Di Chiara Vulduraro
Siamo a giugno, il mese dedicato alla lotta contro le discriminazioni sull’orientamento sessuale, che purtroppo, ancora oggi, continuano a calcare le vie del nostro mondo. Abbiamo deciso di portarvi tre esempi in cui le discriminazioni e la lotta ad esse abbiano incrociato la strada della Formula 1.
Mike Beuttler
Era il 1964 quando Mike Beuttler si addentrò per la prima volta nel mondo dei motori. Come tutti, esordì nella Formula 3 e riuscì in seguito a raggiungere la Formula 2. Le auto da corsa, si sa, hanno un costo: il relativamente giovane – aveva 24 anni – pilota britannico era finanziato da Ralph Clarke. Le occhiatacce, tuttavia, non mancavano: il finanziatore e imprenditore londinese era infatti apertamente omosessuale, cosa che in quegli anni non era assolutamente vista di buon occhio, soprattutto nel mondo maschio delle ruggenti quattro ruote, quello i cui idoli erano personaggi notoriamente virili come James Hunt. Mike non era un talento brillante, ma era molto agguerrito e detestava essere sorpassato, a tal punto da essere designato con il soprannome di “tappo”, in inglese the blocker, per la sua incredibile qualità di rallentare la corsa di chiunque gli si trovasse dietro.
Beuttler riuscì ad essere finanziato da alcuni amici di Clarke e arrivare addirittura in Formula 1, alla guida di una March, a partire dal Gran Premio di Gran Bretagna del 1971. Non fu una stagione molto consistente: su cinque gare disputate, non si qualificò in due, venne squalificato al Nurburgring e concluse le rimanenti due con altrettanti ritiri. Rimasto famoso per la sua monoposto gialla, portò tuttavia con sé anche le malelingue. Al tempo non si parlava di “fare coming out” come può avvenire oggi, fino a pochi anni prima l’omosessualità era un reato, così Mike iniziò a circondarsi di ragazze, che portava con sé nel paddock, nel tentativo di acquietare quelle fastidiose chiacchiere che nulla dovevano avere a che fare con la sua carriera di pilota.
Matt Bishop, ambasciatore della fondazione Racing Pride, ha raccontato alla BBC:
«All’inizio degli anni ‘70 le persone non parlavano dell’essere gay. Nel Regno Unito l’omosessualità era diventata legale solo nel 1967, fra due adulti consenzienti e in privato. Lui non poteva parlare di orgoglio [pride, in inglese], perché avrebbe dovuto farlo? Non penso che l’espressione coming out esistesse quando lui correva. Beuttler portava una fidanzata o diverse donne alle gare, forse per mascherarsi, forse solo per mettere a tacere alcune voci.»
Il britannico portò avanti altre due stagioni in Formula 1, fin quando la Oil Crisis del 1973 non permise più al suo team di sostenere le spese, sebbene i piazzamenti fossero migliorati, con un settimo posto al Gran Premio di Spagna.
Il pilota fece più avanti un vero coming out, dopo essersi ritirato dalle corse e trasferito negli Stati Uniti, in un luogo in cui, forse, si sentiva più libero. Erano gli anni ’80, di lui nel mondo delle corse non si era saputo più nulla, gli unici contatti erano rimasti quelli con la famiglia, che ne comunicò la morte, il 29 dicembre 1988, a causa dell’AIDS.
Racing Pride
Da troppo tempo questo sport è visto da molti come un ambiente troppo esclusivo e dominato da uomini, per nulla aperto al cambiamento, se non quello tecnologico.
Racing Pride nasce nel 2019 da un’idea del pilota Richard Morris e giornalista Christopher Sharp in collaborazione con StoneWall UK che si prefigge l’obiettivo di promuovere l’inclusione della comunità LGBTQ + nel mondo del Motorsport per arrivare ad un cambiamento significativo e duraturo. Il movimento si impegna a creare un ambiente dove gli operatori del settore e i fan si sentano liberi di esprimersi al meglio, diventando “alleati” per la comunità LGBTQ+.
Morris in una precedente intervista a Autosport ha ammesso:
«Voglio che Racing Pride crei dei role models per le persone che si affacciano al motosport per qualsiasi motivo , che sia un pilota, come team o come fan , che finora non si sono mai avvicinati allo sport.»
Per far si che questo accada, Racing Pride ha ideato una serie di azioni:
La selezione di AMBASCIATORI
tra una moltitudine di posizioni all’interno del Motorsport. Tra questi si dividono i “Drivers Ambassador” di cui fanno parte il co-fondatore Morris che attualmente gareggia nel campionato RGB Sports 1000, insieme a piloti del calibro di Abbie Eaton e Sarah Moore della W Series, così come il collega pilota di Britcar e pilota transgender Charlie Martin. Inoltre vi sono gli ambasciatori del settore, come commissari e funzionari, meccanici, ingegneri e coloro che lavorano nel settore degli sport motoristici. Infine i Media Ambassadors, che rappresentano la comunità LGBTQ+ coinvolta nella copertura del motorsport e utilizzano le loro piattaforme per promuovere il messaggio di Racing Pride.
PARTNERSHIP
capaci di promuovere il loro messaggio e condividerlo in maniera attiva. Per l’inaugurazione del Pride Month è stato annunciata una nuova collaborazione con la scuderia di F1 Aston Martin Cognizant. Il team per tutto il mese di Giugno pubblicherà una serie di contenuti che mettono in evidenza la forza della comunità LGBTQ+ all’interno del Motorsport; e presentano i loghi Racing Pride sulla monoposto 2021 del team, l’AMR21, al Gran Premio di Francia. Ma la partnership va ben oltre l’apporre il semplice logo. In particolare, il movimento lavora già da mesi con il team per una “revisione approfondita” delle politiche esistenti di Aston Martin e fornendo workshop sull’inclusione e consapevolezza al team HR, ai manager di linea e al team interno Diversity & Inclusion.
La scuderia ha abbracciato profondamente la causa e si è rimboccata le maniche per apportare veri cambiamenti.
“Lavoriamo con Aston da un po’ di tempo“, ha ammesso Morris. “Parliamo da quasi quanto esiste il Racing Pride e negli ultimi otto mesi abbiamo lavorato intensamente con il team, con il suo dipartimento delle risorse umane, con il suo management fino al livello più alto, per assicurarsi che il team stesso stia facendo progressi verso l’inclusione.” Sicuramente la persona chiave di questa collaborazione è Matt Bishop, direttore della comunicazione del team dal 2019, che è uno dei pochi gay dichiarati del paddock di F1.
EVENTI
Infine ci sono attività di sensibilizzazione in eventi o fiere e interviste a persone influenti del mondo dei motori che forniscono la loro testimonianza.
Per chi vuole saperne di più e partecipare attivamente alle iniziative trovate qui una vera e propria guida sul come comportarsi per diventare un “ally” della comunità LGBTQ+ e i link ai vari social di Racing Pride: Twitter | Facebook | Instagram
We Race As One
All’inizio del lockdown lo scorso marzo, tanti piloti di Formula 1, fra cui in particolare Hamilton, hanno fatto sentire la loro voce, con l’uso dei social, riguardo a diverse battaglie sociali. Liberty Media quindi lancia l’iniziativa “We Race as One”. Il messaggio è schierarsi contro le disuguaglianze e la discriminazione sociale, legandosi alla campagna “Black Lives Matter”. L’obiettivo inoltre è anche di sostenere i lavoratori che hanno combattuto e che stanno combattendo la lotta contro il Covid-19.
La Formula 1 ha intuito come non possa rimanere in silenzio davanti a temi come quelli descritti e che, grazie all’uso piattaforme social, possa diffondere il messaggio. Per sostenere questa iniziativa, la F1 aveva deciso di usare il simbolo dell’arcobaleno. L’idea era di colorare gli halo delle macchine con esso, almeno fino alla fine della stagione 2020.
We Race As One nel 2021
Dal 2021 invece, l’arcobaleno è scomparso. Questo non significa che l’iniziativa sia agli sgoccioli. Anzi. Ad inizio anno infatti, la FIA decide di finanziare la fondazione con un milione di dollari per riuscire ad ampliare il suo raggio d’azione. Grazie alla donazione, si potrà introdurre temi fra cui la Diversità ed inclusione; la Sostenibilità e la Comunità, ai fans.
Per il primo tema, bisogna menzionare la campagna che vuole aiutare le donne appassionate del mondo del Motorsport a combattere contro stereotipi e discriminazioni. Fiore all’occhiello è appunto la Woman Series. La serie ha lo scopo di sviluppare e sostenere le donne pilota che hanno l’obiettivo di entrare nel circus della Formula 1.
Per quanto concerne la sostenibilità, la FIA ha l’obiettivo di creare un percorso verso motori elettrici, ridurre l’uso delle bottiglie di plastica, posate e sprechi di cibo con l’obiettivo di azzerare le emissioni di CO2 entro il 2030. Questo fa capire come il tema della sostenibilità ambientale è molto sentito fra i fans del motorsport e non solo.
Per il punto legato alla comunità, è molto onorevole l’impegno della F1 a creare rapporti con tutte le comunità locali di tutto il mondo con cui entra in contatto durante le gare. Sono comunità nella quali ci sono squilibri molto importanti, socialmente e economicamente parlando. La F1 infatti, permette alle comunità di svolgere stage e apprendistati per aver poi accesso a carriere promettenti nello sport. Inoltre dallo scorso febbraio, la F1 abbona delle borse di studio per studenti talentuosi di ingegneria, i quali provengono da realtà molto diverse e svantaggiose, per avere delle esperienze in F1 durante il periodo di studi.
Ylenia Salerno
Imma Aurino
Chiara Vulduraro