19 Febbraio 2023. Mancano ormai pochi giorni al fatidico comando “Drivers, start your engines!” che darà il via al primo grande evento della stagione negli Stati Uniti. La Daytona 500 o “The Great American Race” è la corsa più importante nel mondo delle stock cars. Apre ufficialmente la stagione della NASCAR Cup Series, attraendo anche piloti di varie discipline.
Anche quest’anno Daytona non fa eccezione, con la presenza in gara di chi viene dal mondo dell’NTT Indycar Series. I candidati pronti a tentare la fortuna non sono mancati, vediamo chi ha portato a termine un accordo, chi non ci sarà e chi c’è stato.
Conor Daly debutta a Daytona
Nelle ultime ore, Conor Daly ha annunciato la sua presenza alla Daytona 500. Per il pilota statunitense, attivo a tempo pieno in NTT Indycar Series con Ed Carpenter Racing, sarà il suo esordio assoluto su un superspeedway. Nonostante ciò, non è la prima presenza in NASCAR. Dopo le brevi esperienze in Truck ed xFinity Series dal 2018 al 2021, lo scorso anno ha esordito al Charlotte Roval in Cup Series.
Daly ha confermato il suo impegno con The Money Team Racing sulla BitNile.com Chevrolet Camaro ZL1, squadra co-fondata dall’ex pugile Floyd Mayweather. Per il team, il loro esordio in NASCAR Cup Series è avvenuto lo scorso anno con Kaz Grala alla Daytona 500. Un esordio complesso, dove la perdita di una ruota in uscita dai box con penalità conseguente ha relegato il team al 26° posto finale, staccati di 4 giri dal vincitore Austin Cindric. Mayweather, in seguito all’annuncio, ha dichiarato:
“The Money Team Racing ha sorpreso il mondo partecipando alla Daytona 500 l’anno scorso, io credo in questa squadra e so che prepareremo una grande macchina per la gara di quest’anno”. Come un lottatore èronto ad affrontare i migliori, Conor ha il coraggio di guidare questa bestia senza alcun test e di metterla in griglia. Conor è come un combattente affamato, mi piace come tipo. Di sicuro non scommetterei contro di lui”.
The Money Team Racing: gli impegni precedenti di una giovane squadra
Oltre alla prima partecipazione a Daytona e a Charlotte Roval, The Money Team Racing ha corso anche al COTA di Austin e ancora a Charlotte Oval ancora con Kaz Grala. Proprio in quest’ultima tappa, si è ottenuto un 23° posto come miglior piazzamento. Si tratta di un team molto giovane che deve fare esperienza. Bisognerà osservare quando decideranno di prendere in considerazione un effettivo impegno a tempo pieno in Cup Series nel futuro. Riusciranno a migliorare questo risultato finale nella gara del 19 Febbraio? Daly ha dichiarato:
“Sono entusiasta di avere l’opportunità di poter partecipare alla Daytona 500. È la gara più prestigiosa in NASCAR e avere la possibilità di parteciparvi è davvero un onore. Sono anche entusiasta di correre l’intera stagione NTT Indycar Series e ad alcuni eventi NASCAR Cup Series. Non vedo l’ora di affrontare la sfida e di mettermi al volante della BitNile.com Chevrolet. Posso salire su qualunque auto da corsa, barca, scooter o dune buggy che mi chiedano di guidare.”
Tuttavia, va rammentato che se dovessero esservi più di 40 iscritti alla gara, la vettura di Daly non dispone del charter che garantirebbe la sua presenza al via, a quel punto obbligatoria. In tal caso, egli deve essere sufficientemente veloce per qualificarsi alla gara.
Hélio Castroneves, tante idee ma un debutto rimandato
Tra i piloti più chiacchierati per una possibile partecipazione alla Daytona si è fatto il nome di Hélio Castroneves. Il brasiliano, classe 1975, ha conquistato per 4 volte la Indy 500, ma non ha mai gareggiato in NASCAR. Dopo aver gareggiato nel campionato SRX Superstars Racing Experience part time e aver conquistato la vittoria al Five Flags Speedway, Castroneves era dato per certo come partente a Daytona. Questo perché in una chiacchierata con il proprietario del circuito si erano promessi di trovare un volante per la Daytona 500 in caso di vittoria del brasiliano.
Tuttavia, nonostante numerosi voci di corridoio lo davano partente con The Money Team Racing o come candidato per gareggiare con Trackhouse Racing Project91, il tutto si è risolto con un nulla di fatto. Ai microfoni di ESPN.com, Castroneves ha dichiarato le ragioni per cui non sarà in gara a Daytona:
“Purtroppo per me la mancanza di esperienza, nessun test preliminare e un sacco di altre cose mi hanno portato a rinunciare per quest’anno. Credo che sarà un po’ difficile gettarmi nella mischia con così poca preparazione. Serve avere un’opportunità più concreta e fare un po’ più di esperienza con più tempo”.
Nonostante ciò, le soddisfazioni del brasiliano a Daytona non sono mancate. Infatti, alla 24h di Daytona è stato in grado di vincere per la terza volta con Meyer-Shank Racing in categoria GTP.
Daytona e piloti Indycar. Tra vincitori e vinti
Ma oltre alla stretta attualità, la Daytona 500 è sempre stata un polo d’attrazione per i piloti del mondo Indycar. Alcuni hanno trovato il successo, molti altri invece sono usciti sconfitti da questa gara. Ecco alcuni dei partecipanti più rinomati e notevoli ad aver gareggiato a Daytona.
Mario Andretti, un eroe dei due mondi
Non mettere nella top 10 dei piloti più grandi di tutti i tempi Mario Andretti sarebbe un azzardo. La sua carriera ha dei connotati che oggigiorno risultano mitologici. L’eroe dei due mondi, Istriano nativo di Montona e rifugiato a Lucca dopo la guerra, emigrò negli Stati Uniti nel 1955. Divenne cittadino statunitense soltanto nel 1964, ma per molti è ancora oggi visto come italiano. I suoi successi spaziano dal mondiale di F1, la Indy 500 e i 4 titoli conquistati tra USAC e CART Series. Fu anche vincitore nell’endurance con 3 successi nella 12h di Sebring, una vittoria alla 24h di Daytona e un 2° posto assoluto alla 24h di Le Mans nel 1995. In quest’ultima corsa, fu comunque vincitore di categoria.
Oltre a questo, Mario fu attivo saltuariamente in NASCAR Cup Series dal 1966 al 1969. Con Holman-Moody Racing, nel 1967 conquistò il suo unico successo in NASCAR e fu la Daytona 500. Partito 12° con una Ford Fairlane contese il comando a lungo con David Pearson e Fred Lorenzen. Pearson al giro 159 dovette ritirarsi con problemi di motore, Mario prese il comando definitivamente al giro 168 dopo aver staccato Lorenzen e vinse, con 112 giri in testa.
Ad oggi, è ricordato come il primo pilota non statunitense ad aver vinto una gara nella storia della NASCAR. Ad oggi, è anche l’unico pilota non nato su suolo statunitense nella storia della NASCAR ad aver vinto la Daytona 500. In un’America non aperta al resto del mondo, nessuno ha saputo conquistare il suo cuore come un italiano.
A.J. Foyt, l’ultimo eroe d’America
Grande rivale di Mario Andretti per lungo tempo anche lui annoverabile tra i 10 piloti più grandi di sempre, anche A.J. Foyt può vantare risultati dal fascino mitologico. I suoi 7 titoli nel campionato USAC, le sue 4 vittorie alla Indy 500, la sua unica vittoria alla 24h di Le Mans e i successi alla 12h di Sebring e alla 24h di Daytona, fanno di lui una delle colonne portanti nel motorsport.
Tanto quanto Mario Andretti, Foyt ha conosciuto grandi successi anche in NASCAR. Saltuariamente attivo dal 1963 al 1996, fu per 7 volte vincitore, di cui per due volte a Daytona nella gara estiva, la Firecracker 400, nel 1964 e 1965 con una Dodge Polara e una Ford Galaxy.
Ma è nel 1972 che conquisterà la Daytona 500. Partito 2° con la Mercury Cyclone di Wood Brothers Racing, Foyt è in lotta nei primi 80 giri contro Richard Petty. Super Tex prenderà definitivamente il comando della gara quando “The King” dovette ritirarsi per il cedimento di una valvola. Quel giorno è semplicemente imprendibile, conducendo agevolmente per 164 giri su 200 totali, doppiando tutti quanti i concorrenti in griglia.
Dopo la Daytona 500, Foyt vincerà in NASCAR per l’ultima volta in Ontario nello stesso anno. Da lì in poi, non vedrà più per primo la bandiera a scacchi. Gareggerà per altre 20 edizioni fino al 1993, concludendo la gara solo 6 volte. L’edizione migliore fu il 1979, dove concluse 3° in volata contro Richard Petty e Darrell Waltrip.
Johnny Rutherford, la stella solitaria del Texas
Nell’epoca di Mario Andretti ed A.J. Foyt, un altro grande nome ad aver fatto la storia del mondo Indycar e ad aver corso anche a Daytona è Johnny Rutherford. “Lone Star Johnny” fu 3 volte vincitore della Indy 500 (1974, 1976, 1980) e due volte campione Indycar in USAC e CART nel 1980.
In NASCAR gareggiò saltuariamente dal 1963 al 1988. Proprio nel 1963, Rutherford vinse la seconda batteria della Twin 125s, gare di qualificazione per la Daytona 500. In gara concluderà tuttavia al 9° posto. Da lì, Rutherford corse in sette edizioni tra il 1963 e il 1981, dove non vide mai il traguardo, tranne che nel 1981 quando concluse al 10° posto. Sul fronte CART Series, Lone Star Johnny conquisterà altri tre successi, prima di ritirarsi definitivamente dopo aver mancato la qualificazione alla Indy 500 nel 1992.
Cale Yarborough, un percorso inverso
Tra gli esempi notevoli, la storia di Cale Yarborough ha del singolare rispetto agli altri nel suo rapporto Indycar e Daytona. Pilota tostissimo, fu attivo in NASCAR dal 1957 al 1988, dove fu 3 volte consecutive campione NASCAR Winston Cup Series dal 1976 al 1978 e vincitore per ben 4 volte della Daytona 500. Questi risultati, uniti alle 83 vittorie conseguite, lo hanno reso il secondo pilota più vincente di sempre alla Daytona 500 dopo “The King” Richard Petty.
Oltre a questo, Yarborough è considerabile anche come pilota Indycar, in quanto partecipò per 4 volte alla Indy 500 tra il 1966 e 1972, gareggiando a tempo pieno solo nel 1971. Di queste quattro partecipazioni ad Indianapolis, quella del 1966 fu la peggiore. Alla partenza, un contatto tra Gordon Johncock e Billy Foster portò quest’ultimo sul muro, innescando una carambola che eliminò 11 partenti, cui Yarborough.
1979, la tempesta perfetta che cambiò per sempre la NASCAR
Di tutti i successi conseguiti nella sua carriera, tuttavia, l’evento più memorabile della carriera di Cale Yarborough proviene da una sconfitta alla Daytona 500, nel 1979. Negli ultimi 22 giri, Cale fu protagonista di un lungo inseguimento contro Donnie Allison. A metà dell’ultimo giro, si portò all’interno per attaccarlo, ma quest’ultimo chiuse la porta, portandolo sull’erba. Yarborough perse il controllo, con i due che si scontrarono ripetutamente, prima di finire contro il muro e fuori gara.
Poco dopo la fine della gara, arrivò sulla scena dell’incidente Bobby Allison, fratello di Donnie, per vedere se aveva bisogno di un passaggio in pit lane. Yarborough, accecato dalla rabbia, accusò Bobby Allison per l’incidente. Quest’ultimo, sorpreso da tutto ciò, anni dopo ricordò la scena così:
“Stava urlando contro di me a qualche metro di distanza. Io a quel punto ho replicato mettendo in dubbio i suoi antenati, lui si è lanciato contro di me tirandomi in faccia il suo casco! Mi ha tagliato il naso e il labbro, ho guardato in basso e perdevo sangue. A quel punto pensai di dover affrontare la cosa subito o sarei scappato da Cale Yarborough per il resto della mia vita.”
I tre protagonisti della vicenda sconfitti, sporchi, delusi e infuriati l’uno contro l’altro, a quel punto arrivarono allo scontro fisico, con una scazzottata che divenne iconica. Questo evento, trasmesso per la prima volta in diretta televisiva senza interruzioni, portò enorme popolarità alla NASCAR, facendo scoprire a milioni di americani uno sport seguito soprattutto nel Sud-Est degli USA. Il successo fu dovuto anche alla violenta perturbazione nevosa che colpì il nord degli Stati Uniti in quei giorni, obbligando le persone a restare in casa. Non è un caso che questa corsa fu ribattezzata “La tempesta perfetta”.
Tony Stewart, così vicino ma così lontano
Tra i migliori piloti statunitensi degli ultimi trent’anni, “Smoke” si è fatto un nome agli albori della IRL. Vinse il titolo nel 1997, ma la sfortuna lo privò di due Indy 500 a causa di cedimenti tecnici. Allo stesso modo, dopo essere passato a tempo pieno in NASCAR nel 1999, Stewart rimase un pilota di successo. La conquista di 3 titoli nel 2002, 2005 e 2011 uniti a 62 vittorie nelle tre categorie principali, lo hanno reso uno dei più vincenti.
Tuttavia, la Daytona 500 non è mai stata gentile con Stewart. Nel 1999, si qualificò al 2° posto all’esordio assoluto in Winston Cup Series, ma in gara fu solo 28°, rallentato da problemi tecnici. Nel 2001 fu coinvolto in un pauroso “Big One”. Travolto da Ward Burton, Stewart decollò a mezz’aria e capottò in mezzo al gruppo, coinvolgendo altre 17 vetture. Fortunatamente uscì pressoché illeso da una vettura completamente distrutta. L’anno successivo, la sua corsa durò solo due giri per la rottura del motore.
Quattro occasioni d’oro, quattro Daytona 500 sfumate
Tony Stewart, in almeno quattro occasioni fu il pilota da battere, ma in tutte e quattro le volte fu beffato dalla sorte avversa. Nel 2004 condusse la gara più di ogni altro pilota, per ben 98 giri, ma chiuse al 2° posto dietro a Dale Earnhardt Jr. che lo superò a 20 giri dal termine. L’anno successivo, condusse ben 107, ma concluse soltanto al 7° posto finale, superato al giro 197 da Jeff Gordon che andò poi a vincere la gara in Overtime.
Ancora una volta, nel 2007, Stewart era il grande favorito assieme a Kurt Busch. Condusse la gara per 37 giri, prima che un incidente proprio con Busch in curva 4 mise entrambi fuori gara a 48 giri dalla conclusione. La corsa verrà poi vinta in modo spettacolare da Kevin Harvick, battendo in volata il veterano Mark Martin, un altro grande nome mai in grado di vincere la Daytona 500. L’anno successivo, la sconfitta più bruciante. Condusse per solo 16 giri stavolta, ma alla bandiera bianca si trova al comando. Sembra fatta, ma all’ultimo giro viene superato dalle Dodge del Team Penske di Ryan Newman e Kurt Busch, chiudendo al 3° posto e beffato. Nelle interviste si vedrà un Tony Stewart amareggiato, quasi in difficoltà a trattenere le lacrime per la cocente delusione.
Juan-Pablo Montoya, quando essere dei grandi campioni non basta a Daytona
Un altro pilota che ha raccolto successi ovunque e ha tentato la sorte a Daytona senza trovare la vittoria finale è Juan-Pablo Montoya. Le due Indy 500, un titolo CART Series, 3 vittorie alla 24h di Daytona e 6 vittorie in F1 con Williams e McLaren parlano chiaro sul talento del pilota colombiano. Dal 2006 al 2014, Montoya ha gareggiato anche in NASCAR Cup Series con Ganassi e Penske. In questo lasso di tempo, dal 2007 al 2013, Montoya ha gareggiato in 7 edizioni della Daytona 500. Le sue capacità non sono state sufficienti per arrivare alla Victory Lane finale, trovando in generale gare sfortunate. Solo nel 2010 e 2011 ha avuto modo di condurre la corsa per un totale di sette giri. Proprio nel 2011 ha ottenuto il suo miglior piazzamento, un 6° posto comunque più che lodevole.
Ma è nel 2012 che si vedrà l’evento più clamoroso. In uscita dai box durante un regime di neutralizzazione, Montoya segnala via radio delle vibrazioni sulla sua vettura. Il colombiano prosegue a velocità sostenuta per raggiungere il gruppo, ma in curva 3 la sua vettura vira improvvisamente verso destra e va a schiantarsi contro un jet dryer. L’immagine è drammatica con una palla di fuoco fuori campo che fa temere il peggio. Fortunatamente, il colombiano esce illeso dalla sua vettura, ma la gara viene fermata con una bandiera rossa. L’impatto ha sparso liquidi ovunque e l’asfalto ha preso fuoco, richiedendo un lungo intervento per domare le fiamme.
Jacques Villeneuve, il caso più recente
Tra tutti i grandi nomi del mondo NTT Indycar Series che hanno tentato la fortuna a Daytona, Jacques Villeneuve è il più recente in ordine di tempo. Per il pilota canadese, vincitore del campionato CART Series e della Indy 500 nel 1995, oltre che campione del mondo di F1 nel 1997, la sua presenza a Daytona in NASCAR è stata solo in due occasioni.
La prima si ebbe nel 2008, quando fu ingaggiato da Bill Davis Racing con una Toyota Camry. Purtroppo per il canadese, un incidente nella seconda batteria dei Gatorade Duels con Stanton Barrett, lo mise fuori gioco mancando così la qualificazione. Superato da John Andretti, Villeneuve perse la vettura in curva 3 e travolse Barrett e Jamie McMurray, che riuscirà comunque a partecipare alla gara.
Più felice l’esito del secondo tentativo. Qualificatosi nel 2022 con la Ford Mustang del Team Hezeberg al 40° posto, ebbe grossi problemi tecnici nelle prime fasi di gara. Nonostante ciò, Villeneuve fu in grado di competere agevolmente in mezzo al gruppo, dimostrandosi competitivo. Il canadese restò fuori dai guai, concludendo la gara in rimonta, al 22° posto.