Davanti a gravi incidenti ci è capitato di pensare “dovrebbero interrompere la gara” o ancora “ma come fanno a ripartire?“… E ripensando che ieri hanno recuperato i 18 minuti di Udinese-Roma – partita di Serie A del 14 Aprile sospesa per il malore di Obite Evan N’Dicka – la forza mentale dei piloti di F1 risalta ancora di più.
Il malore genera dolore
Un giocatore cade a terra. Si genera il panico. La prima cosa che vediamo fare, oltre al primo soccorso, è l’accerchiamento degli altri giocatori per proteggere e salvaguardare il proprio compagno.
Una scena che toglie il respiro e lascia in lacrime tutti: dai 22 in campo alla panchina, passando per i tifosi. I medici portano via il calciatore in barella con applausi che si elevano in tutto lo stadio. La paura diventa semplice preoccupazione: sapere che il giocatore è vivo genera sollievo.
Momenti così il calcio li ha vissuti recentemente e, se il malore di Christian Eriksen ad Euro 2020 aveva portato ad una breve sospensione della partita, quello di N’Dicka ha causato l’interruzione del match con ripresa al primo giorno disponibile.
Pensate se in F1 – e più in generale nel motorsport – succedesse una cosa del genere ad ogni incidente grave.
F1: per i piloti un rischio consapevole
I piloti sono consapevoli dei rischi e pericoli che corrono ogni volta che scendono in pista. Sanno di dover fare una gara anche contro la morte. Con i progressi in materia di sicurezza che hanno quasi azzerato incidenti mortali – l’ultimo in F1 è datato 2014 – si sentono più al sicuro.
Perciò quando un contatto genera gravi conseguenze, queste non passano inosservate.
Gli occhi sono spalancati, alla ricerca di costanti conferme e risposte positive. Sanno tutti di essere fortunati. Il fatto che non vedano scene simili così spesso – il che è un bene per questo sport – lascia ancor di più il segno. C’è spavento, paura.
Ognuno poi ha reazioni differenti: tra chi riesce a mantenere il controllo e chi, invece, si lascia travolgere dalle emozioni. Ciò che stupisce ogni volta è come trovino la forza di rimettere casco e guanti per tornare in pista.
Non dite “come se nulla fosse“, quella è solo apparenza. Alla guida infatti vi sono i cocci incollati con l’amore per questo sport, l’adrenalina che scorre nelle vene e un’esigenza: essere più veloci del vento.
Squadre sì, ma non famiglia
Nonostante vi siano i team, la F1 è uno sport individuale. I piloti gareggiano l’uno contro l’altro, in certi casi le scuderie devono intervenire per limitare i danni. Si può dire che in pista sono egoisti per ottenere il miglior risultato possibile. Certo, le amicizie ci sono, ma una volta che salgono in macchina i piloti non guardano in faccia nessuno.
Non stupiamoci quindi nel vedere partite di calcio interrotte e piloti che festeggiano mentre un altro è in ospedale.
Perché una squadra è famiglia. Se la F1 fosse così vedremmo tutto un altro sport.
Sicuramente non sarebbe F1.