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1973, storia della Indy 500 più tragica di tutti i tempi

1973

Nel mondo delle corse spesso ci si chiede quale possa essere stato l’anno peggiore di sempre per le vicende drammatiche che si sono susseguite in pista. Il 1973 sembra un valido candidato venendo ricordato come una delle stagioni più sanguinose di sempre nella storia del motorsport. Tra automobilismo e motociclismo, furono 23 i piloti che persero la vita in quell’anno tra tutte le categorie del mondo. Il mondo delle gare statunitensi, in particolar modo Indianapolis e la Indy 500, non fanno eccezione.

La storia della corsa, vista la sua lunga esistenza risalente al 1911, ha vissuto numerosi eventi, dai più spettacolari ai più tragici. Con la 500 miglia di Indianapolis del 2023 segna i 50 anni da quella che per molti è considerata l’edizione più sanguinosa e tragica che si sia mai vista. Ripercorriamo dunque la storia di questa corsa, che ha nel suo insieme una serie di storie dimenticate, anche al di fuori di Indianapolis.

Un cambio di regolamento aumenta le velocità e le preoccupazioni per il 1973

Con il permesso da parte dello USAC (United States Auto Club) di utilizzare gli alettoni sulle vetture, tra il 1971 e 1972 Indianapolis conosce un aumento sensibile delle velocità medie di percorrenza sul giro. La pole position del 1971, effettuata da Peter Revson, fu ad una media di 178.696 miglia orarie (o 287.583 km/h). Nel 1972, con l’aumento del carico aerodinamico e dell’aderenza in percorrenza di curva, vede Bobby Unser in pole position a 195.940 mph di velocità media (315.335 km/h). Durante dei test effettuati in marzo da Gordon Johncock per conto della Goodyear, Gordy segnò una velocità media ufficiosa di 199.4 mph (320.9 km/h). In appena 3 anni, si ebbe un aumento di oltre 30 km/h sulle velocità medie.

Esperti ed ufficiali di gara, vedendo la situazione, ritenevano che queste vetture non sarebbero state sufficientemente stabili per poter correre in sicurezza. Oltre a ciò, la potenza dei motori 4 cilindri in linea Offenhauser sovralimentati, in assetto da qualifica è di ben 1100 cavalli. La potenza è tale che nelle “Short chutes” che collegano le 4 curve di Indianapolis tra di loro, è possibile indurre la vettura in testacoda facilmente. La situazione che si delinea non è delle più rassicuranti, rendendo il tutto difficile anche per i piloti più spavaldi e i più esperti.

Primi giorni di prove, tre piloti scampano alla morte… A Talladega!

Il circuito apre le ostilità in data 28 aprile 1973. In questo caso è Gary Bettenhausen ad avere l’onore di essere la prima vettura a scendere in circuito. I primi giorni di prove libere, tuttavia, sono ostacolati dall’intermittenza della pioggia che impedisce ai concorrenti di provare le vetture e portarle a velocità più sostenute. Lunedì 30 aprile, il direttore di corsa ed ex pilota Harlan Fengler impone il limite minimo di velocità media a 180 mph. Ben presto, sono Gordon Johncock e Johnny Rutherford i primi a superare la barriera delle 190 mph (310 km/h). Il 5 maggio, Swede Savage impone il suo ritmo giungendo alla velocità media di 197.802 mph (318.331 km/h).

Il giorno successivo, 6 maggio 1973, sono tre i piloti a lasciare Indianapolis, direzione Talladega Superspeedway. Nel gigante dell’Alabama, tempio della velocità del sud degli Stati Uniti noto al tempo come Alabama International Speedway, si svolge la Winston 500. Decima prova valida per la NASCAR Winston Cup Series, vede al via Dick Simon, Gordon Johncock e Bobby Allison, già veterano del panorama NASCAR.

Tensione palpabile

Ciò che lascia sconvolti è la capienza della griglia, con la presenza di ben 60 concorrenti che quel giorno accesero i loro motori e presero il via! Un numero che oggigiorno è impossibile vedere, sia per i costi per competere, che per ragioni di sicurezza. La ragione per cui decisero di espandere la griglia, già di per sé enorme, da 50 a 60 partenti, fu quella di attrarre maggiore pubblico, sponsor e team.

Wendell Scott
La stretta di mano tra il governatore dell’Alabama George Wallace e Wendell Scott alla Winston 500 del 1973 a Talladega (Photo source: reddit.com/Photographer unknown)

Oltre a questa controversia, anche una vicenda extra-competizione generò non poche polemiche. A servire come “Grand Marshal” dell’evento, fu il governatore dello stato dell’Alabama George Wallace, mentre sua moglie Cornelia Ellis Wallace avrebbe condotto la pace car. George Wallace, noto segregazionista, è ricordato per aver condotto l’11 giugno del 1963 la protesta nota come “Stand in the Schoolhouse Door”. Già governatore dello Stato, cercò vanamente di opporsi all’iscrizione di Vivian Malone Jones e James Hood, due studenti afroamericani, all’università dell’Alabama, bloccando l’ingresso del Foster Auditorium. La situazione di tensione durò fino a quando non intervenne la Guardia Nazionale dell’Alabama, con il generale Henry Graham che intimò su sollecito del presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy, di farsi da parte. Alla fine, Wallace cedette alle richieste del presidente.

Quando giunse il momento di stringere la mano ai piloti, Wallace tese la mano a Wendell Scott, unico pilota afroamericano in griglia, che ricambiò la cortesia stringendogli la mano. Un fotografo, testimone della scena, ricorderà nel libro “Hard Driving: The Wendell Scott Story” che l’espressione di Scott sul suo volto era “imperscrutabile”.

Nasce “The Big One”

Talladega
Il gruppo di 60 vetture della 1973 Winston 500 (Photo source: pinterest.com/Photographer unknown)

Dopo la partenza, al nono giro, Ramo Stott, partito 13°, si ritrova con il motore in avaria sul backstretch, perdendo una notevole quantità di olio. Ben 23 vetture rimasero coinvolte in un incidente di proporzioni enormi. Ad essere messi fuori corsa, furono 19 piloti nell’immediato. Tra questi, Bobby Allison fu il primo dei piloti che avrebbero dovuto correre ad Indianapolis. Nelle poche immagini oggi a nostra disposizione, viene definito come il peggior incidente mai avvenuto nella storia della NASCAR per proporzioni. Il numero dei piloti feriti è elevato, molti riportarono svariate contusioni. Earl Brooks ebbe una mano fratturata, Joe Frasson subì ferite ad una spalla, mentre Slick Gardner riportò ferite ad un ginocchio.

Ma tra tutti i concorrenti coinvolti, quello che ebbe la peggio fu Wendell Scott. Il primo pilota afroamericano a competere e a vincere una gara in NASCAR uscì dalla vettura inzuppato di sangue. Ebbe la gamba sinistra fratturata in 7 punti, fratture multiple al bacino, lesioni interne al rene destro, gravi lesioni alla pelle dell’avambraccio sinistro, a tal punto da “esporre le ossa” a detta del figlio Frank Scott.

L’incidente è così grave che di fatto pone fine alla carriera di Wendell Scott, che disputerà la sua ultima corsa mesi dopo a Charlotte, concludendo 12°. In questa gara, solo 17 vetture vedranno la bandiera a scacchi, con “Silver Fox” David Pearson vincitore. Dei piloti che avrebbero corso ad Indianapolis, solo Dick Simon vedrà il traguardo al 7° posto, staccato di 6 giri dal vincitore. Gordon Johncock è ben presto fuori corsa, a causa di un altro incidente dopo 23 giri, durante una caution durata un’ora e mezza per ripulire l’intero tracciato, cosparso di olio e detriti.

Le polemiche dopo la corsa

Naturalmente l’umore dei piloti era assolutamente contrariato dopo questo catastrofico incidente che darà origine al termine “The Big One”. Cale Yarborough, coinvolto nella carambola, esprime chiaramente quanto siano stati tutti quanti fortunati ad uscirne vivi da un incidente di proporzioni così imponenti:

“Si tratta del più grande miracolo nella storia dell’automobilismo il fatto che nessuno sia rimasto ucciso… È di gran lunga il più grave incidente che io abbia mai visto in 15 anni di gare”

Cale Yarborough, 3 volte campione NASCAR Winston Cup Series e 4 volte vincitore della Daytona 500, attivo in NASCAR dal 1957 al 1988

Anche Bobby Allison e Joe Frasson, a sua volta inzuppato di sangue, furono molto polemici nei confronti di Bill France Sr., proprietario della NASCAR, e di chi ha deciso di ammettere 60 vetture per la gara.

La pioggia inizia a martoriare lo Speedway e le velocità

Con l’apertura della seconda settimana di prove libere, la pioggia incomincia a farsi presente sul tracciato. Le giornate del primo e del 2 di maggio vengono annullate a causa di essa, con le velocità che non aumentano eccessivamente. Stessa sorte toccherà alle giornate del 6 e del 7 maggio, rendendo le operazioni di messa a punto più complicate. In data 11 maggio, nessun pilota raggiunge la barriera delle 200 miglia orarie, con Mario Andretti in grado di arrivare soltanto ad una velocità media di 192.967 mph (310.550 km/h) di giovedì 10 maggio. Nell’ultimo giorno di prove, qualche contatto con il muro avviene, senza conseguenze per i piloti coinvolti. Il giorno del Pole Day è ampiamente anticipato e carico di aspettative per la possibilità di vedere nuovi record infranti.

Il Pole Day del 1973 reclama la vita di Art Pollard

La giornata del Pole Day si prospetta mite, con temperature vicine ai 21 gradi Celsius. Il pubblico è quello delle grandi occasioni, pur non essendo la corsa. Sono 250’000 gli spettatori accorsi per assistere a quella che di fatto è una corsa contro il tempo per accedere alla gara vera e propria. Alle ore 9 del mattino di sabato 12 maggio, viene esposta la bandiera verde che segnala l’inizio della sessione di prove.

Art Pollard
Art Pollard, ritratto nel 1973 (Photo source: artpollardracedriver.info/Mike Pollard)

Tuttavia, alle ore 9 e 37 del mattino, la tranquillità emessa dal rombo dei motori si trasforma rapidamente, ammutolendosi in un tragico silenzio. Uscendo da curva 1, la Eagle-Offenhauser di Art Pollard urta contro il muro esterno. A quel punto, la vettura prende fuoco andando in testacoda verso l’erba interna del tracciato. Urtandola, la vettura inizia a capottarsi più volte, fermandosi infine in mezzo a curva 2, dopo 440 metri percorsi fuori controllo.

Le conseguenze drammatiche dell’incidente

Il giro di Pollard prima dell’incidente risulta di una velocità superiore alle 192 miglia orarie (309 km/h). Privo di sensi all’arrivo dei soccorsi, Pollard viene portato d’urgenza al Methodist Hospital, con gravi danni ai polmoni dovuti all’inalazione di fiamme e gas tossici. Riporta gravi ustioni di terzo grado su entrambe le mani, il viso e il collo. Riporta anche la frattura del braccio destro, di una gamba fratturata e la frattura delle vertebre cervicali 2 e 3. Un’ora e tre minuti dopo l’incidente, viene comunicato il suo decesso, causato dalle ultime due ferite elencate, definite “The hangman’s fracture” o “Frattura del boia”. Il termine, coniato nel 1965 dal Dottor Richard C. Schneider, indica un tipo di frattura alle vertebre cervicali comune nelle impiccagioni o negli incidenti d’auto.

Art Pollard
Art Pollard nell’incidente, già esanime nell’abitacolo (Photo source: roundsixpod.com/photographer unknown)

Pollard, proprietario di una concessionaria e meccanico, era pilota USAC Indycar dal 1965, dove disputò 84 gare, vincendone 2 nel 1969 a Milwaukee e a Dover. Lontano dalle corse, si occupava anche di enti di beneficenza per la salute mentale e servì nella US Navy. Artle Lee Pollard Jr., nato a Dragon nello Utah il 5 Maggio del 1927 e cresciuto a Portland in Oregon, aveva appena compiuto 46 anni una settimana prima.

Si prosegue immediatamente nonostante la tragedia

Nonostante l’evento tragico, l’attività in pista prosegue e riprende regolarmente per i Time Trials alle 11 in punto. Peter Revson è il primo a scendere in pista e a segnare il tempo di riferimento a 192.606 mph. Subito dopo, Gary Bettenhausen fa di meglio con una media di 195.599 mph. Alle 12 e 29, è Swede Savage a segnare la miglior media a 196.582 mph.

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Johnny Rutherford, poleman della Indy 500 del 1973 (Photo source: speedwaysightings.files.wordpress.com/Photographer unknown)

Tuttavia, è alle 13 e 37 che “Lone Star” Johnny Rutherford manda in visibilio la folla con un tentativo di qualifica che sfiora le 200 miglia orarie di media. Dopo aver effettuato due giri record raggiungendo le 199.071 mph (320.374 km/h) di media, Rutherford segna la pole position alla velocità media di 198.413 mph (319.315 km/h), nuovo record di velocità media sui 4 giri. Nei tentativi successivi, Mark Donohue segna una media di 197.413, mentre Bobby Unser è 2° a 198.183 mph nel suo tentativo.

Al termine della giornata, sono 24 i concorrenti qualificati. I più lenti sono a sorpresa A.J. Foyt a 188.927 mph dopo aver rinunciato al primo tentativo, e Sam Posey a 187.921 mph. Sorprende il risultato di Foyt in quanto durante le prove aveva raggiunto medie sul giro di 192 mph. Nei giorni successivi, la pioggia interrompe le attività del 14 e 19 maggio. Il tempo più rilevante lo fa segnare John Martin il 12 maggio, segnando una velocità media di 194.384 mph

Bump Day. Poca l’attività, ma resta una sessione thriller

Domenica 20 maggio, giorno del Bump Day, l’azione in pista è moderata ma non manca. Sammy Sessions è il primo a segnare un tentativo, leggermente più lento di quello fatto segnare il giorno prima, con una media di 188.986 mph. Alle 17 e 37 pomeridiane, è Tom Bigelow il pilota “On the Bubble”, a rischio eliminazione.

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Jim McElreath, nel Bump Day si qualifica e parte 33° per la Indy 500 del 1973, eliminando Tom Bigelow dalla griglia (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

A 15 minuti dalla conclusione, Jim McElreath segna una velocità media di 188.640 mph, mettendo fuori corsa Tom Bigelow. Jim Hurtbuise prova a ripetere la stessa cosa con McElreath, ma il suo tentativo ha una media di 4 miglia orarie più bassa. Ad un minuto dalla fine, George Snider effettua il suo tentativo saltando a bordo del muletto di una delle vetture usate da A.J. Foyt. Il suo tentativo, a 190.355 mph, è veloce a sufficienza da qualificarlo al 30° posto, eliminando così Sam Posey dalla gara. Al colpo di pistola delle 6 pomeridiane, la griglia di partenza è stabilita.

La griglia di partenza della Indy 500 1973

In prima fila, Johnny Rutherford parte dalla pole position su una McLaren-Offenhauser, davanti a Bobby Unser e Mark Donohue, vincitore della precedente edizione della Indy 500. Swede Savage apre la seconda fila su una delle tre Eagle schierate da Andy Granatelli, davanti a Gary Bettenhausen su McLaren e Mario Andretti su Parnelli-Offenhauser. La terza fila vede Steve Krisiloff su Kingfish-Offenhauser, davanti ad Al Unser Sr. su Parnelli e Jimmy Carruthers su Eagle. Peter Revson apre la quarta fila su McLaren, davanti a Gordon Johncock sulla seconda Eagle di Granatelli e Bobby Allison su McLaren, il rookie più veloce in griglia. La quinta fila è aperta da un altro rookie, il neozelandese Graham McRae, sulla terza Eagle di Andy Granatelli. Accanto a McRae abbiamo Roger McCluskey su McLaren e il veterano Lloyd Ruby su Eagle.

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La prima fila della Indy 500 del 1973. (Photo source: twitter.com/Steve H. Shunck @SHUNCK/Photographer unknown

La sesta fila vede il figlio d’arte Bill Vukovich II su Eagle, davanti alla McLaren di Salt Walther e Jerry Grant. In settima fila la prima vettura non motorizzata Offenhauser, con Mel Keynon su una Eagle-Foyt davanti alle Eagle di Wally Dallenbach e Mike Mosley. In ottava fila, il britannico David Hobbs davanti alla Coyote-Foyt di A.J. Foyt, indietro in griglia col 23° tempo, davanti alla McLaren di John Martin. Le Eagle di Lee Kunzman e Mike Hiss sono in nona fila davanti alla Eagle-Foyt di Dick Simon. In decima e penultima fila Jerry Karl col 28° tempo sull’unica Eagle a motore Chevrolet in gara, davanti a Joe Leonard su Parnelli e George Leonard sulla seconda Coyote-Foyt in gara. L’undicesima e ultima fila vede Bob Harkey su Kenyon/Eagle-Foyt davanti alla Eagle-Foyt di Sam Sessions e Jim McElreath che chiude lo schieramento.

Lunedì 28 Maggio 1973: una partenza catastrofica

La partenza della corsa, attesa per le 11 del mattino, viene ritardata di 4 ore e 4 minuti a causa della pioggia. Nonostante ciò, questo non scoraggia la folla delle grandi occasioni ad accorrere in massa verso lo speedway, con ben 350’000 spettatori accorsi per assistere alla gara. Alle 15 del pomeriggio, il direttore dell’Indianapolis Motor Speedway, Tony Hulman, dà il comando di accensione dei motori. Tra i partenti, la sola vettura di Bob Harkey non si avvia. Un problema al motore scoperto in mattinata rende impossibile ad Harkey partire. Ma piuttosto che cedere il posto a Tom Bigelow, primo non qualificato, il team di Harkey si schierò in griglia anche per dare l’impressione che la sua vettura abbia avuto problemi all’accensione dei motori.

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Gli istanti immediatamente dopo il catastrofico incidente alla partenza della Indy 500 del 1973. Si può notare la quantità di metanolo spruzzata dalla vettura di Salt Walther (Photo source: twitter.com/Andrew @Basso488/Photographer unknown)

Dopo i giri di ricognizione, il direttore di corsa Pat Vidan commette un clamoroso errore di valutazione, dando la bandiera verde e il via alla gara un giro prima del dovuto. In contemporanea, Steve Krisiloff ha problemi di accensione della vettura, con tutto il gruppo costretto a scartarlo dall’esterno per evitarlo. Sulla linea del traguardo, Salt Walther urta la ruota anteriore sinistra di Jerry Grant mentre si sta spostando verso destra. Questo manda la vettura di Walther in testacoda, dritta contro il muro e le reti di protezione, con un impatto violentissimo e conseguenze disastrose.

La dinamica

L’auto ha divelto 21 metri di reti di protezione, rompendo due montanti in acciaio da 4 pollici prima di rimbalzare in pista dopo aver colpito i cavi di rinforzo posizionati dietro le reti. L’impatto squarcia di netto entrambi i serbatoi della vettura di Walther, spruzzando 285 litri di metanolo in tribuna, generando un’enorme palla di fuoco blu pallido quasi invisibile dalle immagini, travolgendo numerosi spettatori. Il calore dell’esplosione è percepito a 100 metri di distanza dall’impatto, nella tribuna del paddock e nei box della pista. Undici spettatori in tribuna sono rimasti feriti, di cui nove vengono ricoverati.

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Salt Walther su McLaren-Offenhauser per la Indy 500 del 1973. (Photo source: indianapolismotorspeedway.com/Photographer unknown)

Nell’incidente, l’avantreno della vettura di Salt Walther viene completamente strappato, con l’auto che si capotta, effettuando numerose piroette e spruzzando in tutte le direzioni carburante e detriti. Walther viene drammaticamente travolto da altre due vetture, con le gambe esposte. Altre 8 vetture sono coinvolte nell’incidente con i piloti accecati dal metanolo, ovvero Wally Dallenbach, Mike Hiss, Lee Kunzman, John Martin, David Hobbs, Mike Mosley, Jim McElreath and Dick Simon. Kunzman racconterà che si dovette fermare a bordo pista, convinto di essere stato accecato dai liquidi sparsi dappertutto. In realtà, la visiera del casco fu liquefatta dall’intenso calore emanato dall’incidente. John Martin, Mike Hiss e Lee Kunzman riportarono lievi ferite.

Salt Walther, un incidente che gli cambia la vita tragicamente

Ad avere la peggio è comunque Salt Walther. Trasportato d’urgenza al Methodist Hospital, riporta ustioni sul 40% del corpo, specie alla gamba sinistra. Per il resto della sua vita sarà sottoposto a numerosi interventi chirurgici. Le mani, gravemente ustionate, furono le ferite peggiori. Le dita della mano sinistra dovettero essere parzialmente amputate e quelle della mano destra guarirono con angoli innaturali. Dovette indossare un guanto nero sulla mano sinistra per coprire le ferite da ustione. Walther rimase al Michigan Burn Center per due mesi e mezzo, perdendo oltre 20 chili di peso.

Salt Walther
Il guanto nero che Salt Walther porterà dal 1973 in poi, per coprire le ustioni che hanno martoriato la mano sinistra. Qui ritratto nel 1976 (photo source: whatmydadsaw.blogspot.com/Photographer unknown)

Nonostante le ferite, Walther tornerà a correre in molteplici occasioni dal 1974 fino al 1991 in Indycar. Tuttavia, la sua vita sarà irrimediabilmente compromessa, sviluppando ben presto una dipendenza da morfina, oppioidi e antidolorifici per lenire il dolore delle gravi ustioni riportate. Più volte negli anni sarà coinvolto in numerosi problemi giudiziari dovuti alle sue dipendenze da droghe pesanti, finché non morirà prematuramente per overdose, il 27 dicembre 2012, all’età di 65 anni.

Martedì 29 Maggio: la pioggia continua a martoriare Indy

Durante la bandiera rossa, la pioggia arriva sul tracciato, obbligando gli ufficiali a rinviare la partenza alle 9 del mattino di martedì 29 maggio. Il pubblico, stavolta scende a 200’000 persone. I partenti scendono a 32, con Harkey che riesce a prendere il via dopo aver riparato il motore. I piloti richiedono anche agli ufficiali di aumentare la velocità della Pace Car da 130 a 160 chilometri orari, venendo ascoltati.

Poco dopo le 10 di mattina, il comando di ripartenza viene dato. Le 32 vetture si avviano senza problemi, ma nel corso del secondo giro di ricognizione, ricomincia a piovigginare. La bandiera rossa viene esposta nuovamente, obbligando i concorrenti a fermarsi sul traguardo. Dopo tre ore d’attesa e con l’intensificarsi della pioggia, alle 13 e 48 gli ufficiali di gara decidono di rinviare la corsa al giorno dopo.

Mercoledì 30 maggio: l’odissea continua

L’orario di partenza è previsto per le 9, ma ancora una volta i partecipanti e gli spettatori devono aspettare. Dopo due giorni di pioggia, l’infield è infangato e sporco. Le tribune e i bagni sono disseminati di immondizia, le passerelle e i parcheggi erbosi allagati, rendendo il tutto una palude. Il dipartimento sanitario che sovrintende alla gara minaccia di impedire lo svolgimento se mercoledì fosse piovuto di nuovo, a causa del deterioramento delle condizioni dell’infield.

L’atmosfera nei garage è cupa. Le squadre e i piloti sono esausti, con un ritardo dovuto alla pioggia che risulta il più lungo nella storia della Indy 500 fino ad oggi. I media già soprannominano la gara “La 72 Ore di Indianapolis”. Le auto sono rimaste per lo più ferme negli ultimi giorni, creando preoccupazioni sul rendimento delle vetture. I ritardi di Indianapolis cominciavano ad avere effetti a cascata sul programma. A causa del ritardo, lo USAC decide di posticipare la Rex Mays 150 a Milwaukee dal 3 al 10 giugno. Verso mezzogiorno, finalmente esce il sole, consentendo la partenza della gara per le 14 e 10.

La partenza e le prime fasi della 1973 Indy 500

Dopo il comando, le vetture si avviano senza problemi. Tuttavia, nel pace, lap David Hobbs ha dei problemi di motore, rientrando ai box. Il britannico è comunque in grado di riprendere la corsa. La prima fase della corsa vede solo due caution di breve durata, ma è comunque una corsa tirata. Alla partenza, Bobby Unser prende prontamente il comando su Johnny Rutherford e Mark Donohue. Nel corso del primo giro, la corsa perde immediatamente Bobby Allison, fermato da una biella guasta. Al terzo passaggio, Peter Revson urta il muro in curva 4, mentre Mario Andretti si ferma al passaggio successivo con un pistone rotto. Dopo la vittoria del 1969, la maledizione del secondo trionfo elude un Andretti.

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Bobby Allison durante le prove della Indy 500 del 1973. Sarà fuori corsa dopo il primo giro a causa di una biella difettosa (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

La prima neutralizzazione della gara avviene al giro 17 con Bob Harkey fermo a causa di problemi al motore. Perdendo olio, Harkey si gira, stallando sul backstretch. Nella testa della corsa, solo Mark Donohue si ferma ai box per effettuare la prima sosta. Poco dopo, Sam Sessions e Lloyd Ruby sono costretti a ritirarsi con problemi di motore e perdite d’olio. Al giro 37, il mese no di A.J. Foyt si conclude con la rottura di una biella, stessa sorte capitata al giro 48 per Wally Dallenbach.

Le prime soste

Al giro 40, Bobby Unser effettua la prima sosta, cedendo il comando a Gordon Johncock per 3 giri. Dopo la sosta di Johncock, Swede Savage resta al comando dal giro 43 al giro 54, con Al Unser Sr. in seconda piazza. Al giro 45, una breve caution di 2 minuti viene esposta a causa di un testacoda da parte di Joe Leonard tra curva 3 e 4. Al comando della corsa, Savage e Unser Sr. si seguono in maniera ravvicinata. Nel corso del giro 54, “Big Al” prende la testa della corsa. Nel giro successivo, Johnny Rutherford è obbligato a fermarsi ai box per una perdita d’olio, vedendosi esposta la bandiera nera. Poco dopo, un problema ad un pistone obbliga Mark Donohue a fermarsi ai box, vedendo svanire le sue possibilità di vittoria.

Al Unser Sr.
Al Unser Sr., sarà lui a contendere il primato di gara a suo fratello Bobby Unser e Swede Savage nella prima parte (Photo source: Indycar.com/Photographer unknown)

Fino ad adesso, la Indy 500 del 1973 è stata una delle più travagliate di sempre. Un pilota ha perso la vita nelle prove, 11 spettatori sono rimasti feriti, un pilota si ritrova con ferite che di fatto rovineranno la sua esistenza per i 39 anni successivi. La pioggia ha interrotto 6 giorni di prove e rinviato per altri 2 la gara, rendendo il tracciato una discarica a cielo aperto. Ma tutto questo è nulla in confronto al disastro che sta per abbattersi sulla gara, rendendo questa edizione già disastrosa indimenticabile per i motivi peggiori.

Giro 59: “What a mess, what a mess…”

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Il catastrofico impatto di Swede Savage contro il muro interno della pista, con esplosione immediata (Photo source: nwaonline.com/Photographer unknown)

Al giro 57, Swede Savage effettua la sosta. La vettura viene rifornita con 260 litri di metanolo, con una nuova gomma posteriore destra. Dopo essere ripartito, Al Unser Sr. rientra ai box per effettuare il rifornimento. Proprio in quel momento, accade una serie di incidenti che provoca orrore tra tutti i presenti che assistono alla scena. Mentre approcia curva 4, Swede Savage si ritrova improvvisamente in sovrasterzo. La sua vettura sbanda per una lunghissima frazione di secondo, per poi mirare a velocità elevatissima contro un muretto interno alla pista, inclinato di 45 gradi. Swede va a sbattere contro il muro quasi frontalmente. Nell’impatto, i serbatoi pieni di metanolo si disintegrano, provocando una violentissima esplosione, con la vettura che si disintegra in una palla di fuoco enorme.

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Swede Savage in azione durante le prove della Indy 500 del 1973 sulla Eagle-Offenhauser (Photo source: racer.com/Photographer unknown)

I detriti vengono sparsi dappertutto sul tracciato, con il blocco motore-trasmissione che rimbalza lungo il tracciato per 8 volte. Swede Savage rimane in mezzo al circuito, ancora legato alle cinture di sicurezza con ciò che resta della sua vettura. Incredibilmente, Savage è cosciente, e con le fiamme attorno a lui cerca di slacciare le cinture. In quei frangenti si dice che Savage fece in tempo a dire via radio, in una delle primissime 2-way radio communications sperimentate nel mondo delle corse “What a mess, what a mess…” (“Che disastro, che disastro…”).

“This 500 has been jinxed from the start Jim…” l’incidente di Armando Teran

La bandiera rossa viene data immediatamente alle 15:05. In quel momento, la squadra anti-incendio procede a spegnere le fiamme verso il blocco-motore della vettura di Savage. Soltanto dopo svariati secondi, e centinaia di spettatori che grideranno dalle tribune ai soccorsi “Right here! Right here”, faranno capire ai commissari dov’era Savage, ancora in fiamme. Proprio mentre attivano gli estintori, il pilota viene inghiottito dalle fiamme e dai gas estinguenti, alzando sullo speedway una nuvola di fumo immensa. Come se non bastasse, 52 secondi dopo l’impatto, dalle tribune si leva un urlo di paura, l’ennesimo. Un’altra tragedia è avvenuta, stavolta in pit lane.

Armando Teran
Armando Teran durante la Indy 500 del 1973, al lavoro mentre segnala i distacchi a Graham McRae (Photo source: indymotorspeedway.com/Photographer unknown)

Un camion dei pompieri, guidato dalll’autista Jerry Flake, è chiamato sulla scena da Cleon Reynolds, capo dei vigili del fuoco di Speedway. Flake, di servizio all’estremità sud dei box, attraversa la corsia dei box contromano per raggiungere l’incidente di Savage subito. Guidare un veicolo dei soccorsi contromano ai box era consentito dallo USAC nel 1973. Flake, una volta partito per prestare soccorso, si appoggia sul volante e rallenta in corsia box per non travolgere le persone.

La dinamica

Quando Flake ha strada libera e inizia ad accelerare verso l’incidente di Savage, numerosi meccanici di diverse squadre si spostano per attraversare la corsia dei box, verso l’erba a bordo pista. Tra questi George Bignotti, capo meccanico di Gordon Johncock, e Armando Teran, addetto a segnalare i distacchi di Graham McRae, compagni di squadra di Savage. Proprio in quel momento, Teran attraversa la pit lane senza guardare l’arrivo del camion, venendo investito. Il suo corpo è lanciato a 15 metri di distanza, con Teran che perde le scarpe nel volo, riportando fratture alle costole e la frattura del cranio. Viene trasportato al Methodist Hospital, ma viene dichiarato morto poco dopo. Armando Teran aveva 22 anni.

Tra i vari commenti nelle fasi successive alle tragedie, quello di Chris Economaki, in cabina di commento con Jim McKay per conto di ABC Sports, riassume perfettamente il disastro di questa edizione con una frase: “This 500 has been jinxed from the start Jim…” ovvero “Questa 500 miglia di Indianapolis è stata maledetta sin dalla partenza Jim…”, facendo trasparire un senso di profonda rassegnazione.

L’ennesima ripartenza

Nonostante un senso comune di tragedia, si decide comunque di proseguire la gara. Alle ore 16:16, la corsa riparte, nonostante le preoccupazioni di alcuni piloti per la superficie sdrucciolevole e ricoperta di olio. Jerry Grant, intervistato dalla ABC, ritiene che i piloti siano obbligati a prendere traiettorie innaturali per non finire sull’olio depositato in pista. George Snider è così sconvolto che decide di non ripartire, venendo sostituito dal già ritirato A.J. Foyt per portare la vettura al traguardo.

Carruthers
Jimmy Carruthers, fuori corsa sulla sua Eagle-Offenhauser, scampa ad un violento incidente (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

Alla ripartenza, Al Unser Sr. mantiene agevolmente il comando, con una corsa che nei passaggi iniziali sembra finalmente avere un andamento tranquillo. Al giro 73, tuttavia, Jimmy Carruthers ha una foratura sul traguardo causata da una biella rotta, con la gomma anteriore destra che scoppia in pieno rettilineo. Nonostante ciò, Carruthers riesce a non perdere il controllo della macchina, fermandosi in curva 1. Due giri dopo, Al Unser Sr. si ferma con il motore in fumo, cedendo il comando a Gordon Johncock.

Le fasi finali

Nel corso delle tornate successive, ben 9 vetture sono costrette al ritiro tra il giro 91 e il giro 101. Joe Leonard è il primo a fermarsi con un mozzo rotto al 91° passaggio. Nello stesso giro, si fermano anche Mike Hiss e Graham McRae con problemi di motore, seguiti subito dopo da Mark Donohue, fermo per un pistone rotto. Dick Simon si ferma al giro 100, con un pistone rotto in contemporanea con Bobby Unser, anche lui fermato da una biella rotta. Al passaggio successivo, anche A.J. Foyt si ferma nuovamente, stavolta a causa di un problema al cambio sulla vettura di George Snider.

Gordon Johncock
Gordon Johncock con la sua STP Eagle-Offenhauser per la Indy 500 del 1973 (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

Al giro 101, quando la corsa è ufficiale, Gordon Johncock è al comando davanti a Bill Vukovich II. Sono le sole due vetture nel giro di testa, con appena 11 concorrenti ancora in gara, tutti doppiati. Jerry Karl, dopo due ore di riparazioni sulla vettura, riprende la corsa staccato di 110 giri, riuscendo a recuperare fino al 26° posto in classifica.

Nel corso del giro 129, una leggera pioggia inizia nuovamente a cadere sul tracciato, diventando copiosa al giro 133, cosa che obbliga gli ufficiali a dare l’ultima bandiera rossa della giornata, viste anche le condizioni dell’asfalto e della luce naturale, avvicinandosi sempre di più la sera. Verso le 18, la corsa viene dichiarata conclusa. Gordon Johncock è proclamato vincitore davanti a Billy Vukovich II. Terzo è Roger McCluskey, davanti a Mel Keynon, Gary Bettenhausen, Steve Krisiloff, Lee Kunzman, Johnny Rutherford e Mike Mosley che chiude la top 10, nonostante la rottura di un mozzo al giro 126. David Hobbs è 11°, staccato di 26 giri. Ultimo in gara è Jerry Karl, 26° e staccato di 111 giri.

Il post gara e la sorte di Swede Savage

Il banchetto tradizionale post-gara, vista la situazione, viene annullato. Si tratta di una vittoria da dimenticare per il team di Pat Patrick e dei fratelli Granatelli, main sponsor del team con STP, viste le disgrazie avvenute in pista, comprendendo ovviamente quanto accaduto a Swede Savage e Armando Teran. Le celebrazioni in victory lan sono piuttosto brevi e sobrie, con Johncock che va a visitare prontamente Swede Savage in ospedale. Johncock, assieme al team owner Pat Patrick e ad altri membri della sua squadra, organizzano una più sobria “Victory dinner” al Burger Chef, un fast food appena fuori dall’Indianapolis Motor Speedway. L’umore, tuttavia, è estremamente plumbeo.

1973
Gordon Johncock, vincitore della Indy 500 del 1973, celebra in Victory Lane il successo abozzando un sorriso in una giornata nera per lo sport (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

Per quanto riguarda Swede Savage, egli viene trasportato al Methodist Hospital cosciente. Nonostante le ustioni riportate e fratture agli arti inferiori, Savage è in condizioni stabili, tant’è che parla e scherza con i soccorsi, facendo capire che vi sono buone probabilità di sopravvivenza. Nonostante ciò, il 2 luglio 1973, David Earl “Swede” Savage Jr. muore improvvisamente all’età di 26 anni, ben 34 giorni dopo l’incidente. La sua scomparsa lascia attonita la comunità delle gare Indycar. Ma com’è stato possibile?

A detta del dottor Steve Olvey, per anni medico dei piloti nel panorama Indycar, ritiene che la sua scomparsa sia dovuta ad un clamoroso errore dei medici. Una trasfusione di sangue con del plasma infetto avrebbero fatto contrarre a Savage l’epatite di tipo B, portando i reni e i polmoni, ancora in via di guarigione, a collassare improvvisamente. A detta del padre, la quantità di ossigeno data a Savage non sarebbe stata sufficiente per farlo sopravvivere, anche senza contrarre l’epatite B.

I cambiamenti dopo Indy 1973

Come era prevedibile, un disastro del genere non poteva non avere conseguenze sulla Indy 500 e sul mondo Indycar in generale. Lo USAC reagì prontamente con una riunione d’emergenza, tenutasi in data 2 giugno 1973. Fu ordinata la riduzione della larghezza degli alettoni posteriori da 160 centimetri a 140 centimetri. La capienza dei serbatoi viene quasi dimezzata, da 280 a 150 litri, imponendo dunque l’uso di un singolo serbatoio sul lato sinistro della vettura. In aggiunta, viene limitato l’utilizzo di carburante in una gara da 500 miglia, passando da 1420 a 1290 litri totali.

La posizione originale del flagman a Indianapolis. Qui nel 1966 che sancisce la vittoria di Graham Hill (Photo source: Indianapolis Motor Speedway Museum/Facebook.com/Photographer unknown)

A seguito dell’incidente di Armando Teran, viene proibito agli addetti alla lavagna per segnalare i distacchi di lasciare le proprie postazioni. La segnalazione dei distacchi sulla lavagna cadrà in disuso con l’implementazione delle radio, proibendo l’utilizzo effettivo solo a partire dal 2013 in poi. Per quanto riguarda l’Indianapolis Motor Speedway, il tracciato vide la rimozione del muro dove Savage andò a sbattere, con la pit entry più estesa e larga. Quel muro contribuì anche agli incidenti mortali di Eddie Sachs e Dave MacDonald, occorsi nell’edizione del 1964. In aggiunta, si rinforzarono anche i muri e le reti di protezione, arretrando di qualche metro anche le tribune per gli spettatori.

In conclusione, si aggiunse una torre per l’ufficiale di gara, al tempo posizionato sul muro interno della pista. La Indy 500 del 1973 si può paragonare tranquillamente come corrispettivo del GP di San Marino del 1994. La serie di eventi tragici in sequenza e le numerose criticità obbligarono gli organizzatori ad apportare modifiche radicali nel regolamento tecnico e nella sicurezza non solo delle vetture, ma anche dei circuiti.

Simone Ghilardini

Milanese classe 1998, studente, musicista, pilota virtuale e articolista per Mult1Formula.

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