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5 considerazioni sulla gara Indycar a Fort Worth

La seconda tappa della stagione 2023 di NTT Indycar Series ha regalato grandissimo spettacolo. I 250 giri sull’ovale del Texas Motor Speedway sono stati senza dubbio una delle gare più emozionanti degli ultimi anni. Se non avete ancora letto il report della corsa, vi suggerisco di farlo cliccando qui. In questo articolo andremo a sviluppare alcuni spunti di riflessione che la serata texana ci ha lasciato. Indycar Fort Worth

Quanto influisce il grip? Indycar Fort Worth

Un ovale è normalmente costruito con due linee di percorrenza: una bassa interna, più sicura, e una alta esterna, più veloce ma più rischiosa. A fare la differenza nei sorpassi è quindi il coraggio dei piloti nel percorrere questa seconda linea. Il Texas Motor Speedway, con i suoi banking ripidi, non è proprio il tracciato che più ispira questa fiducia nella linea alta, almeno sul piano teorico. Nonostante ciò, molti piloti vi ci sono avventurati fin dall’inizio della gara, dando origine ad un elevatissimo numero di sorpassi.

Se in parte la spiegazione può essere ritrovata nel PJ1, un composto sparso sull’asfalto per aumentarne l’aderenza, a fare la vera differenza è stata la sessione extra di free practice concessa ai piloti. Avvenuta il giorno prima della gara, ha permesso di lasciare sull’asfalto ulteriore gomma degli pneumatici, che ha contribuito a creare la superfice di alta aderenza che ha favorito i sorpassi.

Con la bandiera gialla per l’incidente di Rosenqvist al giro 179, tuttavia, l’asfalto è stato ripulito. Ciò ha drasticamente ridotto il grip della pista, aprendo le porte ai molti incidenti nell’ultima parte di gara. Questi, infatti, sono stati il doppio di quelli prima della pulizia, in meno della metà dei giri. Per quanto non sia scontato, è lecito ipotizzare che a pista “sporca” non sarebbero avvenuti tutti.

La striscia nera di PJ1 (foto da racereviewonline.net)

La pit lane può decidere le gare Indycar Fort Worth

Uno scontro tra monoposto in pit lane non è certo un evento comune, eppure ieri, al giro 53, è successo. A rimanerne coinvolti sono stati Alexander Rossi e Kyle Kirkwood. Nonostante le evidenti colpe del secondo, che si è immesso nel box senza passare per la lane d’ingresso, tagliando la strada a Rossi, la direzione gara ha invece punito Rossi per unsafe release. La penalità assegnata, una drive-through penalty, sommata alla durata dei lavori per sistemare il muso della macchina dopo l’impatto con Kirkwood, ha relegato Rossi ad un ritardo di sette giri.

Si potrebbe parlare di come questa penalità strana faccia il paio con la gestione del finale della gara di F1 a Melbourne avvenuta la mattina stessa, ma si andrebbe fuori tema. La lezione da apprendere è come a volte la (mala)sorte vada a compromettere la corsa di piloti fino a quel momento ottimi nella gestione della gara.

Dal punto di vista più strettamente tattico, invece, occorre evidenziare la crucialità strategica del scegliere il momento giusto per fermarsi ai box. Se ciò è valido per tutte le categorie di Motorsport, lo è ancora di più in un contesto come l’Indycar che prevede i rifornimenti di benzina. Sul finale della corsa, al giro 182, O’Ward e Newgarden fanno pit stop contemporaneamente. Pochi giri dopo, al 188, Newgarden, seguito da tutti i piloti tra il secondo e l’ottavo posto, rientra di nuovo per rifornirsi ulteriormente.

O’Ward, leader della corsa e unico non rientrato, si trova quindi in difficoltà perché è costretto a fare gestione di carburante per arrivare alla fine, potendo quindi spingere di meno. In questa gara ciò non si dimostrerà un problema, visti le numerose caution nel finale che permettono ulteriori pit stop a tutti. Se si fosse, tuttavia, arrivati alla fine senza ulteriori interruzioni, O’Ward si sarebbe trovato nei guai. Questo dilemma tattico su quante volte e quando passare al rifornimento si ripresenta in quasi tutte le gare Indycar, e spesso risulta determinante.

Quanto è facile doppiare?

A colpire in modo particolare è stata la prestazione di O’Ward. Passato al comando al giro 130 con un sorpasso su Newgarden, il messicano ha continuato la scia di doppiaggi iniziata dal pilota Penske. Newgarden aveva infatti doppiato fino alla decima posizione. Se però la maggior parte della griglia era indietro di un giro, non ci si aspettava che anche i “pezzi grossi” delle prime posizioni potessero venir doppiati. O’Ward li ha invece recuperati uno a uno, fino ad un momento surreale in cui sul lead lap restavano solo lui e Newgarden. Per una frazione di secondo, al giro 166, l’ingresso ai box del secondo ha condannato anche lui al “-1” sulla timetable.

La folle classifica con solo O’Ward e Newgarden sul lead lap

Gli svariati cicli in pit lane hanno man mano riportato sul lead lap altri 6 corridori, che insieme a O’Ward e Newgarden si sono giocati la vittoria fino all’ultimo. L’accaduto rimane comunque sconcertante. Se da un lato gli ovali, in quanto corti, hanno sempre favorito i doppiaggi, dall’altro non si pensava si potesse arrivare a tali estremi. Il lungo periodo di bandiera verde della gara, proseguita senza interruzioni dal giro 61 al giro 179 hanno di certo aiutato. Senza safety car a ricompattare il gruppo e a impedire l’avanzamento dei leader, è infatti naturale che questi guadagnino sempre più terreno sugli altri piloti più attardati, fino a doppiarli. Ciò ci collega al prossimo punto. Indycar Fort Worth

Le caution aumentano lo spettacolo

Prendendo in prestito le parole del presidente della FIM Jorge Viegas: “la partenza è il momento più emozionante della gara”. Si può essere più o meno d’accordo con questo concetto e con la sua applicazione ad un contesto, l’Indycar, con cui Viegas non ha nulla a che fare. Bisogna tuttavia ammettere che a movimentare la gara in Texas -e non solo quella- sono state soprattutto le ripartenze dopo le caution. Il dominio di un solo pilota, per quanto straordinario, diventa presto noioso. Una ripartenza a gruppo compatto, invece, porta sempre a sorpassi ed emozioni.

Il problema di questo ragionamento nasce dal fatto che le bandiere gialle sono esposte dopo gli incidenti. Per quanti possano essere i benefici per lo spettacolo, non si può certo mettere a rischio l’incolumità dei piloti costringendoli a sbattere apposta a muro. Una soluzione potrebbe essere l’applicazione di un sistema a stages basato sul modello NASCAR, che prevede una caution obbligatoria al termine di ogni stage, con il dichiarato intento di aumentare lo spettacolo compattando i piloti. Il passaggio a questo sistema, tuttavia, non risulta neanche valutato, quindi per ora dovremo limitarci a “festeggiare” le caution quando capitano. Ciò ovviamente solo dopo esserci assicurati che i piloti stiano bene.

La safety car dell’Indycar (foto di Chris Jones per Indycar.com)

Review dei team

A saltare subito all’occhio è la dominazione McLaren. Il team papaya ha infatti volato in qualifica, mettendo tutte e tre le macchine nelle prime tre file. Questo vantaggio, tuttavia, non si è concretizzato del tutto. Se O’Ward ha stupito e convinto, pur non vincendo, i suoi compagni non hanno fatto altrettanto. Si può scusare Rossi, la cui gara è stata compromessa dallo scontro in pit lane. Rosenqvist, al contrario, ha deluso, perdendo facilmente la pole position e rimanendo bloccato ai margini della top 10 fino a poco prima del suo incidente. McLaren tutto sommato molto veloce.

Gara dolce-amara anche per il team Penske. Dolce, ovviamente, per la magnifica prestazione di Newgarden, coronata dalla vittoria. Amara per la delusione Power. Il campione in carica, partito ottavo, è infatti resistito solamente per circa 60 giri prima di andare in difficoltà. Da lì è iniziato uno scivolamento in classifica che lo ha relegato intorno al quindicesimo posto per il resto della gara. In un clima di rassegnazione, Power ha chiuso sedicesimo. Percorso opposto per il terzo Penske. McLaughlin, infatti, partito quindicesimo, è risalito fino a far parte degli otto che si sono giocati la vittoria nel finale. Più per meriti altrui che per demeriti suoi, è tuttavia arrivato solo settimo. Indycar Fort Worth

I quattro piloti di Andretti Autosport possono essere divisi in due coppie: chi è rimasto sul lead lap alla fine e chi no. La prima coppia è formata da Grosjean e Herta, la seconda da Kirkwood e DeFrancesco. Aggiungendo Grosjean alla seconda coppia, si può fare un’ulteriore suddivisione: chi ha concluso la gara e chi no. Solo Herta rientra nella prima categoria. Grosjean e DeFrancesco sono finiti a muro, mentre Kirkwood si è ritirato per ignoti problemi meccanici. Team veloce ma strutturalmente rivedibile.

Chip Ganassi Racing aveva assunto Sato specificamente per dominare gli ovali. Al momento, tuttavia, le aspettative sono state deluse. Il giapponese, qualificatosi in terza fila, è stato il primo a ritirarsi. La gara texana è comunque stata molto soddisfacente per il team, che ha ottenuto il terzo e il quinto posto con Palou e Dixon. Bene anche Ericsson, il migliore tra quelli non sul lead lap, che chiude ottavo dopo lo schianto di Grosjean. Viene da chiedersi quanto meglio sarebbe potuto andare un team che ha ottenuto questi risultati se anche Sato fosse stato in giornata. Ad oggi la squadra più completa sugli ovali.

Malukas di Dale Coyne Racing ha fatto una gara fantastica. Partito nono, è rimasto stabilmente con i primi per tutta la gara. Una caution al momento giusto gli ha permesso di stare sulla stessa strategia di Newgarden e di giocarsi la vittoria fino alla fine. Il quarto posto ottenuto vale oro per Malukas, che a fine gara era entusiasta. Lo stesso, tuttavia, non si può dire per il suo compagno di squadra. La gara di Sting Ray Robb, iniziata non malissimo, si è presto stabilizzata intorno al ventesimo posto, per poi infrangersi a muro a 41 giri dalla fine. Per il rookie americano c’è ancora molta strada da fare.

Un rookie che ha offerto una grande prestazione è stato invece Canapino. Alla sua prima volta assoluta in un ovale, l’argentino ha più volte sfiorato la top 10. Ha poi concluso al dodicesimo posto, stessa posizione della gara precedente. La grande giornata della scuderia Juncos Hollinger Racing è stata tale anche per Callum Ilott. Il britannico, molto scattante, è arrivato p9 dopo una gara in cui si è reso protagonista di tanti sorpassi. Juncos Hollinger si è senza dubbio mostrata la migliore delle scuderie “minori” e sembra in grado di sorprenderci ulteriormente questa stagione. Indycar Fort Worth

Luci e ombre per Ed Carpenter Racing e Meyer Shank Racing. Entrambi i team hanno un pilota piazzato bene, rispettivamente Veekay undicesimo e Castroneves decimo. Entrambi hanno un secondo pilota deludente: Daly solo ventesimo per Ed Carpenter, Pagenaud solo diciassettesimo per Meyer Shank. Ed Carpenter stesso, che corre solo part-time per la scuderia di cui è proprietario, è arrivato tredicesimo dopo una gara anonima. Peccato, sono due squadre da cui ci si aspettava di più.

Le prestazioni degli ultimi due team sono riassumibili in una sola parola: mediocri. Pedersen e Ferrucci di A.J. Foyt Racing sono arrivati rispettivamente quindicesimo e ventunesimo. Se la gara di Pedersen è accettabile in quanto rookie, quella di Ferrucci, da sempre ottimo sugli ovali, è sotto i suoi standard. I piloti della Rahal Letterman Lanigan Racing hanno fatto gara a chi si nasconde di più. Harvey ha concluso diciottesimo, Lundgaard diciannovesimo. Rahal, costretto al ritiro per l’incidente con DeFrancesco, ha ammesso che la macchina non andava. In tutta onestà, non serviva ce lo dicesse lui per capirlo.

Marco Toccalini

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