Formula 1 di Martina Spinello e Stefania Demasi
Grande show al GP di Miami
A seguito dell’ultimo Gran Premio di Formula 1, tenutosi nella città di Miami (Florida), sono sorte polemiche che hanno fatto storcere il naso ai fan europei.
Il circuito di Miami si sviluppa attorno all’Hard Rock Stadium, casa dei Miami Dolphins, e si protrae per 5.412 km. Due delle 19 curve del tracciato presentano però una particolarità: al loro interno è presente uno Yatch Club con tanto di fake marina, stile Montecarlo, e un Beach Club, con piscina, sabbia, sdraio e ombrelloni. Stiamo parlando di un contorno tanto insolito quanto stravagante, in pieno stile americano, sopra le righe anche per un Gran Premio negli States.
Al di là delle polemiche per la “struttura” particolare costruita su quello che fino all’anno scorso era il parcheggio dei Miami Dolphins, il problema sembra essere non tanto l’acqua disegnata sul porticciolo di curva 6, 7 e 8, quanto il prezzo dei biglietti messi in vendita. Se al Gran Premio precedente, quello di Imola, con poco meno di 300€ si poteva godere della pista romagnola dalla collina della Rivazza, al Miami GP la tribuna centrale si aggirava sui 5.600$, con un prezzo medio dei biglietti pari a 2.179$. Altro discorso meritano i pacchetti vip che consentono l’accesso al Paddock Club, con un prezzo che varia dai 25.000$ ai 120.000$. Molto più economico e conveniente un pacchetto vip completo a Montecarlo invece della tribuna centrale di Miami, oppure l’affitto di uno Yatch vero ormeggiato nel porto (con acqua vera) della città monegasca rispetto all’accesso al paddock americano.
Il folle aumento di prezzi ha visto coinvolti un pò tutti i circuiti, fra i quali anche Monza che nonostante sia al 100% della capienza quest’anno, continua a tenere i prezzi raddoppiati per far fronte al mancato pubblico del 2020 e a quello quasi inesistente del 2021. I prezzi europei non comunque minimamente paragonabili a quelli americani, come non lo sono nemmeno (e per fortuna) i circuiti. Se in passato, per volere di Bernie Ecclestone, la Formula 1 si è spostata verso circuiti più moderni come quelli costruiti nei paesi arabi, vedi Bahrain e Yas Marina ad Abu Dhabi, come anche il cittadino Singapore, la nuova proprietà americana di Liberty Media punta a rivoluzionare lo sport, ampliando lo spettacolo al pubblico americano.
Non si tratta più solo di corse automobilistiche, il Miami GP è stato presentato come un vero e proprio Super Bowl. Al di là dello stile americano, vedi la città di Las Vegas nella quale fra l’altro si correrà dal 2023, lo spettacolo visto la scorsa domenica ha visto protagonisti decine e decine di supervip che hanno poco o niente a che fare con il mondo della Formula 1, ma che contribuiscono a pubblicizzare l’evento. Un vero e proprio Coachella dove le corse fanno da contorno! Guardando infatti al programma di DJ set presentato a Miami, sembra di essere ad un vero festival piuttosto che ad un Gran Premio. Spiccano, infatti, nomi di artisti del calibro di Post Malone, Tiesto, Maluma, The Chainsmokers e molti altri.
C’è da fare una precisazione per quanto riguarda il business della Formula 1 a Miami perché non si tratta solo di un evento sportivo. Solitamente i Gran Premi vengono finanziati dal territorio, come nel caso di Imola che ha preso il nome di Gran Premio dell’Emilia-Romagna e del Made in Italy proprio per sottolineare la vicinanza al territorio. Come rivelato nella nostra intervista all’Assessore all’Autodromo Elena Penazzi, il Gran Premio “costa” circa 20 milioni di euro, finanziati in gran parte dallo stato, dalla regione e infine da un consorzio di comuni del territorio, di cui fanno parte Imola come maggior azionario e Faenza, sede della Scuderia AlphaTauri. L’introito derivato dal Gran Premio non si ferma all’incasso dei biglietti venduti, che vanno nelle casse dell’Autodromo, ma risulta essere redistribuito sul territorio attraverso servizi usati nella settimana di gara quali ristoranti, alberghi, parcheggi, trasporti pubblici, etc..
Per quanto riguarda il Miami GP, invece, la storia è diversa: non è finanziato da soldi pubblici bensì da privati, che devono quindi rientrare nell’investimento coprendo almeno i costi. Perciò non curandosi dell’introito territoriale, bensì facendo riferimento solo al proprio tornaconto personale, i ricavi (ovvero i prezzi dei biglietti) devono essere tali da coprire l’investimento, portando in positivo i guadagni derivati dal business. Se l’introito totale territoriale per un Gran Premio in Italia si aggira attorno ai 120 milioni, quello di Miami sembra aver portato sul territorio circa 400 milioni di dollari, numeri decisamente impossibili da triplicare ad un evento europeo, dove prevale la cultura della passione sul lucraggio del tifoso.
Gli effetti sui fan
Da ciò si evince una differenza sostanziale tra come è visto questo sport in Europa e come è visto negli altri Paesi, nuovi all’ospitare questi eventi.
In Europa c’è un grande attaccamento allo sport e i Gran Premi sono storici, come sappiamo. Ma nei nuovi Paesi non c’è nulla di storico e non c’è, da parte di alcuni, nemmeno un vero e proprio attaccamento allo sport. Negli Stati Uniti ad esempio, gran parte dei fan sono definiti “nuovi fan”, arrivati grazie al boom di popolarità che ha ottenuto Drive To Survive da quelle parti. Così ci si trova con qualche tifoso fidato e con tanti tifosi novelli, che forse non hanno la piena concezione di quella che è effettivamente la storia dietro a questo sport e dietro a tanti dei circuiti dove si gareggia durante la stagione. Loro, probabilmente, si entusiasmano quando trovano l’evento in stile festival, piuttosto che per il normalissimo weekend di gara – contornato da qualche piccolo evento – a cui siamo abituati in Europa.
Basti pensare che ad Imola quest’anno i tifosi sono stati in mezzo al fango pur di guardare il weekend di gara che tanto avevano aspettato… Lo farebbero ovunque?
Ci si chiede, così, questo a cosa potrebbe portare – specialmente con le voci ricorrenti sulla volontà di togliere Gran Premi come quelli di Monaco e Spa. Si rischierebbe di togliere allo sport quella che è la sua essenza: la passione dei tifosi. Perché, in fondo, l’anima dello sport sono proprio i tifosi. Si toglierebbero pezzi di storia troppo importanti. Commercializzando eccessivamente i weekend di gara, rendendoli più festival che gare di auto, si rischia di condannare lo sport ad un triste destino: essere solo una macchina da soldi. Si rischierebbe di perdere fan, che estenuati ormai dal fatto che il denaro è re, inizieranno a distaccarsi, non vedendo più nella Formula 1 i valori a cui si era abituati.
La paura per il futuro della passione
Pensando, ad esempio, ai tifosi più datati – abituati a certi valori sportivi, ad oggi potrebbero non riconoscersi più in ciò che è diventato il mondo della Formula 1.
A gran parte delle persone che seguono questo sport da tempo, non vanno totalmente a genio i tracciati aggiunti negli ultimi anni. Grosse polemiche nascono anche dal fatto che si corra nei Paesi Arabi dove la situazione umanitaria non è delle migliori. Perché lo fanno, allora? Perché quei Paesi pagano, e pagano molto.
Se quindi, da una parte, queste novità giovano allo sport in termini economici, dall’altra rischiano di allontanare i fan che dello spettacolo attorno alla gara non sono così tanto interessati. Ciò che conta, per loro, è lo spettacolo che offre lo sport in sé.