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Lewis Hamilton, a Baku solo nel suo dolore

“Sono felice che sia finita.” Avremmo mai pensato di sentire un 7 volte campione del mondo pronunciare queste parole? Probabilmente no. Eppure è successo domenica dopo una gara, anzi, una battaglia dura e dolorosa. Lewis Hamilton a Baku ha dovuto fare i conti con una vettura difficile da guidare, una “scatola di m***a” come l’ha definita Toto Wolff. Solo una buona dose di adrenalina gli ha permesso di completare i 51 giri previsti e tagliare così il traguardo in quarta posizione. Però è quando l’adrenalina svanisce che iniziano i problemi.

30 secondi di attesa ci hanno tenuti incollati alla tv. Non avete vissuto quel momento con la voglia di andare ad aiutarlo? 30 secondi interminabili ricchi di silenzio, piccoli e brevi movimenti. Pause lunghe come se volesse assimilare ciò che stesse succedendo, come se cercasse un appiglio, qualcuno o qualcosa che lo tirasse fuori dalla vettura. Momenti non di resa, ma di raccoglimento di risorse ancestrali, nascoste.

In quei 30 secondi non avete sentito la schiena scricchiolare, gli occhi sempre più lucidi, la testa pesante? Non vi è sembrato come se il tempo si dilatasse?

30 secondi in cui la sofferenza e il dolore si amplificano. Intanto resti lì, inerme. Una frase “Still I rise”: uno stile di vita per Lewis Hamilton che lo ha portato a rialzarsi da ogni caduta, da ogni spinta fatta di cattive parole, ingiustizie.

Si è aggrappato all’halo con le ultime forze in corpo, nel tentativo di uscire dalla prigione che lo aveva ingabbiato per un tempo che deve essergli sembrato infinito. Non lo abbiamo mai visto così fragile, vulnerabile. Siamo abituati a vederlo saltare, uscire dalla vettura a testa alta, fiero. Una fierezza generata dall’amore per questo sport. Sentimento che col passare del tempo lo corrode, ora fisicamente. Lo guardiamo, ha lo sguardo stanco e una schiena rotta che ha sopportato per anni il peso del mondo. Lewis Hamilton ha dichiarato: “Negli ultimi 10 giri fino alla bandiera a scacchi, dovevo solo resistere, come ‘Puoi fare questo, hai questo. Sopportalo’.”

Sopportalo, come se l’unico pensiero fosse finire la gara. Quella capacità di subire, di adattarsi a situazioni per le quali si prova istintiva avversione. Quel bisogno che il conto dei giri disputati combaci con quello dei giri da effettuare. Solo che in questo caso diventa una necessità, esigenza viscerale.

Si dice che per sopportare e alleviare il dolore ci sono delle tecniche legate alla mente: l’estraniazione, la focalizzazione su altro. Chissà a cosa ha pensato Lewis in quegli ultimi giri. Forse al tramonto visto dal suo appartamento, al letto che lo avrebbe accolto tornato a casa. O forse a tutte le soddisfazioni raggiunte nella sua vita, alle vittorie, ai momenti felici.

O semplicemente ha atteso, perchè su macchine che vanno a velocità così elevate non ci si può distrarre: bisogna restare lucidi, concentrati. A più di 300 km/h Lewis ha dovuto compiere movimenti innaturali per un pilota, come alzarsi per alleviare il dolore, alzare il piede sul dritto per non andare a sbattere. Un’esperienza strana, logorante per il britannico; una di quelle che non vorresti ripetere.

Lascia Baku con la schiena a pezzi, ma sempre con la forza di alzarsi: non sarebbe Lewis Hamilton altrimenti.

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Non si può riposare, questo weekend la Formula 1 torna in Canada! Riuscirà Lewis Hamilton a gareggiare? Lo scopriremo nei prossimi giorni.

Intanto, se vi siete persi l’ennesimo weekend da dimenticare per i ferraristi, leggete qui.

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Anna Botton

Appassionata di comunicazione e di ogni forma d'arte (sport incluso). Le emozioni sono il mio pane quotidiano. Autodromo, stadi e palazzetti sono la mia seconda casa. Il sogno? Entrarvi con un pass al collo.

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