Quando una stagione termina, è sempre tempo di bilanci. E tra i vari conteggi e le somme tirate a fine anno, emerge un dato che non può far a meno di creare una certa insoddisfazione. Durante la campagna agonistica 2023, nessuna donna è salita sul podio di F1 in rappresentanza del team vincitore. Riavvolgendo il nastro, l’ultima ad averlo fatto è stata Joanna Fleet, responsabile delle risorse umane in casa Red Bull, al Gp di Spagna dello scorso anno. Ciò ha dato modo di riflettere sul perché la visibilità delle donne in F1 sia importante.
Nella sezione commenti dei post social dove è stata riportata la statistica qualcuno si chiede se sia davvero un problema. Salire sul podio non è la soluzione definitiva per la disparità di genere nel motorsport. Certo, ci mancherebbe. Ne è indice di discriminazione, dato che vi è un’alternanza tra varie figure di rilievo all’interno del team per il ritiro del trofeo. Perché, dunque, un semplice dato causa tanto chiacchiericcio e scalpore?
Un’immagine vale più di mille parole
La visibilità delle donne in F1 è importante
Il motivo è semplice. Le apparenze, passatemi il termine, contano. In un mondo ideale scegliere una componente femminile del team come rappresentante solo in quanto donna sarebbe certamente una forzatura, ed essa stessa una forma di disparità, perché ne farebbe una questione di genere. Ma aimè, non c’è nulla di ideale nel mondo in cui viviamo. E queste immagini di donne che stringono il trofeo e vengono irrorate di champagne sono estremamente potenti. Specie in una cassa di risonanza come lo è la Formula 1.
Non solo F1 si, ma non basta
È vero poi che c’è un mondo oltre la F1, categorie dove le donne gareggiano, salgono sul podio e conquistano vittorie. Vedasi il caso delle Iron Dames che, nella classe GTE Am del mondiale WEC, conquistano pole e vittoria in un trionfo rosa, nel senso letterale del termine, nella 8 ore del Bahrain. Questi assoli di estremo valore non sono però sufficienti, non perché di minor importanza, ma semplicemente perché hanno una portata minore, in termini di pubblico e quindi di risonanza, rispetto a quella che di fatto detiene la classe regina delle 4 ruote. Che in questo senso si può quasi dire abbia una responsabilità.
Le donne ci sono, anche se spesso non si vedono
Negli ultimi anni, la componente femminile coinvolta nella categoria è andata sicuramente ad aumentare, coinvolgendo numerose donne in vari ambiti e ruoli. Alcuni volti sono divenuti più noti di altri, occupando posizioni di spicco all’interno delle proprie squadre. A figurare tra questi, quello di Hannah Schmitz, Principal Strategy Engineer in casa Red Bull, i cui meriti nei successi strategici del team blue racing vengono giustamente riconosciuti. O ancora Ruth Buscombe, Head of Race Strategy per Alfa Romeo. Ma non è che la punta dell’iceberg. Certo, le cifre non sono astronomiche, ma sono quantomeno incoraggianti.
Stando all’ultima statistica effettuata da ESPN nel 2021, sono più di 155 le donne impiegate in diverse mansioni all’interno delle scuderie di F1. Numero di per sé datato, per cui vi è ragione di credere che ve ne sia una cifra maggiore attualmente. Secondo i dati riportati da Forbes, è Mercedes il team che si contraddistingue sotto questo aspetto, con una forza lavoro femminile pari al 13% nel reparto tecnico. Alla Red Bull Racing, invece, il personale tecnico comprende 75 donne, ovvero circa il 6% .
Sempre secondo un sondaggio effettuato da ESPN nel 2021, volto a determinare la percentuale di donne impiegate nel reparto corse che viaggia regolarmente ai Gran Premi emerge che, tra i team ad aver fornito dati, Mercedes impiega 65 persone, di cui 4 donne (9%); la McLaren ha 66 persone nel team da corsa, di cui cinque donne, mentre l’Alfa Romeo ha circa 51 prende parte ai GP, di cui la componente femminile è pari al 9,8%. Molte altre poi, lavorano in fabbrica o occupano posizioni di rilievo in area manageriale e comunicativa.
La rappresentanza ha un peso specifico
È vero, le donne in F1 sono ancora una percentuale minoritaria. Ma non sono assenti né tantomeno ininfluenti. E non dare loro una visibilità, perché no, anche privilegiata, finisce per renderle invisibili, perdendosi nella massa dei tanti e restituendo un’immagine peggiore di quello che la realtà è. Perché finché le donne non si vedono, restando operanti dietro le quinte, vi sarà sempre una certa fetta di pubblico che continuerà a credere che le donne alla F1 non appartengono. E i commenti misogini e gli insulti ricevuti da Jessica Hawkins dopo aver effettuato alcuni giri sulla AMR21 all’Hungaroring quest’anno ne sono una limpida dimostrazione.
È evidente che si tratti di una questione di educazione, che passa per forza di cose anche attraverso la familiarizzazione: più spesso si vedranno figure femminili, prima e più facilmente si inizierà a fare i conti con la realtà dei fatti. Una semplice immagine, per quanto sia solo un granello in una mare di sabbia, è pure sempre un’affermazione, un testimonianza dello stato delle cose che dimostra che le donne ci sono eccome, in ruoli importanti, contribuendo al successo dei loro team. E di riflesso, tali immagini ispirano ad emulare ed imitare. Se alle bambine di oggi viene data la possibilità di immaginarsi su un podio di F1, magari a più di una su un milione verrà voglia di farlo, perché inizierà a pensare che anche quella è una possibilità. Del resto, come affermato dalla stessa Buscombe quando era bambina un’immagine femminile in F1 sarebbe stata importante perché “anche se c’erano donne che lavoravano in Formula 1 non potevi vederle, ed è molto difficile essere quello che non puoi vedere”.
Quindi sì, fatele salire ogni tanto le donne sul podio nel 2024, non solo perché é giusto, ma perché ce ne è ancora tanto bisogno.
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