di Giulia De Ieso, Giulianna Faliero, Francesco Maneo
Un cappello che gli copre la testa e la postura china. Quando incrociamo Emerson Fittipaldi per chiedergli una breve intervista, lui annuisce: “Va bene, ma facciamo veloce, purtroppo ho poco tempo“. Il brasiliano ci accoglie nel suo motorhome. Caschi, tute, magliette: sulle mensole c’è tutto il necessario per il weekend di un pilota; a illuminare il box ci sono solo delle luci a led. L’emozione è tanta, mentre una delle leggende del motorsport, un mondiale, 22 vittorie e 65 podi, sorride e ci osserva in silenzio, con curiosità.
E le domande vengono da sole.
Com’è vedere i ragazzi più piccoli approcciarsi al mondo del motorsport?
“È bellissimo vedere tutti questi ragazzi che hanno il sogno di arrivare in Formula 1“, riflette Emerson, puntando la porta socchiusa del motorhome. “In Italia, che è un centro molto importante per i giovani, dal karting alla Formula 1, arrivano ragazzi con molto talento da diverse parti del mondo. Ci sono tante categorie, tanti bei circuiti e belle squadre: si crea così una “scala” su cui si monta ogni step, per arrivare in Formula 1“.
“Questa categoria (la FRECA, ndr) è molto difficile da guidare, perché le vetture non sono equilibrate, cosicché i piloti possano imparare di più. Oggi con tutta la parte elettronica, i ragazzi da quando hanno 6/7 anni nei kart iniziano ad approcciarsi la telemetria“. Il brasiliano continua a pensare, e scuote la testa ogni volta che ripete le parole “analisi, dati, informazioni”. “Bisogna avere una precisa percezione dei numeri e apprendere tutte queste informazioni, che diventano sempre di più dopo le prove e le corse. (I piloti) adesso sono sempre insieme con gli ingegneri dopo i risultati di una gara, con tutti i numeri da analizzare“.
“È incredibile, è così diverso dalla mia realtà“. E quando Emerson parla degli anni in cui era protagonista della Formula 1, tra coppe e poche precauzioni, qualcosa si riaccende dentro di lui, mentre la mente va indietro nei suoi ricordi. “Nella mia epoca il numero era il fine del pilota, l’unico dato che si poteva riferire alla squadra, al meccanico, all’ingegnere. Ora tutto è scritto da dei computer e ogni giro, ogni centimetro è un’informazione nuova, la sfida dei giovani piloti di oggi è tutta analitica. Sicuramente avere intuizione nel guidare è importante, ma la parte dell’apprendimento è molto impegnativa“.
“Il motorsport è bellissimo, ma è molto difficile e complesso, con molte circostanze diverse, perché ora i ragazzi hanno tanta alternativa di regolaggio, nella pressione delle gomme ad esempio. Ci sono tante opzioni anche per capire lo sviluppo della vettura che è molto importante, non basta solo guidare“.
Poi si volta e guarda il casco di Emerson “Emmo” Fittipaldi Jr., appoggiato su una mensola del motorhome: “Anche mio figlio ha scelto di seguire questo sport. Gli ho chiesto “Perché non fai calcio? Perché non giochi a tennis, che c’è una racchetta e basta?”.
È cambiato tantissimo anche il modo di vivere il paddock (serie tv, social, ecc…). Qualcuno pensa che la F1 stia perdendo il suo DNA, aggiungendo, ad esempio, le sprint. Lei cosa ne pensa?
“Nella Formula 1 ogni anno c’è lo sviluppo tecnico, con il tentativo di trovare la soluzione migliore per la propria squadra. Con la tecnologia lo sviluppo si è molto accelerato. La nuova proprietaria della Formula 1, Liberty Media, vuole fare uno show dello sport… e questo è bellissimo”.
Gli occhi di Emerson brillano, nella voce si percepisce tutto l’amore che ha per questo sport, mentre esprime un’opinione che va controcorrente: “Hanno fatto un buon programma (Drive to survive, ndr) su Netflix: le ragazze americane stanno guardando la serie, così da un pubblico “di nicchia”, appassionato alle corse, si sta arrivando ad un altro tipo di pubblico, in America”.
“Il pubblico femminile è cresciuto molto in percentuale perché adesso è possibile vedere il dramma, quello che di solito non si vede, la parte umana di uno sport molto difficile. Liberty Media fa un bellissimo lavoro e quest’anno le vetture sono più vicine, c’è un regolamento nuovo per il 2026. La Formula 1 sarà sempre la Formula 1”.
Ti sarebbe piaciuto, quando correvi negli anni ‘70, avere tutta l’attenzione che hanno i piloti adesso?
“Sicuramente mi sarebbe piaciuto vedere tutte le informazioni in più che ci sono ora. Avvicinano molto di più i piloti alla squadra e facilita il lavoro”.
Emerson poi annuisce, sorride e ci guarda dritto negli occhi, indicandoci con l’indice: “Ma, ad esempio, immagina tutte le informazioni che ci sono adesso in un volante e tutto quello che un pilota deve aggiustare in un solo giro: è un lavoro molto difficile, una sfida molto diversa, ma la Formula 1 rimane e rimarrà sempre bella!”