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Indycar e NASCAR, quando le traiettorie si incrociano

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Il mondo delle corse negli Stati Uniti, che sia a ruote scoperte o coperte, regala spesso degli spunti e delle storie di cui parlare. Questo fine settimana non è un’eccezione. La stagione 2022 dell’NTT Indycar Series si è conclusa a Settembre, ma le competizioni a stelle e strisce proseguono ancora. Non è un caso che alcuni piloti disputino qualche gara a gettone per divertirsi e scoprire nuove tipologie di competizioni.
Questo fine settimana la NASCAR correrà al Charlotte Motor Speedway nella sua versione “Roval”, metà ovale e metà road course, con dei debuttanti illustri. In NASCAR Cup Series, la categoria principale del campionato, farà il suo debutto Conor Daly. Nella seconda categoria, la NASCAR xFinity Series, oltre a registrare la presenza di Daniil Kvyat al via, vi sarà anche il debutto di Marco Andretti. Per ambedue i casi si tratta di figli d’arte.

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La Bitnile.com Chevrolet Camaro del The Money Team Racing con la quale Conor Daly gareggerà domenica a Charlotte. Per il pilota NTT Indycar Series, si tratterà del suo debutto in NASCAR Cup Series. (Photo source: Conor Daly/Twitter.com)

Per Daly, dopo 89 gare in NTT Indycar Series dal 2013 ad oggi, non si tratta del suo debutto assoluto in NASCAR! Infatti, dal 2018 al 2021, Daly ha già disputato tre gare, una in xFinity Series e due nella Camping World Truck Series. Proprio in Truck Series, Daly conquista il suo miglior piazzamento, chiudendo al 18° posto a Las Vegas Motor Speedway, nella 2020 World of Westgate 200.
L’appuntamento di domenica lo vede impegnato a bordo della Chevrolet Camaro numero 50 sponsorizzata da Bitnile.com. La compagine per cui corre sarà “The Money Team Racing”, una squadra alla sua quarta apparizione in NASCAR, dopo aver effettuato l’esordio alla Daytona 500 di quest’anno e altre due tappe al COTA e alla Coca-Cola 600 sempre a Charlotte con Kaz Grala. La singolare peculiarità di questa squadra è che dei tre co-proprietari del team, uno di loro è Floyd Mayweather. L’ex pugile categoria pesi welter, detiene l’invidiabile record di 50 vittorie per KO in 50 incontri disputati.

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Marco Andretti assieme a suo padre Michael e suo nonno Mario, mentre ufficializzano l’accordo per correre a Charlotte in NASCAR xFinity Series con Scott Borchetta, team owner di Big Machine Racing. Per Marco Andretti sarà il suo debutto assoluto in NASCAR. (photo source: Bigmachineracing.com)

Per quanto riguarda Marco Andretti, anche il suo debutto sarà molto seguito. Classe 1987, discende da una delle famiglie più note nel mondo delle corse. Marco, dopo aver rinunciato alla partecipazione full time in Indycar nella quale ha corso dal 2006 al 2022, si è avvicinato sempre di più al mondo delle stock cars. Nel 2021 ha effettuato il suo debutto nella Superstar Racing Experience, un campionato erede spirituale dell’International Race Of Champions, che prevede gare su short tracks da mezzo miglio e vetture a motore Ilmor V8 identiche tra di loro. Dopo aver conquistato una vittoria allo Slinger Speedway nel 2021, quest’anno ha conquistato il titolo giungendo tre volte di fila al 2° posto.

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Marco Andretti, ritratto mentre posa con il trofeo della pole position alla Indy 500 del 2020. Per la famiglia Andretti fu la prima pole position nel catino di Indianapolis dal 1987, conquistata al tempo da suo nonno Mario Andretti (Photo source: Chris Owens/Indycar.com)

Marco, dopo questa esperienza biennale, durante l’estate ha annunciato il suo debutto in xFinity Series. Lo farà con una Chevrolet Camaro di Big Machine Racing Team, sponsorizzata da Big Machine Vodka. La squadra, debuttante nel 2021 e già vincente quest’anno in Texas con Tyler Reddick, ha come suo fondatore Scott Borchetta, il quale è fondatore a sua volta dell’etichetta discografica Big Machine Label Group. Tra i suoi musicisti più noti, possiamo evidenziare Rascal Flatts e Sheryl Crow, creatori di alcune colonne sonore del film “Cars, motori ruggenti”. Ma su tutte, l’etichetta è nota per aver lanciato la carriera di una giovanissima Taylor Swift nel 2005, sua prima artista.


Ma la grande domanda è quanti e quali altri piloti, prima di loro, si sono cimentati nella NASCAR dopo una carriera su vetture di tipo Formula Indy?

Il caso della famiglia Andretti, tra Indycar e NASCAR

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Mario Andretti, ritratto nel 1967 in occasione della Daytona 500. Per lui sarà l’unico successo in NASCAR (Photo source: Indycar.com)

Per quanto riguarda la famiglia Andretti, si tratta di un gradito ritorno nelle competizioni della NASCAR. Il primo a disputare una gara in quella che la serie principale all’epoca era denominata Grand National Series, fu il nonno Mario Andretti. Dopo aver debuttato nel 1966 a Riverside, Mario disputò altre 14 gare dal 1966 al 1969, a bordo di Chevrolet, Dodge, Mercury e Ford. Nonostante le sporadiche presenze, in quelle 15 gare Mario fu in grado di vincere la corsa più importante di tutte nel 1967, la Daytona 500.
La carriera più longeva però la ebbe John Andretti, figlio primogenito di Aldo Andretti, fratello di Mario, cugino di Michael e Jeff e zio di Marco. Dopo aver disputato a fasi alterne 83 gare in 13 stagioni dal 1987 al 2011 con una vittoria e due podi tra CART Series ed Indycar Series, John disputò una lunga carriera in NASCAR. Gareggiò dal 1993 al 2010 nelle tre categorie principali, disputando 436 gare e conquistando 2 vittorie, 41 piazzamenti in top 10 e conquistando 4 pole.

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John Andretti in azione sulla STP Oil Pontiac numero 43 di Petty Enterprises nel 1999 a Daytona. In quella stagione porterà Petty Enterprises al sucesso a Martinsville, l’ultimo del team prima del cambio di denominazione in Richard Petty Motorsports nel 2009. (Photo source: nascar.com)


Gli anni migliori li spese nel biennio 1998-1999, dove nel ’98 ottenne il miglior piazzamento in classifica generale nella Winston Cup Series, chiudendo undicesimo. Nel ’99 conquistò l’ultimo successo per il team Petty Enterprises e la STP Oil Pontiac numero 43 a Martinsville, prima che il team cambiasse denominazione in Richard Petty Motorsports nel 2009 e poi in Petty GMS Motorsports a fine 2021. John purtroppo non avrà modo di vedere suo nipote debuttare in xFinity, dopo la prematura scomparsa nel Gennaio 2020 a soli 57 anni, a seguito di una lunga battaglia durata 3 anni contro un tumore maligno al colon. Da questa vicenda, nacque #CheckIt4Andretti, una fondazione dedita a fornire colonscopie a chi non è provvisto di assicurazione sanitaria negli Stati Uniti.

I casi eccezionali di Foyt, Richmond, Stewart e Robby Gordon

NASCAR
A.J. Foyt, oltre ad una carriera di successo nelle gare a ruote scoperte, fu anche vincitore della Daytona 500 nel 1972. Qui è ritratto a fianco della sua Oldsmobile Cutlass nel 1989, in NASCAR Winston Cup Series. (Photo source: LeRoy Hammond/Pinterest.com)

In tutto questo, sono numerosi gli esempi di piloti che dalle gare Indycar hanno avuto una carriera in NASCAR. A.J. Foyt, mentre diventava il pilota più vincente e titolato della storia dell’Indycar, con ben 67 vittorie e 7 titoli dal 1957 al 1993, gareggiava saltuariamente con successo anche in NASCAR. In 128 gare disputate dal 1963 al 1996 nelle tre serie, Super Tex conquistò ben 7 successi, tra cui la Daytona 500 nel 1972. Concluderà poi la sua carriera da pilota professionista nel 1996 con un 28° posto a Las Vegas in Craftsman Truck Series, a 61 anni! Nei primi anni 2000, anche i figli A.J. Foyt IV e Larry Foyt provarono a cimentarsi tra Indycar e NASCAR, ma senza il medesimo successo.

Indycar
Prima di intraprendere una carriera di successo in NASCAR, Tim Richmond si fece un nome in Indycar, partecipando due volte alla Indy 500 nel 1979 e 1980. Qui ritratto in pit lane a Indianapolis nel 1980, Tim “Hollywood” conquisterà ben presto l’affetto dei tifosi per il suo forte carisma e uno stile di vita flamboyant. (Photo source: Pinterest.com/Indianapolis motor Speedway)


Tim Richmond, dopo un iniziale debutto in CART tra il 1979 e 1980, disputò 195 gare tra il 1980 e il 1987 in NASCAR. Richmond conquistò 15 successi e l’affetto del pubblico per il suo stile di vita eccentrico e un forte carisma che gli valsero il soprannome di “Hollywood”. La sua scomparsa nel 1989 a soli 34 anni per complicanze legate all’AIDS, suscitò una notevole commozione nella comunità del Motorsport a stelle e strisce.

Indycar
Tony Stewart, prima di diventare una delle star della NASCAR, dal 1996 al 2001 ha gareggiato anche in IRL, dove è salito alla ribalta delle corse statunitensi, vincendo il titolo nel 1997. Qui in azione alla Indy 500 del 2001 con Chip Ganassi Racing. (Photo source: Indycar.com)

Negli anni ’90, Tony Stewart ebbe un percorso atipico. Dopo aver vinto due titoli USAC National Midget Series dal 1994 al 1995, la sua carriera vide il trampolino di lancio nel 1996. Lo split dalla CART portò alla creazione del campionato IRL o Indy Racing League. Il suo fondatore, Tony George, proprietario dell’Indianapolis Motor Speedway, volle un ritorno alle origini del campionato, gestito dallo United States Auto Club o USAC. Le gare dovevano disputarsi solo su ovali, ruotando attorno alla corsa più importante della stagione, la 500 miglia di Indianapolis. Ma l’obiettivo principale era quello di fornire un’opportunità ai piloti provenienti dall’ambiente delle Midget e delle Sprint Cars di fare il grande salto verso Indy, come fecero fino a fine anni ’60 piloti del calibro di Foyt o Andretti.

Indycar
Tony Stewart nel 1998, in forze al Team Menard in IRL, poco prima della partenza della True Value 500 al Texas Motor Speedway, a (Photo source: nascar.com)

Stewart divenne il volto nuovo dell’IRL. Dal 1996 al 1998 gareggiò a tempo pieno con il Team Menard per 24 gare, conquistando due successi e il titolo nel 1997. A fine 1998, dopo aver già registrato 39 presenze in Busch Series (l’attuale xFinity Series) part time dal 1995 al 1998, Stewart cambiò aria. Nel 1999 approdò con Joe Gibbs Racing in Winston Cup Series su una Pontiac. Da lì al 2016, il resto è storia. Smoke disputa in totale 718 gare, vincendone 62, con 354 arrivi in top 10, 21 pole e ben 3 titoli, conquistati nel 2002, 2005 e 2011. Nel mentre parteciperà ancora due volte alla Indy 500 nel 1999 e 2001, concludendo rispettivamente al 9° e 6° posto.

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Dopo una carriera da protagonista in CART e IRL, Robby Gordon si cimentò in NASCAR a tempo pieno a partire dal 2002. Qui è in azione nel 2010 in Michigan con la Speed Factory.tv Toyota Camry del team di sua proprietà. (Photo source: Zimbio.com/Geoff Burke/Getty Images North America)

Nel medesimo periodo, un’altra star statunitese si approciò a tempo pieno dalla CART alla NASCAR. Robby Gordon fu attivo dal 1992 al 2004 in CART e IRL, dove in 115 gare conquistò due vittorie, nove podi e quattro pole. Allo stesso tempo, partecipò saltuariamente a varie gare NASCAR a partire dal 1991 nelle tre categorie principali. Ma è soltanto dal 2002 che inizierà a correre come pilota titolare per Richard Childress Racing, prima di aprire il suo team Robby Gordon, con il quale correrà fino al 2012. In questo lasso di tempo, disputerà 454 gare, conquistandone quattro, con 57 arrivi in top 10 e una pole position. Una carriera complicata in NASCAR, resa memorabile da alcuni momenti in cui ebbe delle frizioni con vari colleghi.

Le promesse mancate. Da Juan-Pablo Montoya a Danica Patrick

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Christian Fittipaldi in azione sulla Cheerios Dodge Charger di Petty Enterprises nel 2003. La sua avventura in NASCAR, dopo i rispettabili risultati conseguiti tra la F1 e la CART Series, si rivelerà molto difficile. (Photo source: NASCAR Paints Schemes/Twitter.com)

Dopo di loro, a metà anni 2000 vi furono approdi accompagnate da grande entusiasmo, ma terminate con delusioni cocenti. Christian Fittipaldi, dopo tre stagioni in Formula 1 con Minardi e Footwork, passò in CART dal 1995 al 2002. Il nipote di Emerson disputò 135 gare, conquistando 2 vittorie, 20 podi e una pole. Ma se la sua carriera in CART fu più che rispettabile, l’approdo in NASCAR fu un insuccesso. In 19 gare disputate tra il 2001 e 2003, non andò mai oltre un 24° posto a Pocono nel 2003 per conto di Petty Enterprises.

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Dario Franchitti, in azione durante il suo debutto in NASCAR Nationwide Series nel 2007 a Memphis, sulla Target Dodge Charger di Chip Ganassi Racing (Photo source: Blairballphotography.wordpress.com)

Dario Franchitti ebbe una carriera di grande successo tra CART e Indycar Series dal 1997 al 2013. In 265 gare, conquistò ben 31 vittorie, con ben 92 podi, 34 pole, 3 successi alla Indy 500 (2007, 2010 e 2012) e ben 4 titoli nel 2007, 2009, 2010 e 2011. Ma se la sua carriera in Indycar fu un successo, quella in NASCAR fu carica di difficoltà enormi. Tra il 2007 e 2008 disputò 30 gare nelle tre categorie principali. Il miglior piazzamento fu un 5° posto al Watkins Glen in Nationwide Series (ora xFinity Series) nel 2008. In Sprint Cup Series invece, non fece meglio di un 22° posto a Martinsville nel 2008, mancando la qualificazione a Fort Worth e a Sonoma!

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Juan-Pablo Montoya, qui in azione al New Hampshire Motor Speedway nel 2013 sulla Target Chevrolet Camaro SS del Chip Ganassi Racing. (Photo source: nascar.com/Jared Wickerham/Getty Images)

Juan-Pablo Montoya è un altro caso eccellente di pilota che ha gareggiato in Indycar, per poi passare in NASCAR. Dopo aver vinto il titolo in CART nel 1999 da rookie e aver corso anche nel 2000, conquistando in 41 gare ben 11 vittorie, tra cui la Indy 500 nel 2000 valida per la IRL, approdò in F1. Dopo 6 stagioni tra Williams e McLaren in cui conquistò 7 vittorie, JPM ritornò in America a fine 2006. Ma invece di tornare in Indycar, approdò in NASCAR. Tuttavia, la carriera nelle Stock Car fu complicata, con appena 3 vittorie tra il 2006 e il 2014 in 278 gare disputate. Il colombiano decise così di ritornare in Indycar con Penske, disputando ulteriori 56 gare, vincendone altre 4 tra cui la Indy 500 nel 2015, sfiorando anche il titolo nel 2015, perso dopo un pari merito contro Scott Dixon.

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Danica Patrick, in azione per la Daytona 500 nel 2018, la sua ultima gara in carriera in Monster Energy NASCAR Cup Series. (Photo source: nascar.com/Sarah Crabill/Getty Images)

Ma l’approdo più chiacchierato di tutti dello scorso decennio, è certamente quello di Danica Patrick. Dopo una solida carriera in Indycar dal 2005 al 2011 in Indycar con un successo conquistato, approdò in pianta stabile in NASCAR nel 2012, nonostante avesse già gareggiato a partire dal 2010. Gareggiò fino al 2018 nell’ambiente, ma la sua carriera nelle stock cars fu deludente in relazione alle aspettative iniziali. In 252 gare disputate, sono solo 14 gli arrivi in top 10 conquistati con 2 pole position, di cui una alla Daytona 500 nel 2013. Dopo questa esperienza travagliata, concluse la sua carriera nel 2018 alla Indy 500.

Il Canada tra Indycar e NASCAR

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Paul Tracy accanto alla Sport Clips Haircuts Chevrolet di Frank Cicci Racing usata in Busch Grand National Series nel 2006 (Photo source: Erich Lippert/Pinterest.com)

Anche il Canada negli ultimi vent’anni ha visto nomi illustri che compirono questo cambio di categoria. Paul Tracy, in una lunga carriera dal 1991 al 2011 in cui ha disputato 280 gare, vincendone 31 e conquistando il titolo in CART Series nel 2003, ebbe una breve parentesi in Busch Grand National Series (ora xFinity Series) nel 2006 con Frank Cicci Racing e Biagi Brothers Racing, oltre a disputare una gara in Truck Series nel 2008 con Germain Racing.

Jacques Villeneuve in azione ad Elkhart Lake nel 2012 in gara nella NASCAR Nationwide Series sulla Discount Tire Dodge del Team Penske. (Photo source: nascar.com/Dilip Vishwanat/Getty Images)

Jacques Villeneuve, dopo aver vinto il titolo CART Series e la Indy 500 nel 1995, seguiti da una lunga carriera in F1 dal 1996 al 2006 nella quale ha conquistato 11 vittorie e il titolo nel 1997 con la Williams, dal 2007 ebbe varie presenze in NASCAR tra le tre categorie principali come pilota part time. Villeneuve ebbe come migliori piazzamenti tre terzi posti tra il 2010 e il 2012 a Road America e a Montréal in Nationwide Series (ora xFinity). Dal 2019 al 2021 è stato attivo anche in NASCAR Euro Whelen Series, il campionato europeo, tornando al successo con due vittorie consecutive lo scorso anno a Vallelunga. Quest’anno ha disputato la sua prima Daytona 500 con il Team Hezeberg, recuperando dal 40° al 22° posto finale.

Un esempio italiano

Max Papis in azione al Watkins Glen nel 2013 per conto di Stewart-Haas Racing in NASCAR Cup Series. L’italiano ebbe modo di sostituire l’infortunato Tony Stewart, che saltò il resto della stagione per la frattura di una gamba durante una gara di Sprint Cars ad Oskaloosa, Iowa (Photo source: nascar.com/Tom Pennington/Getty Images)

Per concludere questa serie di piloti Indycar passati a gareggiare in NASCAR, abbiamo infine anche un esempio nostrano con Max Papis! Dopo aver disputato 7 GP in Formula 1 con Footwork nel 1995, Papis gareggiò tra CART e Indycar Series dal 1996 al 2008. In 116 gare, conquistò 3 vittorie, 11 podi e 2 pole. Nel frattempo, ebbe modo di cimentarsi anche in NASCAR tra le tre principali categorie dal 2006 al 2013. Papis, in 95 gare conquistò dieci arrivi in top 10, con un 2° posto a Montréal nel 2010 in Nationwide Series. Nel 2021 avrebbe dovuto gareggiare ad Indianapolis in xFinity Series con Rick Ware Racing, ma dopo essere risultato positivo al COVID-19, ha dovuto dare forfait all’appuntamento.


In conclusione, questo evidenzia come la passione per lo sport negli Stati Uniti garantisca più facilmente ai piloti di prendere parte a gare di numerose categorie. Tuttavia, non è scontato saper essere competitivi dappertutto. Daly ed Andretti saranno in grado di saper eccellere con i mezzi a disposizione? Questo, come diceva un certo Lucio Battisti, lo scopriremo solo vivendo.

Simone Ghilardini

Milanese classe 1998, studente, musicista, pilota virtuale e articolista per Mult1Formula.

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