La F1 è bella quanto spietata, entrano in gioco fattori che vanno oltre al talento. Per questo capita di vedere piloti sostituiti nel corso della stagione, come ci ha abituato Red Bull negli ultimi anni. Ultimo in ordine di tempo Nyck De Vries, licenziato in tronco per i mancati miglioramenti alla guida dell’AlphaTauri.
La breve storia di Nyck De Vries in F1
Il nono posto di De Vries al gran premio di Monza della scorsa stagione è come una gemma che gli regala una serenità mai provata. Gli fa pensare di essere stato davvero bravo, e questo è oro colato nella carriera di un pilota che dopo le categorie propedeutiche si è dato alla FE perchè il suo momento in F1 non arrivava mai.
Nell’ottobre 2022 arriva infatti l’annuncio che l’olandese guiderà l’AlphaTauri al fianco di Tsunoda nella stagione 2023 al posto di Gasly. Una notizia attesa, per qualcuno invece inaspettata, ma che divide. Se c’è chi è contento dell’arrivo di un nuovo talento, c’è anche chi non lo vede all’altezza della F1. Non basta una gara, è sulla lunghezza che si vede il vero talento, se davvero sei degno e portato per la categoria regina… di cuori. Sicuramente è una bella notizia per Nyck, che finalmente avrà la sua occasione.
Ha visto realizzarsi un sogno, ma forse non sapeva sarebbe diventato un incubo.
La stagione 2023 non è come si aspetta: la macchina non va, fatica a guidarla. Però nessuno si sarebbe aspettato che il posto gli venisse tolto così presto. Non dopo i sacrifici, la lunga attesa…
Ma come si può dimostrare qualcosa dopo solo 11 gare? È una domanda senza risposta. Come un pozzo di cui non riesci a vedere il fondo: fa paura.
De Vries non è però l’unico pilota che è stato licenziato a stagione in corso. Tra piloti illustri e protagonisti di momenti destinati a entrare nella storia di questo sport, sono decisioni che possono lasciare un segno – positivo o negativo che sia – sia nel team che nel pilota.
Quando i soldi la fanno da padrona
In Formula 1, si sa, gli sponsor e i soldi fanno da padrone, e possono decidere il destino di piloti e scuderie. I conflitti d’interesse possono mutare situazioni e dinamiche di per sè favorevoli. È questo infatti il motivo che si cela dietro la separazione tra Michele Alboreto e Tyrrell nel 1989.
Michele Alboreto, 1989
L’italiano riuscì a dimostrarsi all’altezza del posto offerto, ottenendo anche un terzo posto nel Gran Premio del Messico. Ma i problemi sorsero nel momento in cui Ken Tyrrell firmò un contratto con la Camel, mentre il milanese era sponsorizzato dalla Marlboro. Dato l’evidente conflitto di interessi, il patron inglese invitò Alboreto ad abbandonare la partnership con Marlboro, cosa che l’italiano rifiutò. Si giunse così ad una separazione a stagione in corso, che comportò il debutto del francese Jean Alesi nel suo Gran Premio casalingo. Ironia della sorte, nella stessa stagione Alboreto firmò per i francesi della Larrousse, anche loro sponsorizzati dalla Camel.
Licenziati per orgoglio
Alcuni licenziamenti della F1 non hanno a che vedere con i soldi, ma con il lato umano. Sì, perchè nel circus una caratteristica che accomuna tutti è l’elevato orgoglio, quello che ti spinge a voler essere il migliore. Quando però è eccessivo, ecco che in alcuni casi si può arrivare al licenziamento.
Alain Prost, 1991
Probabilmente il licenziamento più famoso del circus è quello di Alain Prost nel 1991, al suo secondo anno in Ferrari. Il motivo? A Maranello ci hanno visto rosso.
Dopo una stagione conclusa al secondo posto, alle spalle di Ayron Senna, la vettura sviluppata dal Cavallino Rampante deluse le aspettative del francese. La goccia che fa traboccare il vaso è una semplice parola: camion. Così aveva infatti definito la Ferrari il Professore al termine del Gran Premio del Giappone, per lui un incubo ricco di difficoltà.
Risultato? Bocciatura immediata.
La situazione volse a favore di Prost che, dopo un anno sabbatico, tornò in Formula 1 nel 1993 vincendo il titolo con la Williams, per poi entrare nel circus in qualità di costruttore. La Ferrari, invece, sostituì Alain prima con Gianni Morbidelli e poi Ivan Capelli. Vetture nate male che non fecero vedere ai piloti neanche una vittoria in due anni.
Forse Prost non aveva tutti i torti.
Jarno Trulli, 2004
Andando in ordine cronologico, arriviamo al 2004. A differenza della situazione in Ferrari, in Renault è emersa la debolezza del pilota.
Jarno Trulli era uno dei primi piloti della Renault. Se agli inizi vi era equilibrio con lui e Button entrambi competitivi, lo stesso non si può dire con l’arrivo di Alonso. I risultati che pendevano verso lo spagnolo hanno messo l’italiano verso un’unica direzione: cambio a fine stagione.
Così però non avvenne.
Nel corso della stagione 2004 Flavio Briatore, non soddisfatto dei risultati ottenuti da Trulli (nonostante avesse anche vinto una gara), gli comunicò che al termine del campionato non avrebbe più corso in Renault. A partire dall’annuncio, Trulli inanellò una serie di risultati negativi. Briatore non aspettava altro, considerando che era anche il manager di Alonso. Licenziò in tronco Trulli, accusandolo di non dare il massimo per la squadra, e al suo posto arrivò Jacques Villeneuve.
L’italiano trovò subito una nuova squadra. Disputò infatti le ultime due gare con la Toyota, con la quale aveva già stretto un contratto per la stagione successiva.
Magari non è orgoglio, ma sicuramente annunci così destabilizzano il pilota che perde ogni certezza. Forse cresce nell’uomo il seme della vendetta, di farla pagare quasi come un dispetto.
A volte basterebbe un po’ di diplomazia, cosa che non è stato in grado di fare Juan Pablo Montoya nel 2006.
Juan Pablo Montoya, 2006
Veloce, combattivo, ma senza la solidità mentale per diventare un campione: ecco la carriera del colombiano. Ha sempre patito il confronto coi grandi, ma nel 2006 in McLaren ha dovuto fare i conti con il suo compagno di squadra: il giovane Kimi Raikkonen, che andava più veloce di lui. Tra la sconfitta interna e l’annuncio dell’approdo di Alonso la stagione successiva, il suo addio era certo a fine anno.
Invece la poca diplomazia di Montoya e l’orgoglio di Ron Dennis portarono a una rottura del rapporto prematura dopo il gran premio degli Stati Uniti, circa a metà stagione.
Dopo che al primo giro della gara andò addosso proprio a Raikkonen causando il ritiro di entrambi (e di Scott Speed sulla Toro Rosso), il colombiano colse l’occasione per annunciare alla stampa, ma non alla squadra, che alla fine dell’anno sarebbe passato alla Nascar. Ovviamente in McLaren non la presero bene: era una mancanza di rispetto verso tutto il team. Per questo Ron Dennis lo accompagnò subito alla porta accogliendo temporaneamente Pedro De La Rosa fin dalla gara successiva, il GP di Francia.
Se le cose fossero andate diversamente è quasi certo che Montoya avrebbe una reputazione migliore.
Qui iniziano i guai
Ancora una volta i protagonisti di un licenziamento sono Briatore e la Renault. Come ora accade in Red Bull Racing, così negli anni duemila la scuderia francese aveva la fama di non farsi scrupoli a mandar via piloti per ottenere il miglior risultato. Oppure a giocar sporco.
A farne le spese nel 2009 è stato Nelson Piquet Jr.
Nelson Piquet Jr, 2009
Il figlio d’arte del grande Piquet, tre volte campione del mondo, ha visto deteriorarsi i rapporti con la Renault l’anno dopo il suo arrivo, quando il brasiliano fu sostituito con Romain Grosjean per non essere stato all’altezza dei risultati che la scuderia francese si aspettava.
A far scalpore però non fu il licenziamento in sè, ma una dichiarazione di Piquet jr uscita qualche settimana dopo. Il brasiliano affermò di aver ricevuto da Briatore l’ordine di schiantarsi contro il muro, nel Gran Premio di Singapore del 2008 divenuto celebre col nome crashgate, per agevolare la rimonta (e la vittoria) di Alonso, in quanto quel tratto di pista era sprovvisto di gru e necessitava l’intervento della safety car.
Fu uno scandalo che avviò un’inchiesta da parte della FIA. L’esito fu grave per il team, in quanto Renault venne bandita per due anni, per Briatore, radiato dal mondo delle corse (decisione poi annullata dal Tribunale di Parigi) e per l’ingegnere Pat Symonds, sospeso cinque anni.
Umiliazione
Il posto va guadagnato, la F1 non guarda in faccia nessuno. Puoi anche essere un campione del mondo, puoi anche aver vinto la 500 miglia di Indianapolis, ma contano i risultati. È un mondo spietato, sono tutti agguerriti pronti ad agguantare l’occasione giusta.
Però c’è modo e modo, il trattamento deve essere rispettoso. Quando entra in gioco l’umiliazione, ecco che la reputazione va scemando. BMW Sauber e Jacques Villeneuve possono confermarlo.
Jacques Villeneuve, 2006
Campione del mondo o no, il posto te lo devi sempre guadagnare. E quando non ci riesci, qualcuno che ti sostituisce si trova molto in fretta. Così Jacques Villeneuve fu costretto ad un addio amaro e alquanto umiliante, per un pilota che non solo è stato iridato in F1 ma ha anche vinto la 500 miglia di Indianapolis. Nella stagione 2006 Villeneuve era al volante di una Bmw Sauber non precisamente competitiva. Il canadese ottenne infatti diversi ritiri per problemi meccanici prima di andare a sbattere violentemente ad Hockenheim, infortunandosi. Dovette saltare la gara successiva in Ungheria, e per questo il suo posto fu preso dal promettente Robert Kubica. Le prestazioni del polacco furono positive tanto che il team svizzero-bavarese voleva preferirlo alla vecchia gloria sul viale del tramonto.
Con Villeneuve ancora sotto contratto, però, in BMW Sauber venne un’idea tutt’altro che positiva. La squadra propose al campione del mondo di effettuare dei test privati insieme al giovane polacco, per stabilire chi fosse il migliore.
Fortunatamente Jacques era un 35enne con una dignità che, capendo l’antifona, decise di ritirarsi.
Che coraggio!