Questione di contratti F1 Medio Oriente
La prima gara di Formula 1 tenuta in Medio Oriente è stata il Gran Premio del Bahrain, nel 2004. Da quel momento, gli eventi organizzati dal Circus in Medio Oriente sono andati aumentando, fino ai quattro Gran Premi confermati per la stagione 2021: Qatar, Bahrain, Arabia Saudita e Abu Dhabi. Tre di queste corse sono state poi confermate per il 2022, mentre il Qatar – che il prossimo anno ospiterà il Campionato Mondiale di Calcio – tornerà in calendario nel 2023, con un contratto di dieci anni che lo vedrà impegnato con la Formula 1 fino al 2032.
La crescita ecosostenibile
Le parole di Stefano Domenicali, riguardo l’organizzazione dei Gran Premi in Medio Oriente:
“In Medio Oriente vediamo molto potenziale per crescere, capiamo che possiamo migliorare ciò che è la Formula 1. C’è una ricerca tecnologica e sportiva. Inoltre crediamo di avere una responsabilità verso il futuro del nostro progetto sostenibile”.
Infatti, negli ultimi anni, i paesi del Medio Oriente stanno tentando di spostare il proprio mercato dalle fonti di energia non rinnovabili, in particolare dal petrolio, a un’economia ecosostenibile.
Lo sportwashing
Quelli sul piano ambientale, però, non sono gli unici miglioramenti che bisogna apportare alla nostra società, ma è necessario anche raggiungere l’equità di genere e i pari diritti umani per tutto il globo. L’Arabia Saudita, in particolare, è duramente criticata dagli attivisti dei diritti umani, ma anche il Qatar è al centro dell’attenzione per la sua situazione controversa nel campo della parità di genere.
Dopo aver quindi formalizzato i nuovi accordi che legano la Formula 1 ad alcuni dei paesi del Medio Oriente, non sono mancate le critiche dei gruppi attivisti, tra cui Amnesty International, che ha accusato la F1 di sportwashing (ndr.:il tentativo da parte di Paesi in cui non sono garantiti i diritti umani di ripulire la propria immagine sfruttando lo sport). Dopo questo attacco da una delle più grandi organizzazioni non governative, il presidente della FIA Jean Todt, ha replicato con queste parole:
“Siamo uno sport. È un problema che si discute spesso anche con il Comitato Internazionale Olimpico, perché hanno lo stesso problema, e chiaramente pensiamo che lo sport non debba essere apolitico. Abbiamo bisogno di lavorare con le ONG, come Human Rights Watch, ma dobbiamo capire che tipo di contributo possiamo dare. Sono dell’opinione che andare in quei paesi dia la possibilità alle persone che hanno un’opinione negativa di un determinato Stato di parlare. Come ho detto, per me è stata la giusta decisione.”
I fan non hanno esitato a utilizzare i social media per esprimere come, nonostante lo slogan “We Race As One”, la Formula 1 stia prendendo scelte controverse. In una situazione così delicata, il Circus dovrà impegnarsi a far valere i propri valori.