«Racconti da Imola»
Durante il weekend del 24 e 25 Luglio alcune delle nostre scrittrici hanno avuto la possibilità di entrare, per la prima volta nella loro vita, nel paddock dello storico Autodromo di Imola. Hanno visitato i box, la pit-lane e fatto incontri decisamente inusuali in quello che poteva sembrare solo un comune fine settimana. Esperienza sicuramente più che difficile da descrivere a parole ma le nostre Carlotta, Martina e Gaia ci hanno provato proponendovi il loro personalissimo punto di vista in questo primo episodio dei Diari dal Paddock.
Carlotta
Da grandissima appassionata di Motorsport, mi ritengo una persona molto fortunata, perché lo scorso weekend ho avuto il privilegio di accedere (per la prima volta nella mia vita) al paddock di Imola in un weekend di gara! Se guardare in tv le gare ti trasmette una adrenalina incredibile, essere nel paddock in uno dei circuiti più belli e storici d’Italia la moltiplica per cento. Ti fa persino (quasi) dimenticare il caldo e l’umidità degli oltre 30° del bolognese.
Inizialmente, ho temuto che ci fossero molti controlli su come muoversi nei box e nella pit lane, insomma che ci tenessero a distanza considerando anche le normative anti-Covid. Fortunatamente, la realtà è stata differente: con il pass di ingresso si poteva passeggiare tra i motorhome dei team (proprio come Mara Sangiorgio), sbirciare nei box con le auto in via di riparazione e fermarsi al muretto a guardare gli schermi. Le formule minori sono decisamente molto inclusive e accoglienti nei confronti dei tifosi e degli ospiti.
Una volta superato il primo imbarazzo, inizi a goderti l’atmosfera magica del paddock di Imola: ti lasci avvolgere dai rumori dei motori che cantano e dall’odore dei pneumatici. Nonostante il caldo, non vorresti essere in nessun altro posto al mondo. Vedere a due passi i meccanici lavorare, condividere con loro il muretto guardando i tempi sul giro dei piloti, spiare i piloti nel pre e nel post gara, applaudirli sotto il podio, tutte queste cose ti fanno sognare di essere parte di un team e viaggiare nei weekend in giro per l’Italia e l’Europa con loro.
Speriamo di poter ritornare presto nei paddock per condividere con voi queste emozioni e inviarvi le immagini più belle dal backstage della F4!
Martina
Non capita tutti i giorni di riuscire ad entrare nel paddock di un circuito, soprattutto per delle ragazze innamorate del Motorsport che inseguono il sogno di lavorare, un giorno, in questo mondo.
Vivere il paddock dall’interno è magico perché ci si ritrova catapultati in un’altra dimensione. Carrelli, gomme, monoposto, stendini (si, stendini con le tute appese perché i piloti fra una gara e l’altra fanno la lavatrice) ma soprattutto le persone che si incontrano rendono quest’esperienza surreale. Il paddock è un posto pieno di gente importante e se ci si vuole creare qualche occasione bisogna parlare con qualche responsabile e farsi conoscere, crearsi i primi contatti. Si incontra gente interessante, tutti hanno una storia da raccontare. Si incontrano volti nuovi ma anche tanti vecchi leoni, come Juan Pablo Montoya, Riccardo Patrese e Gian Carlo Minardi. Tutto nel paddock gira veloce, tutti sfrecciano (rigorosamente con monopattino elettrico o, all’occorrenza, con un quad) da una parte all’altra perché appena termina una gara riprende subito a riempirsi la pista con altre vetture e piloti assetati di champagne.
Ad essere onesti di champagne se ne è visto poco, non perché non siano arrivati i risultati sperati ma per la giovane età dei piloti. Se in Formula 1 il vincitore stappa un Jeroboam Ferrari Trento da 3 litri, in Euroformula hanno solo una bottiglia di acqua zuccherata da mezzo litro. La Formula 4 compensa invece con i trofei, per ogni sessione di gara si premia il podio assoluto, il podio rookie e il podio femminile. Risuonano gli inni e si innalzano le bandiere (anche se a volte si bloccano a mezz’asta, vabbè succede anche questo in Formula 4, mica possiamo avere una cerimonia perfetta come si vede con la F1 in tv).
Si rimane sorpresi a vedere dal vivo la velocità di questi giovani piloti, alcuni appena 15enni e magari alla prima esperienza con le monoposto come Maya Weug, prima ragazza della Ferrari Driver Academy. Abbiamo parlato un po’ con lei e il suo team nei momenti di pausa (che sono veramente pochi dato che il format con 3 gare a weekend impegna i piloti e la loro squadra a briefing continui) e ci ha rivelato che il salto da kart a monoposto non è stato facile, ci sono molte cose nuove da imparare e non sempre ci si adatta subito alla guida di una vettura così complicata.
Vedere la preparazione delle monoposto all’arrivo in griglia e camminare fra meccanici e treni di ruote ti rende partecipe del momento. Sei lì con loro, una trentina di ragazzi (e due ragazze, ci teniamo a specificarlo) pronti a rischiare la vita per inseguire una bandiera a scacchi, il loro sogno. Quando si chiudono i cancelli della pit lane si deve lasciare il muretto, solo i Marshal occupano quella posizione e tutti tornano ai box. Un rombo assordate e via, si parte. I team corrono al proprio muretto e iniziano a seguire la gara, guardare le telemetrie e formulare strategie. Gli spettatori non possono far altro che aguzzare la vista, sperando di capire qualcosa della gara perché, diciamolo, non è così facile capire cosa sta succedendo senza uno schermo sotto agli occhi.
La velocità delle monoposto che si avvicinano al muretto tanto quasi da andare a sfiorarlo è impressionante e l’aria scompiglia i capelli, ecco perché tutti indossano sempre il cappellino. Ah, poi se picchia il sole la faccenda si fa brutta, non scordatevelo se non volete abbronzarvi la faccia a forma di mascherina come la sottoscritta. Le vetture chiuse, come GT o TRC arrivano persino a 60° all’interno dell’abitacolo e per i piloti un calore del genere è stremante, ecco perché non è insolito trovarli immersi in delle piscine gonfiabili piene di giacchio e acqua fredda prima della partenza.
Ad ogni modo la gara continua e quando rientra una macchina per un pit stop, suona un campanello. Sembra quasi che il pilota stia telefonando ai box “ehi, sto arrivando, fate largo!” e la pit lane si svuota. Poi riprende il solito tran-tran: gli ingegneri parlano, si confrontano fra loro, i meccanici sistemano le pistole. È capitato di veder entrare in azione anche la Safety Car, una Lamborghini arancione, qualche bandiera gialla e anche un paio di bandiere rosse, nulla di grave fortunatamente anche se il veder sventolare la bandiera scarlatta fa venire sempre una sensazione di ansia, preoccupazione. “Cosa sarà mai successo? I piloti stanno bene?”.
Ed ecco che si avvicina la fine, vedere le macchine in arrivo in volata lungo la finish line sotto la bandiera a scacchi non ha prezzo. Il team vincitore si abbraccia, si prepara ai festeggiamenti e poi via, di corsa sotto il podio. Eh si, di corsa proprio perché non sembra ma la pit lane è lunga e il podio si trova proprio all’inizio.
Le monoposto ci mettono poco più di un minuto a fare il giro prima di rientrare e non è facile muoversi in mezzo a meccanici, ingegneri, carrelli e marciapiedi con scalini sconnessi. I vincitori si posizionano sotto al podio mentre vanno ad abbracciare le persone che li hanno aiutati ad arrivare nelle prime tre posizioni, gli altri invece rientrano in silenzio verso il parc fermé. Riecheggia la voce del presentatore che si congratula con i piloti che salgono a podio e vengono consegnati i trofei, mentre la folla (in questo periodo difficile, ovviamente ridotta) di familiari, amici, collaboratori e anche qualche fan (come noi) applaude. L’inno, la mano sul cuore, una foto o due e poi via, bollicine per l’Euroformula, una pacca sulla spalla o un abbraccio per la Formula 4.
Non fa in tempo a finire la celebrazione sul podio che già si accendono i motori, la griglia si sta riempiendo e altri piloti sono pronti a dimostrare chi è il migliore fra di loro e non resta altra cosa da fare se non correre nuovamente verso la starting line per godersi la partenza.
Gaia
Due ore. Due sono state le ore che ho effettivamente passato nel paddock. Eppure mi sono sembrate delle giornate intere tanto ha riempito di ricordi la mia testa quel sabato mattina a Imola. L’ansia di non riuscire a tornare a casa in tempo la sera per via del traffico tipico dei weekend in Emilia-Romagna completamente spazzata via dai milioni di fotogrammi che ho tutt’ora impressi nella mente. O l’attesa quella mattina nel bar dell’autodromo (da cui tra l’altro si vede benissimo la pista, quasi quasi uno può pensare di vedersi le gare da lì) mentre aspettavo il mio pass. Tutto il superfluo una volta dentro passa in secondo piano.
Il forte odore dei pneumatici usati ti travolge, il rumore assordante delle vetture all’inizio può scombussolare ma basta pochissimo per adattarsi. Entrare nei box e attraversare la pit lane però… a quello sono sicura nessuno può farci l’abitudine. Vedere tutti occupati a sistemare le vetture in previsione delle qualifiche o gare, sentire il campanellino che avvisa se qualcuno è entrato in pit-lane, osservare i tecnici impegnati a studiare i grafici sotto il sole al muretto o dentro i box all’ombra. Come si fa ad abituarsi? E pensare che si trattava solo di un weekend di Formula 4 e altri campionati minori. Non oso immaginare la frenesia che anima gli autodromi quando a disputare le gare è la Formula 2 o addirittura la F1.
C’è da dire che i piloti non prendono assolutamente meno sul serio il loro lavoro, già che sono lì è buona cosa che facciano bene no? Però sicuramente è anche vero che si respira molta più tranquillità e spensieratezza di quella che magari si può immaginare. I pilotini sfrecciano da tutte le parti e in ogni momento sui loro monopattini (a volte anche in più persone alla volta) verso riunioni e interviste, i meccanici lustrano e sistemano a dovere le loro monoposto e i parenti (talvolta anche prestigiosi) magari studiano qualche strategia.
Il tutto sotto il sole spaccapietre di Luglio che ti fa perdere ogni liquido presente nell’organismo. I team mica sono stupidi però eh, mentre passeggi fra i vari quartier generali non è così assurdo trovare irrigatori che spruzzano montagne d’acqua sopra i tendoni sotto cui lavorano o mangiano le varie squadre.
Possono sembrare strane le lavatrici a rotelle, le piscine gonfiabili o le pistole ad acqua sparse per il paddock. Però alla fine il tempo per stupirsi di questi elementi insoliti non ce l’hai, talmente sei impegnato ad attendere che le persone abbiano 5 minuti per parlare con te o a seguire cosa combinano tutte le vetture che si susseguono in pista in una mattinata.