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Carla Santandrea: “I miei anni d’oro in Ferrari”

Per quelli che come me sono nati nei primi anni del nuovo millennio, gli anni vincenti della coppia Todt-Schumacher in Ferrari sono solo un sogno lontano. Ho avuto la possibilità di intervistare telefonicamente Carla Santandrea, Responsabile dell’Hospitality Ferrari durante i cinque titoli di Michael Schumacher e lavoratrice a Maranello per ben 18 anni, in una lunga chiacchierata.

Com’è nata la sua passione per i motori? Cosa l’ha spinta a far sì che da semplice passione diventasse il suo lavoro?

“Dire che non avessi idea di cosa fosse la Formula Uno è un’affermazione un po’ forte, però non avevo nessuna passione viscerale. Guardavo i Gran Premi di Montecarlo, per una questione di glamour, e quelli d’Italia, perché facevano parte della realtà sportiva nazionale. Ma è nato tutto un po’ per caso, perché io sono originaria di Padova, lavoravo là in una grande azienda tedesca e avevo voglia di cambiamento. Così una mia amica che lavorava in Ferrari disse: “Dai, dammi il tuo CV, magari cercano.” Dopo mesi fui contattata per fare una selezione scritta. Non pensavo mai che sarei arrivata in Formula Uno, ma pensavo alle macchine da strada, per il fascino che la Ferrari ha sempre avuto. 

Tempo dopo fui chiamata dal Direttore del Personale dicendo che avevo passato la selezione. Iniziò un periodo molto impegnativo di colloqui orari. Durante uno dei primi incontri con il Direttore del Personale, scoprii che avrei lavorato in Gestione Sportiva. Feci l’ultimo colloquio con Jean Todt, in quanto avrei dovuto anche lavorare a stretto contatto con lui, sebbene il mio ruolo fosse quello di assistente al Direttore della Comunicazione della stampa sportiva. Mi chiese se la Formula Uno mi interessasse. Io, candidamente, gli dissi che non ero una grande appassionata. E secondo me era proprio la risposta che si aspettava: Jean Todt non cercava persone particolarmente fanatiche nei ruoli non strettamente legati allo sviluppo della macchina, perché era convinto che la concentrazione sul proprio lavoro si sarebbe distolta su altro.

Feci un altro colloquio con il responsabile del Personale della Gestione Sportiva, in cui iniziammo a parlare dell’aspetto economico. Il sabato del Gran Premio di Monza del ‘98 mi chiamarono riferendomi che avevano accettato la mia proposta economica: Todt mi voleva nel suo team. Io risposi che ci avrei pensato. “Non posso andare a dire a Todt che ci deve pensare, le sto comunicando che abbiamo accettato la sua proposta economica, come fa a rispondermi ‘ci penso?’”. Insomma, erano più sorpresi di me. Alla fine accettai. E, ça va sans dire che da lì la Formula Uno è diventata la mia grande passione.

Lavorare vicino ad un personaggio come quello di Todt è stata una grande fortuna e una grande scuola di vita. Tuttora, nonostante l’età avanzata, è una persona molto esigente, che non dà mai soddisfazione direttamente. Ma si è dimostrato anche molto affettuoso nei miei confronti. Ho avuto modo di rivederlo in diverse occasioni e ha sempre avuto parole gentili nei miei confronti.

Fu lui che nel 2000 mi propose questa grande opportunità: “Ma che ne dici di far parte della squadra come Responsabile dell’Hospitality Ferrari ai Gran Premi?”. E così iniziai a girare per il mondo in quanto responsabile del Paddock Club Ferrari. Seguivo tutta la parte relativa all’hospitality dei Vip ai Gran Premi, a partire dai clienti Ferrari, mi interfacciavo con i marketing manager degli sponsor nell’organizzazione del loro guest programme all’interno della nostra hospitality. Inoltre accompagnavo i piloti agli eventi. Furono anni straordinari, di successi uno dopo l’altro, che probabilmente non si ripeteranno presto… Jean Todt fu in grado di creare una squadra che rimarrà nella storia della Formula Uno.”

Carla Santandrea con Michael Schumacher, Malesia 2000

“Ho lavorato a fianco di piloti come Michael Schumacher, Eddie Irvine, Barrichello, Felipe Massa, Kimi Raikkonen… Era un clima diverso anche grazie a loro. Adesso, per quanto frequenti i circuiti da tifosa, noto molto distacco nel rapporto tra il team e il pilota”.

“Michael soprattutto aveva un occhio di riguardo per la squadra. Ad esempio, quando andavamo al Nürburgring, partivamo un giorno prima e lui organizzava un pomeriggio al suo kartodromo: facevamo queste gare di kart a quattro e ricordo che un anno ebbi anche la fortuna di vincere! Venni premiata da Michael con una coppa: ce ne era una per tutti, per il primo team, il secondo e il terzo. Sulle sue spalle c’era Mick, piccolino. Mi vien da sorridere quando lo vedo nei circuiti, perché quando Mick è nato io fui incaricata di tradurre il biglietto di congratulazioni e del regalo.

Michael già a settembre pensava al regalo di Natale per tutta la squadra, faceva regali ad ogni compleanno. Io un anno, nel giorno del mio compleanno, mi vidi recapitare un mazzo di fiori con scritto: “Tanti auguri di buon compleanno, Michael Schumacher”. Ero convinta che fosse uno scherzo. Chiesi ad un mio collega se fosse stato lui a spedirmi il mazzo e lui rispose: “Guarda piuttosto l’avrei firmato a mio nome!”. Così ringraziai Michael tramite Sabine (Kehm), visto che non la stagione di Formula 1 non era ancora iniziata. L’anno dopo, ad esempio, mi regalò una cesta: questo era Michael, era diverso da tutti gli altri piloti!”

“Alla fine di ogni Gran Premio, se magari usciva di pista o si rompeva la macchina, rimaneva fino a sera e prima di andar via, passava a salutare tutta la squadra. Dietro la figura del calcolatore razionale c’era una persona molto sensibile. Anche Corinna lo seguiva praticamente in tutte le gare: ricordo che mandava i fax alla figlia (Gina Maria) per correggere i compiti. Gli altri piloti davanti a Michael hanno sempre avuto la sindrome del secondo; l’unico che capì la superiorità di Michael fu Eddie (Irvine) che nonostante ciò fu un forte secondo. Ma comprese che non c’erano storie con un personaggio del genere, nel suo era invincibile.” 

Carla Santandrea con Michael Schumacher, Monza 2006

In cosa consiste il lavoro dell’addetto stampa e quello del senior marketing manager nel motorsport? 

“L’addetto stampa si occupa della gestione dei rapporti con la stampa dei piloti e dei top manager: si deve coordinare con tutte le testate giornalistiche e deve filtrare le richieste di interviste che arrivano. Ad esempio in Ferrari all’epoca arrivavano un numero di richieste da paura per Michael: era necessario fare uno screening delle interviste in accordo con la sua addetta stampa personale. Durante i Gran Premi si preferivano le interviste di gruppo, solo alcune tv avevano diritto a interviste esclusive. Anche nelle interviste post-Gp Michael era una garanzia: non andava istruito, era sempre preparato anche in quello.

Io ad esempio ero anche incaricata quotidianamente di leggere la rassegna stampa e di fare un riassunto a Todt, evidenziando eventuali articoli salienti: era un lavoro totalmente sul cartaceo, in quattro lingue, italiano, inglese, tedesco e poi spagnolo. All’inizio è stato difficile avere un rapporto diretto con un personaggio così particolare, ma sono stata appagata perché mi ha dato la possibilità di fare questa esperienza meravigliosa.” 

“La parte marketing in Formula Uno è molto legata all’ambito degli sponsor; io come partnership manager mi occupavo dei rapporti con gli sponsor e delle attivazioni delle sponsorizzazioni, nonché degli eventi ai quali i piloti dovevano partecipare da contratto, eventi focalizzati sullo sponsor in questione.”

Carla Santandrea con Stefano Domenicali, aprile 2022

Com’era la Ferrari di quando lavorava lei rispetto a quella che è diventata oggi?

“Era un po’ come una grande famiglia, perché quando sono entrata io eravamo poco meno di 2000 dipendenti in tutto, ora saranno più di 4000. Mi ricordo che a fine ‘98, al pranzo di Natale della Gestione Sportiva eravamo circa 650, adesso saranno più che raddoppiati. Una volta era la Gestione Sportiva ad avere un trattamento economico diverso, era il primo motore della produzione industriale, proprio perché la Ferrari usciva da un periodo non di particolare successo. Si puntava molto sulla Formula 1 e vincemmo il Mondiale nel 2000, dopo 21 anni di digiuno.  Al marketing c’era Stefano Domenicali, che era il Direttore Sportivo e Responsabile degli Sponsor, nonché mio capo, e poi eravamo in tre persone. Ci contavamo davvero in una mano, ma c’era un gran feeling tra noi. Adesso il team è quadruplicato.” 

Cosa vuol dire da donna italiana aver lavorato in Lamborghini e Ferrari?

“In Lamborghini è stata un’esperienza diversa, mi sono occupata della Customer and Vip Factory Experience. È stata un’esperienza comunque molto bella perché ero con Domenicali che è una persona eccezionale, onesta e dal cuore grande e, come in Ferrari, eravamo un gruppo molto affiatato.  In Formula 1 passavamo tanto tempo fuori casa insieme e andavamo tutti d’accordo: dove non arrivavo io c’erano la mia collega o il mio collega a darmi una mano e viceversa. Poi a livello lavorativo c’erano anche le cene con i clienti e gli sponsor… Se non si andava d’accordo poteva diventare davvero difficile. Adesso non è più così. Per questo anche quando ho seguito Domenicali in Lamborghini è sempre stato come stare in famiglia”.

Da qualche mese sta lavorando sul nuovo film su Enzo Ferrari, di Michael Mann, con Adam Driver e Penelope Cruz… 

“Sì! Ho avuto anche questa fortuna. Ho appena terminato la collaborazione con la Produzione del film. È un lavoro completamente diverso da quello che ho sempre fatto, ma che mi ha “legato molto” con il fatto che è ambientato a Modena e racconta questa parentesi della vita di Enzo Ferrari. Ci sono molte similitudini con la Formula Uno, nel senso che come i piloti, anche il mondo hollywoodiano è un mondo di prime donne. Altre somiglianze che ho trovato è che, mentre in Formula Uno tutto ruota attorno ad un weekend di gara, in un set nel giro di qualche mese viene creata un’azienda temporanea. 

Pensa ad un ritorno in Formula Uno? 

“Perchè no? Se ci dovessero essere le condizioni potrei anche valutare un ritorno, non mi dispiacerebbe.” 

Un consiglio a tutte le ragazze che desiderano entrare in un mondo maschile e pieno di stereotipi come quello della Formula Uno? 

“Sembrerà un consiglio banale: non mollare mai. Se si è convinte di fare qualcosa bisogna andare avanti per la propria strada. Certo, bisogna sgomitare e far valere i propri diritti, ma questo non solo in Formula Uno. Forse in Italia è più complicato, all’estero si è più valorizzate, nei team inglesi si iniziano a vedere anche donne ingegnere. Inoltre sono convinta di quello che dicono i latini “faber est suae quisque fortunae” ognuno è artefice/causa della propria fortuna”.

Giulia De Ieso

Studentessa al quinto anno di liceo classico, scrivo e parlo di motori che siano a due o a quattro ruote.

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