Il 31 agosto del 2019, moriva Anthoine Hubert. Il mondo del motorsport si stringeva attorno a quel casco rosa, che tutti avevano visto salire verso l’Eau Rouge, senza più fare ritorno.
Negli anni, il nome di quel giovane pilota, ha viaggiato tra mille discorsi diversi. Si è depositato sulle labbra degli amici più cari, come quelle di Pierre Gasly, che di anno in anno si assicura che Anthoine venga ricordato e che non venga portato via dalle inesorabili grinfie del tempo. Si parla di Hubert quando si corre a Spa, pista tanto amata quanto odiata, che è divisa tra paradiso e cimitero del motorsport.Il suo nome è citato, ancora, quando Juan Manuel Correa balza in macchina, consapevole che per il resto della sua vita non guiderà mai più solo.
In tanti si prodigano affinché Anthoine Hubert non resti solo un nome al vento, ma che rimandi a quel ragazzo tutto cuore che per vivere il proprio sogno ha pagato il prezzo più caro di tutti. Il ricordo va preservato e deve lasciare più della malinconia struggente che ogni lutto consegna in eredità. È necessario trarre un insegnamento più profondo di “motorsport is dangerous”, capire quanto valga la sicurezza non solo nel grande Circus, ma anche nelle categorie minori. Bisogna dare un peso alla vita non solo di chi arriva in Formula 1, ma anche di tutti quelli che si imbarcano nel lungo viaggio per raggiungere la categoria.
Sarebbe, in qualche modo, di consolazione dire che Anthoine Hubert è stato l’ultimo fiore strappato a Spa. Che i giusti insegnamenti sono stati tratti, che il suo nome è rimasto nel cuore di tutti. Non è così, lo sappiamo. I fiori a Spa sono raddoppiati, divisi tra la bandiera francese di Hubert e quella olandese di Dilano Van’t Hoff.
Forse chi deve non imparerà mai, ma non è in nostro potere cambiare la cosa. Quello che è in nostro potere – nelle mani di chi ama questo sport, di chi ha vissuto o avrebbe voluto vivere Anthoine – è ricordare il suo nome, ricordare che è vissuto e che con il 19 sulla monoposto rosa, ha sfrecciato per i circuiti del mondo inseguendo il proprio sogno. Quel 19, che per sempre, sarà suo.
Perché la morte può portarsi via tanto, ma non tutto. L’amore resta ai vivi e sta ai vivi averne cura.