che contrastavano con la delicatezza dei suoi sentimenti. Umanissimo nelle sue debolezze: per questo ha conquistato il cuore della gente, anche di quella di parte avversa. Il campione è un’altra cosa.
Nessun peana può bastare per illustrarne la epica solennità. Unico in almeno un paio di generazioni. Provate a mescolare adesso l’uomo-Senna col suo mito vivente e con la sua morte-spettacolo. Ed ecco, trascinata dall’etere, la cavalcata del mostro. La tragedia supera ogni confine, diventa il fatto più eclatante del pianeta Terra, supera tutte le Bosnie e le Ruande sanguinose. E allora insorgono alcune domande anch’esse mostruose. Esiste una commozione vera e una commozione televisiva?
C’è uno spietato classismo – l’idolo, il brocco, l’anonimo – nella valutazione di una morte? Le stragi quotidiane sulle autostrade sono legittime e quelle dei circuiti sono crimini? Non finiremo mai di rimpiangere Senna e anche noi abbiamo seguito in lacrime la sua fine: ma c’è il dovere di riflettere onestamente su questi punti perché la tragedia di Imola non sfoci nell’ipocrisia.
La Formula 1 è una sorta di immorale “cittadella del delirio“. Lo è sempre stata. Ed è questa la ragione del suo successo. Gli slalom della partenza, i rischi dei sorpassi, i testa-coda, l’ardimento ai limiti della follia: la gente vuol provare il brivido. Se manca una noia. Immorale, senz’altro.
Ma immorale è anche creare mistificanti paragoni tra un passato migliore e un presente volto alla perdizione totale. Non è vero. E non lo è soltanto per la contabilità dei morti (più ci allontana nel tempo e più se si trovano), ma anche per lazione una volta dello spettacolo: cinica, come adesso.
Scaccio subito il sospetto di voler procedere verso una assoluzione dei misfatti di Imola. Dio me ne guardi. Tento solo di far notare come il «moralismo da tragedia» abbia un nonsoché di artificioso e non risolve nessun problema. Attorno cadaveri martoriati di Senna e dell’umile Ratzenberger la complicità è totale: a cominciare dalle stesse vittime vittime passando per i costruttori, i manager, i tecnici, i giornali, le tv, i piloti che adesso strillano, ma hanno sempre accettato tutto, hanno subito circuiti immondi e macchine mostruose per timore di perdere la loro ragione di vita, per connivenza o per vile denaro. (…)
Qual è realisticamente il problema dopo la tragica Imola? Non certo quello di sopprimere il rischio in Formula 1, questo è impossibile, bensì quello di riportarlo alle proporzioni fisiologiche connesse a una corsa d’auto. Gli incidenti di Imola – come ha ben sottolineato già a caldo Pino Allievi – sono uno diverso dall’altro, ma i insieme ci dicono che le innovazioni tecniche e regolamentari apportate quest’anno sono rovinose all’impatto coi circuiti veloci.
E ci dicono pure che talune cervellotiche novità volte a produrre spettacolo possono produrre soltanto inutile e drammatico rischio. Con Senna a Imola non è morta la Formula 1 ma “questa” Formula 1 uscita dai confini già inquietanti dal suo rischio naturale. Bisogna tornare indietro e correggere gli errori più vistosi. Subito. Altrimenti sarà la fine.”
In questo giorno che, da 28 anni a questa parte, è così buio per tutto il motorsport, ci sembrava giusto ricordare Ayrton in questo modo. Ancora una volta, ciao Magic, sempre sarai.