In occasione della presentazione di “24 Ore di Le Mans: 100 anni di una corsa leggendaria” (qui per acquistarlo) allo spazio La Nunziatina a Pisa, lo scorso 3 luglio, Mult1formula ha intervistato Mario Donnini, da 30 anni giornalista di Autosprint, e Roberto Lacorte, pilota d’esperienza nell’Endurance. Da Le Mans alla Formula 1, passando per l’importanza degli sponsor nel motorsport e Fernando Alonso: ecco il racconto di Mario Donnini e Roberto Lacorte.
Le Mans è l’ultima cosa più bella rimasta nel motorsport, dopo tutti questi cambiamenti. Perché in questo boom della Formula 1 (dovuto a DTS o al mondiale Verstappen-Hamilton), l’Endurance, così come altre categorie, rimane in penombra?
Mario Donnini: “Io credo che siano due cose molto diverse, non ne esiste una migliore e una peggiore. Esiste il motorsport, che è un sistema molto complesso; non è come il calcio, che è facile da capire perché c’è campionato nazionale, europeo e poi mondiale. Da noi esistono storie molto diverse, complesse, variegate, e l’Endurance è una civiltà completamente diversa da quella della Formula 1.
La Formula 1 vive un momento di congiuntura favorevole, ma non è detto che durerà per sempre. E mi sembra anche che sia tutto dato un po’ da una moda, da una bolla di borsa: questa non è la più bella Formula 1 della storia, ne sceglierei almeno altre sette. È come in borsa, quando hai i titoli alti e poi dal momento all’altro si abbassano. Invece l’Endurance, una categoria a sé stante, ha 11 costruttori, un regolamento bello, della bellissima gente e delle bellissime gare. “
Roberto Lacorte: “Partendo dal presupposto con cui ha aperto Mario: non si confrontano questi due modi di fare Motorsport. Sono due mondi bellissimi, separati, diversi e si possono muovere degli apprezzamenti e delle critiche all’interno dei loro mondi. La critica che posso muovere alla F1 è che questo momento non è la golden age della Formula 1, ma uno dei momenti più più difficili. Gli anni di Fittipaldi erano una roba pazzesca ad esempio, e nel mentre l’Endurance era già attivo. La difficoltà della F1 in questo momento è giustificata da tutte queste iniziative, a volte un po’ goffe, di trovare qualcosa di diverso: Shootout, Sprint…
Dall’altra parte c’è un Endurance che sicuramente non ha gli stessi numeri. I numeri della F1 contro l’Endurance sui contatti sono enormemente inferiori, però sono diversi: l’appassionato dell’Endurance è un appassionato profondo, intimo, che prende tutto. In F1 c’è una fidelizzazione molto più ampia ma più lieve. È chiaro a tutti che l’Endurance in questo momento è fuori controllo della sua bellezza, sta esplodendo: si stanno verificando problemi di sovrannumero di tutto, costruttori, piloti, investimenti…
Non si riescono a gestire quante gare, quante richieste per il prossimo campionato del mondo. Ed è vero che Le Mans è la pista più leggendaria, ma non ci dimentichiamo che ci sono delle piste come Sebring, ad esempio, che quando si va lì allora si va all’ennesima potenza del romanticismo. Lì c’è un’ altra cultura, quella dello Sport come è negli Stati Uniti”.
Come è stato vedere la Ferrari che dopo 50 anni torna e vince Le Mans?
Mario Donnini: “Faccio un esempio: abbiamo rischiato di vincere il mondiale di calcio quattro volte, ma in 58 anni non abbiamo mai rischiato di vincere Le Mans con la Ferrari. Quindi questa è come la cometa di Halley, è una di quelle cose che nella vita o la vedi una volta o non la vedi mai. Io credevo di non vederla mai e l’abbiamo vista, è una cosa incredibile. È stato uno dei più grandi successi nella storia dello sport italiano e spero che venga capito perché ho paura che passino i mesi e facciamo fatica a renderci conto di quello che è successo. È un evento unico, non capiterà forse mai più nella mia vita.”
Roberto Lacorte: “Quella della Ferrari è una vittoria di uomini. Una Ferrari di altri tempi, che rende la Scuderia così importante. Gli uomini sono Antonello Coletta, Amato Ferrari e Ferdinando Cannizzo, due piloti e un grande ingegnere. Antonello Coletta era maledettamente veloce nei kart, poteva diventare un pilota di F1. Amato è arrivato ai tempi di Giovanardi nel Superturismo.
Sono uomini grandi, di grande temperamento, di grande cultura sportiva e di grande fascino, che significa anche quell’autorità guidata dalla competenza, cioè il carisma, che riescono a mettere intorno a sé un gruppo di persone molto vasto, come faceva il vecchio Ferrari e come facevano i grandi che hanno guidato le migliori case automobilistiche.
Il brand Ferrari è talmente vasto che deve essere dato in mano a persone di grande polso, di grande carisma e di grande competenza. La cosa più bella è stata la scelta dei piloti che è stata fatta sugli uomini, sul carattere e sull’investimento delle persone. È un comune denominatore che non si compra, e quando qualcosa non si compra si ha l’esclusività e si rischia di vincere, come è successo”.
(A Roberto Lacorte) Sei il fondatore di Pharmanutra e dunque anche del marchio Cetilar, che è sponsor in tante categorie e che da poco ha avviato una collaborazione con Fernando Alonso.
R.L.: “Sì, Fernando è un’amico. Ci conosce da molto tempo, è una persona estremamente semplice ed è cristallino, una delle persone più autentiche che abbia mai conosciuto. Per questo a volte sta sulle scatole e alza polveroni, perché è così. Lui ha iniziato questa collaborazione perché usa veramente i nostri prodotti. A dicembre aveva addirittura già firmato un contratto con un concorrente… Lui fa le cose con il cuore, è fortissimo”.
Quanto sono fondamentali gli sponsor nel motorsport di oggi?
R.L.: “Sono fondamentali, è il motore di tutto. È chiaro che l’unione tra le opportunità di business alimenta i budget da condividere e si creano più posti di lavoro. Cetilar Racing è una grande soddisfazione perché crea opportunità di lavoro, piloti nuovi, finanziamo una divisione di ragazzini in gamba, due stanno andando forte”.
Sei nel mondo del motorsport come pilota, parte sponsor e padre.
R.L.: “Che è la cosa più difficile. I padri-piloti sono veramente difficili da gestire. Tant’è vero che ho avuto la fortuna di avere ora, indicato da Antonello Coletta, un manager bravissimo per Nicola che mi ha messo in folle e quindi risente meno della mia presenza. Il padre-pilota deve avere la consapevolezza di fare il padre e non fare mai il padre-pilota, perché è molto complicato anche perché rischi di essere troppo invasivo nella vita professionale di tuo figlio e ne determini un po’ troppo i sentimenti e le emozioni.
Poi se fai il padre-pilota togli la figura del padre, che è importantissima: l’abbraccio quando c’è qualcosa che non va, il momento di conforto in un momento più complicato o è quello della condivisione della vittoria. Però quando si scende nel tecnico come io ho fatto la mia strada lui deve fare la sua. Non è facile, a volte sbaglio.” mario donnini roberto lacorte
(A Mario Donnini) Più e più volte nella tua carriera sei tornato sul tema di Le Mans.
M.D.: “È un discorso semplice e più ampio: io sono un appassionato delle grandi classiche. Come nel ciclismo esistono le classiche monumento così esistono anche nel motorsport. Ho avuto la fortuna di seguire la Tourist Trophy nel motociclistico, la Dakar auto moto e camion, Le Mans… Purtroppo non ho avuto la fortuna di vedere la Mille Miglia quando esisteva perché è finita prima che io nascessi, così come la Targa Florio. Penso che esistano delle manifestazioni classiche che hanno un fascino assolutamente unico e che hanno creato la leggenda del nostro sport.
Tutti gli uomini sono uguali come dignità, ma non tutte le gare sono uguali, alcune sono diverse e ne hanno di più e quindi io credo che vadano raccontate, vissute e apprezzate, Le Mans è una di queste. La F1 ci sta spiegando che dal nulla si possono creare Las Vegas, Singapore… basta prendere tanti soldi, trovare la location ideale e creare un evento. Questo è vero, però è diverso. Una classica è una cosa completamente diversa. Gran parte della mia carriera è stata spesa nel cercare di dare importanza alle cose importanti dell’automobilismo, a quelle che credo che siano importanti. Non ho verità assolute, ma un pizzico di sensibilità”.
Un altro tema su cui ci sei tornato spesso è stato il legame tra Ayrton Senna e Imola.
M.D.: “Imola è stato l’unico circuito in cui Senna non è riuscito a qualificarsi. Per un pilota non qualificarsi è la più grande umiliazione che può subire. Adesso non esiste più, in F1 ora si qualificano tutti, ma prima era difficile e i grandi si qualificavano sempre, a differenza dei somari o di quelli più o meno bravi. Senna ad Imola non si è qualificato ed è stata la più grande frustrazione della sua vita. Ma sempre lì ha ottenuto 6 pole position consecutive, perché aveva tanta rabbia dentro.
Dunque Imola per Ayrton è stato il circuito del destino: correva in un posto che assomigliava al Brasile per passione, partecipazione, calore e per questo ha sempre avuto un rapporto speciale con l’Italia. Purtroppo però è anche stato il circuito del Destino. Per certi versi però non è diventato il luogo maledetto per Senna e di Senna, ma è diventato un simulacro di culto, di ricordo, di rispetto e anche di conservazione di quell’amore nei suoi confronti. E questo è molto bello”.
Cosa consiglierebbe ai giovani che vogliono intraprendere la strada del giornalismo sportivo?
M.D.: “Leggete, siate curiosi, scavate. Andate in profondità, siate assetati, prendetela come un pretesto per migliorare voi stessi: non diventerete ricchi, ma non sarete ignoranti”.