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Zandvoort: il suo effetto su altri circuiti

In collaborazione con Aldo Maria Coletta

Sono passati ormai più di due anni dall’annuncio di rivoluzionari cambiamenti alla pista di Zandvoort. Come risultato di questa evoluzione, il tracciato include due curve paraboliche ad alta pendenza: la Hugenholzbocht e la Arie Luyendijk Bocht. Nella percorrenza di quest’ultima curva non esiste una traiettoria ideale e si possono seguire più linee con effetti differenti. Ultimamente, abbiamo notato alcuni cambiamenti nel tracciato olandese, considerando l’utilizzo attuale : vediamo quali sono e come si è arrivati fin qui.

Dalle origini: la storia dei roval

L’integrazione di curve inclinate tipiche di un ovale all’interno di un autodromo permanente non rappresenta una novità. Negli Stati Uniti d’America, il roval è una tipologia di tracciato in uso da oltre mezzo secolo. Ciò che lo caratterizza è la combinazione di una parte permanente, spesso posta subito dopo il traguardo, con il tracciato ovale che la circonda.

La 24 ore di Daytona si disputa proprio su un roval e riscuote molto successo ogni anno. Oltre ad essere la prima grande classica su pista dell’anno, la competizione di Daytona ha segnato la rivalità Ferrari-Ford negli anni ’60.

Altro roval famoso è quello di Indianapolis: se l’ovale è ben noto per la 500 Miglia, il tracciato permanente, invece, ha ospitato la F1 per alcune edizioni all’inizio del nuovo millennio. In particolare, la polemica sulla fornitura di gomme nel GP del 2005 ne ha aumentato la popolarità.

A Charlotte, invece, tre anni fa, la NASCAR ha sperimentato questo tipo di pista per la prima volta. La ricezione è stata molto positiva sia tra i fan di vecchia data, che tra le nuove generazioni.

Zandvoort, dunque, è a questo punto considerabile un roval? No, non dispone di un ovale da cui è circondato e il tratto permanente non nasce come implementazione di un altro tipo di pista. Infatti, Zandvoort è stato un tracciato costruito di proposito e non, come era ancora in uso all’epoca, ricavato da strade già esistenti. Ciò che accumuna il circuito olandese con i roval è l’integrazione massiccia delle curve paraboliche, in questo caso usate per aumentare le velocità in rettilineo e favorire i sorpassi.

Zandvoort: pista all’avanguardia

E’ indubbio sostenere che il tracciato sia uno dei più caratteristici al mondo . Inaugurato dopo la seconda guerra mondiale, al primo settore lento, composto da quattro curve, seguivano una serie di pieghe velocissime fino a ricongiungersi con il rettilineo finale. Per ragioni di sicurezza e seguendo l’evoluzione aerodinamica delle auto, la pista è stata rallentata più volte con l’aggiunta di curve che richiedevano grandi frenate.

Dopo aver ospitato la F1 per oltre vent’anni, il tracciato è stato accorciato per la realizzazione di un quartiere residenziale. Dopo alcuni anni di attività nazionale, la sua lunghezza ritorna a 4 km, così da ospitare nuovamente competizioni continentali. Tra i tanti tracciati che sono andati incontro a screzi e scontri con i vari organizzatori, Zandvoort al contrario ne è sempre uscito pulito. Il merito è da attribuire ad un’ottima gestione e all’attenzione alla qualità dell’offerta.

L’analisi delle due curve paraboliche del circuito di Zandvoort

Con il ritorno della F1 nei Paesi Bassi, e con l’esclusione di Assen da parte di Liberty Media, il gruppo Apex è stato incaricato di ottimizzare il tracciato per le alte velocità della massima serie a ruote scoperte. Per loro stessa ammissione, i track designers si sono ispirati al modello dei roval. Per l’Hugenholzbocht, l’effetto fionda è apparso molto proficuo: i piloti devono entrare il più stretti possibile in curva per poi farsi lanciare all’esterno. In tal modo grazie alla pendenza si acquista più velocità per il rettilineo successivo. Allo stesso tempo, si favorisce l’affiancamento delle monoposto e il sorpasso di chi esce meglio dalla curva.

Sulla Arie Luyendijk Bocht, invece, si è pensato a come aumentare il tempo totale di piena accelerazione. Una pendenza abbastanza elevata tale da mantenere il piede sull’acceleratore è stata la soluzione ideale. Inoltre, la traiettoria scelta dal pilota non è determinante: sia la linea esterna, che quella interna sono vantaggiose. Di conseguenza, sarà più facile che i piloti arrivino vicini in rettilineo, senza dover restare in scia del pilota che li precede nella curva precedente.

Se si sceglie una traiettoria interna si percorre meno strada, ma l’auto avrà poi meno velocità. Inoltre, le gomme esterne si consumeranno molto più facilmente.

Percorrendo la linea esterna più lunga, invece, l’auto assumerà maggiore velocità e le gomme lavoreranno a temperature minori. In questo caso, i piloti dovranno essere attenti a non commettere errori, considerando la maggior vicinanza al muro.

L’effetto Zandvoort: tutti vogliono la parabolica

Altri track designers hanno apprezzato queste modifiche e il nuovo aspetto della prima curva. Questi cambiamenti hanno , inoltre, ricevuto il riconoscimento degli organizzatori, inclusa la FIA. La tendenza si è, quindi, invertita : se per anni la tendenza è stata quella di aggiungere curve per rallentare il più possibile i piloti, adesso, invece, questa implementazione aumenterà la velocità delle monoposto .

Il tracciato di Abu Dhabi vedrà l’aggiunta di una curva in pendenza al termine della seconda zona DRS a partire dalla fine del 2021.

Inoltre, è notizia recente che il DTM al Lausitzring utilizzerà il roval, invece delle classiche esse all’interno della prima curva parabolica. Molti altri circuiti introdurranno queste modifiche se continueranno ad avere successo, e non c’è motivo di dubitarne ascoltando le opinioni favorevoli dei piloti su questo tema.

Isabella Tomassi

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