Il cammino della sicurezza in sette decenni di Formula 1
In Formula 1, lo sviluppo tecnico e ingegneristico rappresentano da sempre fattori chiave nell’avanzamento della disciplina. Dal 1950, data a cui si fa tradizionalmente risalire la nascita dello sport, il progresso e l’evoluzione delle monoposto non sono mai cessati, perfezionandosi, anzi, di stagione in stagione.
Dall’incontro tra innovazione e passione nascono, quindi, le vetture che quasi ogni week-end vediamo sfrecciare per le piste di tutto il mondo. Se i nostri occhi, però, non riescono a perdere di vista i veicoli dai colori sgargianti, chi non percepiamo a primo impatto sono i piloti al loro interno.
“Il motorsport è pericoloso“, un monito che aleggia inflessibile, ostinato, ricordando a ogni appassionato quanto gli sport motoristici possano essere rischiosi. Un avvertimento anche per i piloti che, temerari, sfidano la velocità e il destino a ogni sterzata di volante.
Gli albori
È noto come nei primi anni di Formula 1 la sicurezza non fosse una delle principali preoccupazioni né dei team né dei piloti. Vigeva, infatti, una vera e propria cultura del rischio condita da una seria inaffidabilità delle auto, sistemi di sicurezza quasi nulli e design dei circuiti problematici.
Dopo decenni di incidenti fatali e tragedie sfiorate, uno dei primi a mettere in luce la questione della sicurezza fu Jochen Rindt, unico campione postumo della storia della Formula 1. Durante le qualifiche al Gran Premio di Monza del 1970, infatti, il pilota tedesco subì un grave impatto contro i guard-rail del circuito, appena prima della curva Parabolica.
La peculiarità del fatto non fu tanto l’incidente in sé, critico ma non fatale, quanto più l’intervento dei soccorsi. La GPDA (Grand Prix Drivers Association) possedeva, infatti, un veicolo con tutte le attrezzature mediche necessarie, ma quella volta non fu utilizzato. Il pilota fu, inoltre, condotto all’ospedale sbagliato. La magistratura italiana, perciò, pose sotto accusa la Lotus, scuderia per la quale gareggiava Rindt, e Colin Champman, fondatore della “Lotus Cars”, incolpandolo della scarsa sicurezza e affidabilità delle sue monoposto.
Quello stesso anno altri due piloti persero la vita: Bruce McLaren e, diciannove giorni dopo, Piers Courage.
Altro episodio eclatante fu l’incidente di Niki Lauda, nel 1976, al Nurburgring: nonostante le condizioni metereologiche e di pista pessime, infatti, la gara si disputò. Il pilota, perso il controllo della vettura, andò a colpire i guard-rail, prendendo fuoco e, rimbalzato nuovamente in pista, centrato da altre due monoposto che giungevano in quel momento.
Grazie all’intervento di vari piloti Lauda sfuggì alla morte, evidenziando, però, l’inadeguatezza dei sistemi e delle strutture di soccorso.
Turning Point: dal 1978 al 1994
Alla fine degli anni ’70 alcune svolte positive interessarono il Circus.
Una volta sottolineata la carenza di sicurezza delle piste e del suo personale, era necessario, dunque, intervenire.
In primo luogo, i circuiti furono dotati di centri medici e divenne obbligatoria anche la presenza di un elicottero di sicurezza. La FIA, poi, rivisitò anche i design dei tracciati in modo da renderli più sicuri e forniti di vie di fuga.
A partire dal 1983 fu, inoltre, bandito dalle monoposto l’effetto suolo, ideato da Colin Chapman. Considerato una soluzione aerodinamica troppo pericolosa per le fragili e instabili Formula 1 di fine anni ’70, la sua assenza garantì meno velocità ma più sicurezza.
Grazie a queste modifiche efficaci, negli anni successivi il tasso di mortalità in F1 diminuì fortemente. Ciò fu anche dovuto dalla sempre maggiore importanza ricoperta dagli sponsor e dalle emittenti televisive, per i quali lo sport era un prodotto da vendere.
La vera e propria rivoluzione, però, avvenne dopo il week-end più nero della storia della Formula 1: stiamo parlando del Gran Premio di Imola del 1994.
Le prove del venerdì, infatti, coinvolsero Rubens Barrichello in un terribile incidente, fortunatamente non mortale. La stessa fortuna, purtroppo, non rivolse il medesimo sguardo a Roland Ratzenberger, pilota austriaco che da poco aveva raggiunto la classe regina. Nonostante gli interventi tempestivi, infatti, per l’austriaco non ci fu nulla da fare.
Il funesto fine settimana si concluse anche con la scomparsa di Ayrton Senna, segnando, di fatto, la fine di un’era.
Rinascita
“Dagli errori si impara“, forse il mantra della Formula 1 per quanto riguarda la sicurezza.
Dal Gran Premio di Imola del 1994, in effetti, la mentalità comune in termini di tutela dei piloti e, persino, degli spettatori, è cambiata notevolmente.
Complici sono stati sicuramente anche i governi dei Paesi ospitanti, i quali minacciavano di vietare lo sport nel loro territorio in caso di mancati provvedimenti. Vi si aggiungono, inoltre, gli sponsor e le emittenti televisive che, preoccupati della loro immagine, erano intenzionati a sciogliere i contratti con la Formula 1.
La competizione, infatti, nel corso del tempo aveva ottenuto grandi consensi tra gli spettatori, ed era necessario, dunque, tutelarli in qualità di consumatori. In effetti, l’approvazione del pubblico ha giocato un ruolo fondamentale, assicurando alla FIA grandi introiti spendibili nella ricerca della sicurezza.
E oggi?
Oggi la tutela dei piloti è oggetto di studio e analisi da parte di grandi compagnie e, persino, delle stesse scuderie. Ecco, quindi, le maggiori innovazioni contemporanee:
- strutture dotate di coni anti-intrusione che diminuiscono le forze di impatto laterali in caso di incidente;
- uso obbligatorio di cinture per le spalle, una per l’addome e due per le gambe;
- sistemi di sgancio rapido dal sedile;
- imbottiture varie presenti per la tutela della testa, gambe e braccia;
- in caso di impatto, le monoposto sono dotate di sistemi collegati a registratori di dati della FIA, i quali indicano in tempo reale alla squadra medica la gravità dell’incidente;
- in seguito all’incidente di Massa al Gran Premio di Ungheria nel 2009, i caschi sono realizzati in zylon, una delle fibre più resistenti;
- Halo, ovvero una barra curva realizzata in titanio di grado 5 a protezione della testa del pilota.
Oltre agli aspetti aerodinamici e meccanici, dunque, in Formula 1 è vitale anche la sicurezza, ed è necessario continuare a investire e promuovere il suo sviluppo.