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Donne a Indianapolis: un rapporto quasi secolare sotto varie forme

Donne a Indianapolis

Negli ultimi anni, il ruolo delle donne nel mondo della F1 ha fatto discutere sovente sugli impieghi in cui sono occupate. In massima parte le vediamo come addette stampa, come strateghe in Red Bull nel caso di Hannah Schmitz o con ruoli dirigenziali nel caso di Susie Stoddart-Wolff. Eppure, il ruolo di pilota nel loro caso è poco considerato, con una presenza rarefatta o del tutto inesistente in griglia. In NTT Indycar Series la loro presenza sembra essere maggiormente marcata. Con il ritorno di Katherine Legge in gara per la Indy 500 e la ricorrenza dell’8 Marzo, ripercorriamo dunque la storia delle donne a Indianapolis.

Un rapporto in sordina

Durante le prime edizioni della Indy 500, le donne a Indianapolis proprietarie di un team o presenti come sponsor hanno partecipato alla corsa. In aggiunta, gli impieghi fuori dall’attività in pista erano comuni. Le donne a Indianapolis erano impiegate regolarmente per esibirsi in varie forme durante le cerimonie pre-gara. Erano invitate come dignitari a partecipare alla gara, molte venivano impiegate dallo Speedway, lavorando nella biglietteria, nei motel presenti nei paraggi e in altre posizioni amministrative.

Ray Keech
La Miller condotta in gara da Ray Keech e gestita da Maude Yagle, vincitrice della Indy 500 del 1929 (Photo source: Indycar1909.com/Photo Credits: Indianapolis Motor Speedway, Kirkpatrick)

La prima, e finora unica, donna a vincere la Indy 500 come team owner fu Maude “M.A.” Yagle nell’edizione del 1929, con Ray Keech come suo pilota. Disgraziatamente, Keech perirà in un incidente a soli 29 anni, appena 16 giorni dopo il trionfo a Indianapolis mentre disputava la Altona 200 a Tipton, in Pennsylvania, in un incidente dalla dinamica raccapricciante. Nel 1935, invece, la scrittrice e aviatrice Amelia Earhart venne nominata come “Arbitro onorario”, una posizione pressoché cerimoniale.

Le donne rompono usanze obsolete

Paradossalmente, la presenza femminile ad Indy era pressoché scoraggiata, se non addirittura proibita! Infatti, l’accesso alla pit lane era vietato alle donne sin dall’inizio della competizione. Questa usanza non si pensò mai di abolirla fino al 1971. Fu Denise McCluggage, una giornalista e fotografa con un passato da pilota tra gli anni ’50 e ’60 con una partecipazione al Rally di Monte Carlo nel 1964 e alla 1000 km del Nürburgring, a rompere questa usanza.

Donne a Indianapolis
Denise McCluggage con Sir Stirling Moss a Sebring nel 1961. Giornalista e pilota, fu la prima donna a rompere l’usanza del divieto alle donne di essere ammesse in pit lane ad Indianapolis, pratica ancora in uso nel 1971 (Photo source: readingeagle.com/Photographer unknown)

L’anno successivo, nel 1972, venne eletta come prima donna alla guida della pace car Dolly Cole. Non fu casuale il fatto che guidò una vettura della Oldsmobile, in quanto il marchio era di proprietà della General Motors Company ed ella era moglie di Ed Cole, uno dei dirigenti dell’azienda principali. Nel 1974, la moglie del vincitore Johnny Rutherford, Betty, fu la prima donna ad assistere alla gara del marito per intero dai box. Il suo compito fu quello di tenere i tempi di Johnny, cosa che suscitò molto interesse da parte dei media. Da allora, molte mogli dei piloti decisero di seguire il suo esempio, divenendo parte integrante del racconto della corsa, delle gioie e dei dolori dei rispettivi mariti.

Janet Guthrie, pioniera delle donne a Indianapolis che sfidano le barriere

Donne a Indianapolis
Janet Guthrie (a sinistra) a fianco di Lella Lombardi (al centro) e Christine Beckers (estrema destra) poco prima del via della 1977 Firecracker 400 a Daytona. Assieme a loro, in veste di Grand Marshal, Lee Petty, 3 volte campione NASCAR Grand National Series e padre di Richard Petty “The King”. (Photo source: nascar.com/Photographer unknown)

Fu soltanto nel 1976 che una donna compì nella storia di Indianapolis un atto ritenuto epocale. Infatti, Janet Guthrie fu la prima donna che tentò la qualificazione per la Indy 500. La sua partecipazione, a bordo di una Vollstedt-Offenhauser, la vide superare il Rookie Orientation Program. Tuttavia, numerosi problemi tecnici ostacolarono le sue prestazioni. In questa situazione, incominciarono ad emergere critiche da alcuni piloti che dubitavano delle sue capacità in quanto una donna.

A quel punto chi prese le sue difese fu A.J. Foyt. Il 7 volte campione Indycar e 4 volte vincitore della Indy 500, di fronte a queste critiche si infuriò a tal punto che decise di fornire a Janet il suo muletto Coyote-Offenhauser di scorta. Janet condusse alcune tornate a bordo della vettura, risultando sufficientemente competitiva da potersi qualificare per la corsa, smentendo le critiche dei giorni precedenti. Sfortunatamente, lei non riuscì a trovare sufficienti sponsor per poter partecipare alle sessioni successive, così dovette rinunciare al tentativo di qualificarsi.

1977, l’anno dell’impresa

Nonostante ciò, Janet Guthrie non si scoraggiò affatto di fronte a queste avversità. Dopo aver disputato alcune gare in NASCAR Winston Cup Series con risultati più che lodevoli e divenendo la prima donna di sempre a competere in Cup Series, nel 1977 ritentò ancora una volta la sorte ad Indianapolis. A bordo di una Lightning-Offenhauser, mentre Tom Sneva rompeva la barriera delle 200 miglia orarie sul giro singolo, Janet Guthrie ruppe quella di genere, qualificandosi al 26° posto su 33 partenti, ad una velocità media di 188.403 miglia orarie. La sua velocità media in assoluto era anche migliore di tanti altri, risultando al 19° posto. A 38 anni di età, Janet Guthrie divenne la prima donna nella storia a qualificarsi per la 500 miglia di Indianapolis.

Janet Guthrie
Janet Guthrie in azione durante le prove della Indy 500 nel 1977 (Photo source Indycar.com/Photographer unknown)

Tuttavia, le difficoltà per lei non mancarono nemmeno in questa edizione. La mattina della gara, un funzionario che ispezionava l’area dei box si accorse che il tubo del serbatoio del carburante Guthrie perdeva. Sotto il serbatoio vi era una perdita di metanolo e i funzionari minacciarono di squalificarla se non fossero riusciti a contenere la perdita. Con una riparazione improvvisata, i meccanici avvolsero un sacchetto di plastica attorno al tubo, i funzionari ne furono soddisfatti.

Quando essere donna mette in dubbio le usanze

Oltre a questo inconveniente, le controversie aumentarono attorno al comando di partenza della gara, solitamente recitante la frase “Gentiluomini, accendete i vostri motori!”. I dirigenti dell’Indianapolis Motor Speedway non erano disposti a cambiare la frase, mostrandosi fortemente conservatori. Durante la settimana prima della gara, la direzione annunciò il mantenimento della formulazione del comando, nonostante i suggerimenti offerti da vari promotori e membri dei media in tutto il paese. I dirigenti usarono come scusante il fatto che le auto fossero avviate da meccanici maschi con un motorino di avviamento elettrico manuale da dietro l’auto.

Janet Guthrie
Janet Guthrie a colloquio con Rolla Vollstedt durante le prove della Indy 500, 1977 (Photo source: Indycar.com/Photographer unknown)

Guthrie e il suo equipaggio, sconcertati dalla testardaggine della direzione, reagirono assegnando a Kay Bignotti (moglie di George Bignotti), l’onore di avviare la vettura di Janet. L’argomentazione dello Speedway venne così rapidamente confutata, costringendoli a dare un comando speciale per quell’anno. Tony Hulman, proprietario dell’Indianapolis Motor Speedway, al momento del comando formulò la frase seguente:

“In compagnia con la prima signora a qualificarsi ad Indianapolis, gentiluomini, accendete i vostri motori!”

Tony Hulman, proprietario dell’Indianapolis Motor Speedway, dà il comando di partenza della 1977 International 500 Mile Sweepstakes, 29 Maggio 1977

Sfortunatamente, in gara le cose vanno in malo modo per Janet Guthrie. In numerose occasioni è costretta a fermarsi ai box, trovandosi obbligata a ritirarsi dopo appena 29 giri, con gravi problemi al motore. Alla fine della giornata si classificherà al 29° posto finale. Successivamente, Janet Guthrie tenta la partecipazione ad Indianapolis dal 1978 al 1980. Nelle ultime due edizioni le cose andarono male. Nel 1979 un pistone cedette dopo appena 3 giri, mentre nel 1980 mancò la qualificazione. La sua miglior gara fu nel 1978, dove a bordo di una Wildcat-DGS concluse al 9° posto finale su 13 piloti al traguardo, a 10 giri dal vincitore Al Unser Sr.

L’impegno dopo la carriera in auto

Dopo aver smesso di correre, Janet Guthrie si impegnò pubblicamente per il ruolo che hanno le donne nel mondo del motorsport. Nel 1987, in un’intervista al Los Angeles Times, dichiarò pubblicamente il suo disappunto nei confronti della mancanza di un adeguato supporto finanziario per le donne in qualità di piloti.

“Gli uomini ricevono sponsorizzazioni e le donne no. Mi sembra ingiusto, ma a chi importa dell’ingiustizia? Ciò che conta è la linea di fondo. Gli sponsor vogliono la pubblicità che le gare portano a loro. Una donna che ha successo nelle corse riceverà un’attenzione dieci volte superiore a quella di un uomo. Quindi cosa è veramente importante? Si ritorna al network del ‘Good ‘ol boy’. Molte aziende stanno spendendo Dollari deducibili dalle tasse per sponsorizzare piloti maschi.”

Janet Guthrie in un’intervista al Los Angeles Times, 1987
Janet Guthrie
Janet Guthrie a colloquio con Sir Jackie Stewart, al tempo commentatore per ABC Wide World of Sports, durante le prove della Indy 500, 1978 (Photo source: usatoday.com/Merlin FTP Drop/Photographer unknown)

Nel 2011, Guthrie firmò una petizione a sostegno del diritto delle donne in Arabia Saudita per guidare nelle strade di tutti i giorni. La petizione chiedeva al re saudita Abdullah di sponsorizzare un Gran Premio femminile saudita, progetto nato da un’idea dell’attivista per i diritti umani d’origine israeliana David Keyes. In un programma ESPN andato in onda nel Maggio 2019 ella dichiarò:

“Puoi tornare indietro nel tempo per trovare donne che fanno cose straordinarie, ma la loro storia è quasi sempre dimenticata. O si nega che sia mai esistita. Quindi le donne continuano a reinventarsi. Le donne hanno sempre fatto queste cose, e le faranno sempre.”

Janet Guthrie al programma “Qualified” dedicato alla sua carriera, 2019

Nello stesso anno, Janet Guthrie è inserita nella Automotive Hall of Fame, per i suoi successi conseguiti nel motorsport. Lei, oggi ad 85 anni di età, è la quinta donna ad essere inserita nella lista.

Gli anni ’80: le donne a Indianapolis non trovano uno spazio

Dopo i cinque tentativi di Janet Guthrie alla Indy 500, era auspicabile un cambio di rotta netto con l’arrivo degli anni ’80 e la nascita della CART Series. Tuttavia, la loro presenza sarà estremamente limitata e risulterà essere un decennio di involuzione sotto il profilo della partecipazione di donne alla corsa.

Desiré Wilson: quando non basta l’esperienza

A volte non è sufficiente avere un discreto palmarés di partecipazione a svariate competizioni internazionali per essere ammesso al più grande spettacolo del motorsport. Questo è il caso di Desiré Wilson. Sudafricana classe 1953, la sua carriera la vide vincitrice di due titoli Formula Ford in patria nel 1975 e 1976. Oltre a ciò, in Europa si fece un nome ben presto concludendo al terzo posto in Formula Ford Benelux, britannica e olandese nel 1977.

Desiré Wilson
Desiré Wilson in azione durante il GP del Sud Africa 1981 (Photo source: timeslive.co.za/Supplied)

Ben presto, si affaccia al mondo della Formula 1 partecipando alla serie britannica Formula AFX dal 1978 al 1980, gareggiando con Ensign, Tyrrell, Wolf e Lotus. In questo periodo disputerà 27 gare, conquistando 8 podi e 3 giri veloci. L’impresa però la compie a Brands Hatch nel 1980. Infatti, Desiré riesce a conquistare la prima, e finora unica, vittoria di una donna a bordo di una monoposto di Formula 1, a bordo di una Wolf WR4 del team Theodore Racing. In tutto ciò, la sudafricana gareggerà anche in due GP non validi per il mondiale. Nel 1979 concluderà al 9° posto la Race of Champions a Brands Hatch con una Tyrrell del team Melchester Racing.

Desiré nel 1980 tenterà di qualificarsi senza successo al GP d’Inghilterra 1980 con una Williams del team Brands Hatch Racing. L’anno successivo, nel suo GP del Sud Africa a Kyalami, riuscirà finalmente a qualificarsi a bordo della Tyrrell ufficiale, salvo poi doversi ritirare. Sfortunatamente, quella gara verrà considerata come non valida per il mondiale, a seguito delle diatribe tra FISA e FOCA del tempo. Lasciato il mondo della F1, Desiré Wilson gareggia alla 24h di Le Mans, alla 12h di Sebring e alla 24h di Daytona tra il 1982 e il 1997.

La parentesi americana

Nel frattempo, Desiré si addentra anche nel mondo della CART Series e cerca dunque fortuna negli Stati Uniti. Per tre volte tenta la partecipazione ad Indy dal 1982 al 1984 con Theodore Racing e Wysard Racing. In tutte e tre le occasioni, la sudafricana non riuscirà mai a trovare la qualificazione.

Desiré Wilson
Desiré Wilson durante le prove della Indy 500, 1982 (Photo source: autoetecnica.band.uol.com.br/ photographer unknown)

La sua carriera, tuttavia, non si limitò soltanto ad Indy. Dal 1982 al 1986, infatti, Desiré Wilson partecipò ad un totale di 15 gare anche con Machinists Union Racing, tutte a bordo di una March-Cosworth. I risultati non furono comunque eccelsi, con un 10° posto a Cleveland nel 1983 come miglior piazzamento. Questo risultato fu comunque sufficiente per renderla la prima donna nella storia della CART Series a ottenere un piazzamento in zona punti, la prima donna a concludere una gara in top 10 dal 9° posto di Janet Guthrie alla Indy 500 del 1978, all’epoca un evento USAC.

In aggiunta a ciò, Desiré Wilson gareggiò anche in Indy Lights Series in due gare nel 1986 e 1991 a Phoenix e Denver con delle March-Buick. Proprio nella prima partecipazione, Desiré otterrà il suo miglior risultato con un 6° posto finale.

Ambert Furst: quando invece l’esperienza sarebbe stata necessaria

Nello stesso periodo, nel 1983, un’altra donna tentò la qualificazione alla Indy 500. Fu il caso di Amber Furst. Nativa di Brightwood in Oregon, nella sua carriera ebbe esperienza locale nello stato dell’Oregon e nei campionati SCCA (Sports Car Club of America), in particolar modo sul circuito di Portland. In quell’anno, propose la sua iscrizione a bordo di una Vollstedt-Offenhauser del 1978. Tuttavia, vista la sua inesistente esperienza nel mondo delle ruote scoperte statunitensi e le difficoltà degli organizzatori a trovare informazioni sulla sua esperienza, le fu consigliato di venire in Aprile a gareggiare ad Atlanta.

Amber Furst
Articolo di giornale in cui si menziona l’iscrizione di Amber Furst (Photo source: newspapers.com/Photographer unknown)

Se avesse dimostrato di essere sufficientemente competitiva, sarebbe stata ammessa al Rookie Orientation Program per Indianapolis. Ma Amber non si presentò ad Atlanta, vedendosi dunque respingere la sua richiesta d’iscrizione alla gara. Tentò vanamente di far causa allo Speedway, ma da allora non si ebbero più notizie sulla sua carriera.

Gli anni ’90: la rivincita delle donne a Indianapolis

Dopo un decennio deludente, gli anni ’90 vedono un cambiamento notevole. Anche se la presenza delle donne alla Indy 500 è limitata ad una sola donna, questa cambia le carte in tavola in modo definitivo.

Lyn St. James: una figura influente tra le donne a Indianapolis e in Indycar

Nacque nel 1947 come Carol Gene Cornwall, poi Evelyn Gene Cornwall in onore di sua zia. Dopo il primo matrimonio con John Carusso, cambiò nome ancora una volta in Lyn Carusso. Dopo il divorzio, cambiò nome definitivamente nome in Lyn St. James, in onore dell’attrice Susan Saint James.

Donne a Indianapolis
Lyn St. James durante le prove della Indy 500 1992 (Photo source: Indianapolismotorspeedway.com/Photographer unknown)

La sua carriera si concentrò inizialmente nel mondo delle gare endurance. Debuttante tardivamente alla 12h di Sebring nel 1978 a 31 anni, vi partecipò in 8 occasioni fino al 1998. Nel 1990 conobbe il successo di classe con Robby Gordon e Calvin Fish a bordo di una Mercury Cougar XR-7 GTO del team Roush Racing. Dopo due partecipazioni infruttuose alla 24h di Le Mans, debutta nel mondo della CART Series a 45 anni d’età per il 1992, quando la maggior parte dei piloti smette di gareggiare.

I primi anni dal 1992 al 1995, vedono Lyn St. James impegnata con Dick Simon Racing. Partecipa a 12 gare in CART Series, ottenendo un 11° posto all’esordio nella Indy 500 del 1992, in una gara caotica resta fuori dai guai dopo essersi qualificata al 27° posto. Questo risultato le conferì il titolo di Rookie of the Year più anziano nella storia di Indy. Un record che verrà poi battuto da Jimmie Johnson a 46 anni.

Donne a Indianapolis
Lyn St. James alla Indy 500 1993 (Photo source: roadandtrack.com /Photographer unknown)

Le sue prestazioni le consentono di stare agevolmente nella griglia di partenza della Indy 500. La prestazione più eclatante sarà però nel 1994, quando conquisterà uno stupefacente 6° posto in seconda fila per la gara. Sfortunatamente per lei la gara non sarà altrettanto positiva, con un 19° posto a 30 giri dal vincitore Al Unser Jr., in una corsa martoriata da numerose difficoltà.

La fortuna non è dalla sua parte, ma Lyn lascia il segno

Quella del 1994 sarà un’edizione comunque migliore rispetto alla successiva, quando nel 1995 si vedrà fuori corsa dopo la prima curva, incolpevolmente coinvolta nel drammatico incidente che quasi costò la vita a Stan Fox. Negli anni successivi disputa altre 8 gare nella neonata IRL dal 1996 al 2000. Lyn St. James otterrà un 8° posto come miglior piazzamento alla gara inaugurale nel Walt Disney World Speedway. Per quanto riguarda Indianapolis, la fortuna non fu dalla sua parte in tutti i tentativi effettuati.

Donne a Indianapolis
Lyn St. James alla sua ultima Indy 500 nel 2000 (Photo source: petrolicious.com/Photographer unknown)

Nel 1996 e 1997 è fuori corsa e classificata al 14° e 13° posto per altri due incidenti, proprio quando poteva ottenere due piazzamenti in top 10. Nel 1998 e 1999 mancherà addirittura la qualificazione, mentre nella sua ultima partecipazione nel 2000 è ben presto fuori corsa dopo 67 giri a causa di un incidente con Greg Ray. A quel punto, Lyn St. James si ritira dalle corse a 53 anni d’età.

Donne a Indianapolis
Lyn St. James agli esordi nelle gare automobilistiche (Photo source: petrolicious.com/Photographer unknown)

Forse i risultati in pista non sono stati sempre eccelsi, ma Lyn St. James nel motorsport a stelle e strisce degli anni ’90 fu una figura di rilievo. Invitata alla Casa Bianca in diverse occasioni, incontrò i presidenti Ronald Reagan, George H.W. Bush e Bill Clinton. Nel 1999 Sports Illustrated la menzionò tra le “100 migliori atlete del secolo”. La rivista Working Woman l’ha aggiunta alle “350 donne che hanno cambiato il mondo tra il 1976 e il 1996”. Nel 1994, fu inserita nella Florida Sports Hall of Fame. In aggiunta, fu anche presidente della Women’s Sports Foundation dal 1990 al 1993. Fu anche la prima donna a superare la barriera delle 200 miglia orarie su un circuito permanente.

Gli anni 2000: le donne a Indianapolis lasciano il segno

Se Lyn St. James negli anni ’90 rappresentò da sola le donne a Indianapolis nel motorsport statunitense, il decennio successivo fu definitivamente l’epoca d’oro per le donne nel mondo IRL/Indycar Series. Tre in totale hanno gareggiato dal 2000 al 2009 in modo attivo, aprendo la strada verso nuovi record.

Sarah Fisher: quando velocità e immagine combaciano

All’alba del nuovo millennio, è la nativa di Columbus in Ohio Sarah Fisher che stupisce tutti. Classe 1980, è la prima donna nella storia della IRL Indycar Series a provenire dalle corse Midget e Sprint Cars. Esordiente nel 1999, gareggia a tempo pieno dalla stagione 2000 per conto di Walker Racing. Ad appena vent’anni di età giungono i primi risultati eclatanti e in Kentucky ottiene il primo piazzamento storico in top 3 per una donna nella massima serie a ruote scoperte americane. In una gara conclusa al 3° posto, questo risultato le regala enorme popolarità nell’ambiente.

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Sarah Fisher in azione al Kentucky Speedway nel 2002 davanti a Buddy Lazier. In questa gara divenne la prima donna a conquistare una pole position nella storia della Indycar Series, al tempo IRL Indy Racing League (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

L’anno successivo si migliora ancora, conquistando ad Homestead un eccellente 2° posto finale. Nel 2002 passa a Dreyer & Reinbold Racing. La stagione in sé non è eccelsa, ma in Kentucky fa ancora una volta la storia, diventando la prima donna di sempre a conquistare una pole position. Questa serie di risultati le consentono ben presto di essere eletta come “Most Popular Driver” per tre stagioni consecutive, dal 2001 al 2003. Fino al 2010 è impegnata come pilota part time, partecipando in aggiunta ad 11 edizioni della Indy 500. In tutte le edizioni disputate non andrà mai oltre un 17° posto, con un 9° posto in qualifica nel 2002 come miglior piazzamento.

L’esperienza da team owner e quella magia del Kentucky

Dalla stagione 2008, ad appena 28 anni, diventa proprietaria di Sarah Fisher-Hartman Racing. Il team, attivo dal 2008 al 2015 in Indycar Series, può vantare nomi ancora oggi di grande spessore nel campionato. Tra tutti Graham Rahal, Ed Carpenter e Josef Newgarden sono stati i suoi piloti più importanti. Newgarden conquisto due volte il 2° posto a Baltimora nel 2013 e in Iowa nel 2014. Ma fu Ed Carpenter a compiere l’impresa al Kentucky Motor Speedway. Dopo che Sarah Fisher ottenne la prima top 3 e la prima pole per una donna, con Ed Carpenter divenne la prima donna team owner vincente in una gara al cardiopalma.

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Sarah Fisher celebra in victory lane con Ed Carpenter la prima vittoria da team owner di Sarah Fisher Racing alla Kentucky Indy 300 nel 2011 (Photo source: espn.com/Photographer unknown)

Nel 2015, il team vide proprio Carpenter diventare co-proprietario, rinominando il team in CFH Racing e vivendo una stagione di successo. A Toronto l’italiano Luca Filippi chiuse al 2° posto, con Josef Newgarden che lo imitò ad Iowa e a Pocono. Se possibile, Newgarden fece ancora meglio in quanto conquistò altre due vittorie al Barber Motorsports Park e a Toronto, facendo dunque doppietta. Dal 2016, tutta la struttura passò di proprietà nelle mani di Ed Carpenter. Dopo questa esperienza, divenne per anni il pilota ufficiale della pace car per numerosi eventi, rimpiazzando gradualmente Johnny Rutherford.

Una personalità decisa

Donne a Indianapolis
In occasione del GP degli Stati Uniti del 2002, Sarah Fisher ebbe l’opportunità di affacciarsi al mondo della Fomrula 1, testando ad Indianapolis la McLaren-Mercedes MP4-17 (Photo source: f1i.com/xpb.cc/Photographer unknown)

Durante la sua carriera, Sarah Fisher non si è mai promossa a livello mediatico sfruttando il suo lato affascinante, affermando che non fa parte della sua personalità. Sotto questo aspetto, la sua carriera ha faticato a trovare uno slancio ideale per la difficoltà a trovare finanziamenti adeguati. In aggiunta, lei ha evitato di porre in linea il discorso di essere diversa come pilota in quanto donna, affermando “L’auto non sa se è guidata da un uomo o da una donna.” Nel 2007, Sports Illustrated la introdusse nella top 10 dei migliori piloti donna al mondo.

Danica Patrick: l’apice delle donne a Indianapolis e in Indycar

Poco dopo Sarah Fisher, la popolarità del campionato Indycar Series crebbe notevolmente grazie anche ad un’altra donna, colei che conseguì i migliori risultati nella serie, ovvero Danica Patrick. Nativa di Beloit in Wisconsin, classe 1982, l’esordio di Danica nella massima serie a stelle e strisce è più che discreto e cattura immediatamente una grande attenzione da parte dei media.

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Danica Patrick durante la Indy 500 del 2005. Al suo esordio con Rahal-Letterman Racing, conduce la gara per 19 giri e chiude al 4° posto finale. Un risultato che suscitò enorme clamore mediatico e le conferì notorietà (Photo source: autoracing1.com/Photographer: Steve Snoddy)

Approdata in Indycar Series nel 2005, diventa immediatamente popolare con un eccellente 4° posto a Motegi e alla Indy 500, alla guida di una delle vetture di Rahal-Letterman Racing. Proprio in quest’ultima gara, Danica diventa la prima donna nella storia della competizione a condurre la corsa, per ben 19 giri. La stagione, condita da ben 3 pole positions in Kansas, Kentucky e a Chicagoland, la rendono immediatamente il pilota più in vista della categoria. Non a caso, Danica Patrick sarà Most Popular Driver per 6 stagioni consecutive, dal 2005 al 2010.

Nel 2006 conquista il 4° posto in altre due occasioni a Nashville e Milwaukee, mentre a Indy conclude con un buon 8°. Ma è dal 2007 che cambiano le carte in tavola con un passaggio ad Andretti-Green Racing. Danica non delude le aspettative con tre “top 3”, chiudendo al 3° posto due volte a Fort Worth e a Nashville. In aggiunta, chiude al 2° posto a Detroit, concludendo la stagione in settima piazza.

Giunge l’ora di entrare nella storia

Il 2008 però è la stagione in cui Danica Patrick finalmente rompe gli indugi. Alla Indy Japan 300, a Motegi, Danica guida una gara giudiziosa, beffando nei giri finali piloti esperti come Hélio Castroneves, Scott Dixon, Tony Kanaan e Dan Wheldon. E così, Danica Patrick si invola verso una vittoria storica, la prima della sua carriera e la prima di una donna in Indycar! La Indy 500 quell’anno non va bene per un incidente assieme a Ryan Briscoe, ma poco importa.

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Danica Patrick in posa sul podio col trofeo della 2008 Indy Japan 300. La vittoria al Twin Ring Motegi nel 2008 la rende la prima donna vincente nella storia della Indycar Series (Photo source: projetomotor.com.br/Photographer unknown)

Dopo questo successo, nel 2009 disputa la miglior stagione della sua carriera, chiudendo al 5° posto con un campionato consistente, chiudendo in top 10 per 10 volte su 17 gare. La miglior gara è proprio la Indy 500, dove conclude con un ottimo 3° posto, divenendo così la prima donna a concludere nella top 3 di Indy. Nelle ultime due stagioni, il 2010 e 2011, concluderà ancora al 2° posto per due volte a Fort Worth e a Homestead nel 2010. A Indianapolis vi parteciperà ancora tre volte. Chiude al 6° e 10° posto nel 2010 e 2011 prima di disputare una difficile carriera in NASCAR.

Proprio nel 2018 disputa la sua ultima gara con Ed Carpenter Racing, alla Indy 500. In qualifica conclude con un ottimo 7° posto. Purtroppo, in gara un incidente al giro 67 la mise fuori dai giochi. Resta comunque la soddisfazione di essere la donna più di successo come pilota di sempre.

Milka Duno: le donne a Indianapolis dall’America Latina iniziano ad affacciarsi

Se in trent’anni la presenza delle donne a Indianapolis in Indycar sembravano un appannaggio pressoché esclusivo degli USA, nel 2007 le cose cambiano con Milka Duno. Nativa di Caracas in Venezuela, classe 1972, Milka Duno ha il merito di essere la prima donna proveniente dal Sud America ad aver gareggiato in Indycar Series. La sua carriera la vide inizialmente attiva tra Asian Le Mans Series e la 24h di Le Mans.

Donne a Indianapolis
Milka Duno nel 2008, in azione per Dreyer & Reinbold Racing (Photo source: speedsport-magazine.com/Photographer unknown)

La sua carriera in Indycar, durata quattro stagioni dal 2007 al 2010, fu comunque piena di difficoltà. Mai oltre un 11° posto al Texas Motor Speedway nel 2007 come miglior piazzamento, alla Indy 500 non trovò maggior fortuna. In tre partecipazioni, nel 2008 concluse al 19° posto, staccata di 15 giri a seguito di numerosi problemi tecnici, mentre nel 2009 chiuse al 20° posto, staccata di un giro. Nel 2010, dopo un passaggio da Dreyer & Reinbold Racing a Dale Coyne Racing, Milka Duno mancherà la qualificazione.

Non tutto è rose e fiori

Durante la sua carriera fu sovente oggetto di critiche per le sue difficoltà a mantenere un ritmo adeguato rispetto alla concorrenza. Ashley Judd, al tempo moglie di Dario Franchitti, fu molto critica nei confronti di Milka Duno, ritenendola un pilota molto pericoloso per la sua lentezza in pista.

Donne a Indianapolis
Milka Duno a Mid-Ohio nel 2008 davanti a Marty Roth (Photo source: zimbio.com/Darrell Ingham-Getty Images North America)

Nel 2008, a Mid-Ohio, ebbe un litigio con Danica Patrick dopo le prove libere, in quanto quest’ultima venne ostacolata durante un suo giro lanciato dalla venezuelana. Vi fu tensione tra loro due, con Milka che non sembrava disposta ad ascoltare le ragioni di Danica. In aggiunta a ciò, nel 2010 fu obbligata a fermarsi sia a Toronto che ad Iowa dai commissari in quanto troppo lenta in pista.

Una stabilità raggiunta per le donne a Indianapolis?

Se gli anni 2000 hanno visto, fino ad oggi, l’apice del successo delle donne a Indianapolis e in Indycar, viene da chiedersi se si sia in una situazione di stabilità oggigiorno. Per quanto riguarda la presenza delle donne, a quanto pare verrebbe da dire di sì.

Ana Beatriz “Bia” Figuereido: le donne a Indianapolis arrivano anche dal Brasile

L’approdo di Milka Duno in Indycar ha aperto le porte alle donne dell’America Latina nel campionato. Ana Beatriz, classe 1985 di San Paolo del Brasile, è la seconda donna ad aver fatto il grande passo. In Indy Lights dal 2008 al 2009 con Sam Schmidt Motorsports, Ana Bia mostra grandi qualità, conquistando 6 top 3 e 9 top 5 in 16 gare, chiudendo al 3° posto finale. L’apice della stagione è a Nashville dove conquista la prima vittoria per una donna in Indy Lights. A chi le chiese se fosse la nuova Danica Patrick, la brasiliana smorzò gli entusiasmi chiedendo di essere semplicemente Bia come è sempre stata fino ad allora.

Donne a Indianapolis
Ana “Bia” Beatriz Figuereido durante la Indy 500 del 2010 (Photo source: Pinterest.com/Raphael Carvalho/Photographer unknown)

Nel 2009, la stagione fu meno ricca di successi con solo due top 3, di cui un 3° posto in Kentucky e una seconda vittoria ad Iowa. Tuttavia, le prestazioni furono sufficienti per giustificare un suo passaggio in Indycar Series nel 2010. Attiva con Dreyer & Reinbold Racing, Andretti Autosport e Dale Coyne Racing dal 2010 al 2013, tuttavia, le sue prestazioni saranno molto deludenti. Mai oltre un 11° posto a Toronto nel 2011, la sua carriera in Indycar si concluse dopo appena 29 gare.

Alla Indy 500 vi partecipò in 4 occasioni, senza mai brillare particolarmente. Le migliori prestazioni furono nel 2012 con Andretti Autosport dove fu al 13° posto in qualifica, mentre nel 2013 chiuse al 15° posto in gara. Dopo l’esperienza statunitense, Ana Bia tornò in Brasile nel campionato Stock Car, dove vi gareggiò dal 2014 al 2019. Dal 2020 al 2021 fu attiva anche nel campionato IMSA WeatherTech Sportscar.

Pippa Mann, anche l’Europa delle donne a Indianapolis si affaccia

Subito dopo Ana Beatriz, un’altra donna si fece luce nel panorama Indy Lights, ovvero Pippa Mann. Classe 1983 di Londra, è la terza donna europea a competere in Indycar Series. Attiva nell’automobilismo dal 2003, Pippa Mann ha esordito nel 2009 in Indy Lights con Panther Racing. In due stagioni, sono 10 gli arrivi in top 10 su 25 gare disputate. Le migliori gare furono nel 2010 con Sam Schmidt Motorsports. Alla Freedom 100, gara in miniatura della Indy 500, conquista la prima pole position. A fine stagione conquistò la sua prima top 3 a Chicagoland, chiudendo al 2° posto. La gara successiva in Kentucky, un circuito in cui le donne hanno una stella a loro favore, Pippa Mann conquista la sua prima vittoria dopo aver conquistato la pole. La gara successiva è quinta ad Homestead dopo aver conquistato un’altra pole.

Donne a Indianapolis
Pippa Mann durante la Indy 500 del 2011 in azione per conto di Conquest Racing (Photo source: speedsport-magazine.com/Photographer unknown)

I risultati sono sufficienti per avere un sedile in Indycar Series, dove sarà comunque attiva part time dal 2010 al 2019 con Conquest Racing, Rahal-Letterman Racing, Dale Coyne Racing e Clauson Marshall Racing. Le prestazioni generali non saranno però altrettanto esaltanti. In appena 20 gare disputate, Pippa Mann non farà meglio di un 15° posto a Pocono. Alla Indy 500 vi partecipò in 9 edizioni dal 2011 al 2019, mancando la qualificazione nel 2018. La miglior prestazione fu comunque nella sua ultima corsa proprio nel 2019, dove concluse al 16° posto, a 12 secondi dal vincitore Simon Pagenaud e davanti a due veterani illustri della categoria come Scott Dixon ed Hélio Castroneves.

Simona De Silvestro: tra le donne a Indianapolis, è un esempio ancora oggi attuale

Dopo tre stagioni dal 2007 al 2009 con 35 gare disputate, 5 vittorie e 10 top 3 in Champ Car Atlantic Series, l’italo-svizzera si è vista nel 2010 le porte dell’Indycar Series aprirsi. Attiva a tempo pieno dal 2010 al 2013 con HVM Racing, Lotus HVM Racing e KV Racing Technology, la sua miglior stagione fu nel 2013 dove conquistò un eccellente 2° posto al Grand Prix of Houston, sfiorando l’impresa compiuta da Danica Patrick nel 2008 a Motegi. Concluse il campionato al 13° posto, non sufficiente per mantenere un posto in griglia, gareggiando in Formula E e successivamente, Supercars Australia e nei campionati GT.

Donne a Indianapolis
Simona de Silvestro celebra il 2° posto a Houston nel 2013 (Photo source: usatoday.com/David J. Phillip, Associated Press)

Nonostante ciò dal 2015 al 2022 ha mantenuto un impegno part time in Indycar. Otto le gare disputate con Andretti Autosport e Paretta Autosport. Proprio con quest’ultimo team, nel 2021 è divenuto il primo team nella storia della Indy 500 gestito interamente da donne a qualificarsi per la gara, in collaborazione con il Team Penske. Nel 2022 si ripresentò in griglia part time senza però partecipare ad Indy. Ancora oggi, è incerta la loro partecipazione a determinate gare nel 2023, si presume in collaborazione con Ed Carpenter Racing. Per quanto riguarda Simona De Silvestro, in 6 partecipazioni ad Indy proprio la gara d’esordio fu la migliore nel 2010, con un 14° posto finale che le valse il titolo di Rookie of the Year.

Il curioso caso di Tatiana Calderón: quella possibilità negata

In questo lungo elenco, il caso di Tatiana Calderón è atipico rispetto a tutti gli altri, in quanto è l’unica tra le donne a Indianapolis che ha gareggiato lì, ma non alla Indy 500. Per la colombiana classe 1993, la sua avventura negli USA, iniziata nel 2022 con A.J. Foyt Enterprises, prevedeva un programma part time sui circuiti permanenti e stradali, venendo sostituita da JR Hildebrand sugli ovali.

Tatiana Calderón
Tatiana Calderón a St.Petersburg nel 2022 (Photo source: Indycar.com/Chris Jones)

Per lei vi sono state 7 gare disputate, di cui il 2022 GMR Grand Prix a Indianapolis sul tracciato road course è stata certamente la migliore prestazione. In una corsa condizionata dal meteo, ha condotto in testa per un giro ed era ampiamente in lotta per il 4° posto, prima che un’uscita di pista la relegasse in quindicesima posizione.

Suo malgrado, la perdita dell’appoggio finanziario di ROKIT come sponsor principale le ha fatto perdere il sedile, impedendole di concludere la stagione e di sviluppare ulteriori programmi per il 2023. Sorge a questo punto la domanda, riuscirà mai a tornare negli USA per correre la Indy 500?

Katherine Legge, ad oggi l’unica donna nel 2023

Tra tutte le donne a Indianapolis che si sono fatte un nome, non è stato menzionato il caso di Katherine Legge. La britannica classe 1980, ottenne 3 vittorie e 5 top 3 in Atlantic Champ Car Series nel 2005, chiudendo al 3° posto finale in campionato. Grazie a PKV Racing e Dale Coyne Racing, tra il 2006 e 2007 è pilota a tempo pieno nella Champ Car World Series, chiudendo al 6° posto a Milwaukee nel 2006 e a Cleveland nel 2007 come migliori piazzamenti. A Road America nel 2006 si rende protagonista di uno spaventoso fuori pista dovuto al cedimento dell’ala mentre era sesta, dal quale esce incredibilmente illesa.

Katherine Legge
La vettura che Katherine Legge impiegherà per la Indy 500 del 2023 (Photo source: Rahal Letterman Lanigan Racing)

Oltre a numerose stagioni tra DTM e IMSA, l’impegno di Katherine Legge in Indycar è limitato ad alcune apparizioni part time. Undici sono state le sue presenze tra il 2012 e il 2013 con Dragon Racing e Schmidt-Peterson-Hamilton HP Motorsports. Un 9° posto a Fontana nel 2012 è il suo miglior piazzamento, mentre nelle sue due partecipazioni a Indy, quella del 2012 la vide col miglior piazzamento, un 22° posto finale. Quest’anno, dopo 10 anni di assenza, Katherine Legge ha l’opportunità di migliorarsi in quanto Rahal-Letterman-Lanigan Racing schiererà una quarta vettura per Indy, con lei al volante.

Le donne a Indianapolis che entrano nella storia con altri ruoli

Se Indianapolis ha dato così tante opportunità a queste donne, non va certo dimenticato il contributo simbolico e non solo fornito da chi fa parte delle squadre o delle cerimonie tradizionali, rendendosi a loro modo delle icone nella storia dello Speedway, ritagliandosi uno spazio assolutamente personale.

Una donna dà il via alle danze

L’improvvisa scomparsa di Tony Hulman nell’Ottobre 1977, lascia l’Indianapolis Motor Speedway orfano del suo proprietario, un’eredità che formalmente viene presa da sua moglie Mary Fendrich Hulman. Sposati dal 1926, ella partecipò assiduamente alle attività dello Speedway. Divenuta vedova di Tony, Mary assunse la presidenza del circuito e dell’azienda Hulman & Co. Dal 1978 al 1996, Mary diede il comando di partenza ufficiale della gara, eccezion fatta nel 1981 per motivi di salute. Dopo il 1996, si ritirerà a vita privata per l’età avanzata e le condizioni fisiche precarie. Morirà a 93 anni d’età, nel 1998.

Donne a Indianapolis
Mary Fendrich Hulman, vedova di Tony Hulman, dà il via alla Indy 500 del 1980 (Photo source: imsmuseum.org/Photographer unknown)

Mary Hulman George, la loro figlia, divenne presidente dello Speedway e della Hulman & Co. già dal 1988, e diede il via alla corsa già nel 1981. Dal 1997 al 2016, fu lei a dare il comando ufficiale della corsa, prima di ritirarsi anche lei a vita privata con l’avanzare dell’età. Mary Hulman George morirà nel Novembre 2018, ad 84 anni di età. Oltre a ciò, fu car owner della vettura che Elmer George portò in gara alla Indy 500 del 1962 e 1963, ritirato in ambedue le edizioni. Oltre a Mary Hulman, altre tre donne furono team owners nel corso dei decenni in sporadiche occasioni.

Le storie dimenticate delle donne a Indianapolis in veste di team owners

Ma in mezzo alle donne protagoniste delle cerimonie pre-gara, vi furono casi di donne a Indianapolis proprietarie di team, oltre ai casi di Sarah Fisher, Beth Paretta e Maude Yagle. Nel 1929, proprio nell’edizione in cui vinse Ray Keech, fu Marion Batton a gestire una vettura. Infermiera di professione, era vedova del pilota Norman Batten, morto nel 1928 a causa del naufragio della SS Vestris. Assieme a Batten morì Earl Devore, anch’egli pilota, mentre Marion riuscì a sopravvivere. La vettura, guidata da Wesley Crawford, vide ben 4 cambi di pilota durante la corsa. Alla guida di alternarono Ted Simpson, Zeke Meyer e Dave Evans, fino a quando al giro 127 non si dovettero ritirare per un problema al carburatore.

Art Cross
Art Cross alla Indy 500 del 1953. (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

Bessie Lee Paoli, classe 1919, ebbe modo di essere team owner di una vettura per la Indy 500 sia nel 1952 che nel 1953. Nella prima edizione, fu Chuck Stevenson a condurre la vettura, una Kurtis Kraft-Offenhauser, terminando la corsa al 18° posto, a 13 giri dal vincitore Troy Ruttman. L’anno successivo, sempre su una Kurtis Kraft-Offenhauser, Bessie Lee Paoli schierò Art Cross, che arrivò vicino a ripetere l’impresa del 1929, giungendo in gara ad uno stupefacente 2° posto finale, dietro a Bill Vukovich.

Steve Chassey
Steve Chassey alla Indy 500 del 1987 (Photo source: indycar.com/Photographer unknown

Dopo la parentesi di Mary Hulman George, si dovrà attendere fino al 1987 per vedere nuovamente una donna team owner. In questo caso, fu il turno di Lydia Laughrey che portò una March-Cosworth 87C in gara con Steve Chassey al volante. Partito al 32° posto, purtroppo la sua corsa non durerà molto, con un ritiro al giro 68, a seguito di un cedimento del motore.

Che cosa si è ottenuto e cosa riserva il futuro

Se guardiamo solo ai 112 anni di storia della 500 miglia di Indianapolis, moltissimo è stato ottenuto dalle donne. Una donna ha vinto da team owner, sei lo sono state dal 1929 ad oggi. Per 48 volte una donna si è schierata nelle file da tre di Indy dal 1976. Sarah Fisher ha collezionato più partenze di tutti con 9 presenze. Danica Patrick ha condotto 29 giri, ottenendo un 3° posto come miglior piazzamento. Per tre edizioni furono ben 4 le donne in griglia dal 2010 al 2013. Sarah Fisher ha la velocità media più alta mai registrata per una donna dal 2002, 229.439 miglia orarie in qualifica. Simona De Silvestro è dal 2021 che detiene il record per le donne sul giro singolo, a 230.201 mp/h di media.

Lyn St. James
Sappiamo che cosa ti guida. Lyn St. James, 1995 Indy 500 (Photo source: indycar.com/Photographer unknown)

Per tre volte, una donna è stata eletta Rookie of the Year a Indianapolis. Lyn St. James nel 1992, Danica Patrick nel 2005 e Simona De Silvestro nel 2010. In un passaggio del testimone simbolico, nel 2000 Lyn St. James fu la più anziana a parteciparvi a 53 anni e 76 giorni, Sarah Fisher lo fece a 19 anni e 237 giorni.

E vogliamo contare anche tutti i risultati ottenuti in Indycar? Una vittoria, 10 top 3 e 7 pole positions totali contando solo la serie principale. Contando anche le categorie propedeutiche degli USA, quei numeri salgono a 12 vittorie, 34 top 3 e 14 pole position. E allora, con Katherine Legge pronta a schierarsi ad Indy nel 2023, il mio augurio è soltanto quello di continuare così su questa strada per il futuro, rivoluzionando il mondo delle corse automobilistiche una vittoria alla volta.

Simone Ghilardini

Milanese classe 1998, studente, musicista, pilota virtuale e articolista per Mult1Formula.

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