Forse ce lo aspettavamo. O forse no. Se a Marzo, in Bahrein, ci avessero detto come sarebbe andata a finire, c’avremmo creduto a metà. E penso che nemmeno tu, caro Lewis Hamilton, c’avresti creduto più di tanto, dopo averci abituati all’immagine più vincente di te.
E qualunque cosa accada l’importante è sempre, che quando un desiderio cade allora tu esprimi nuove stelle
– Federica Abbate
Il venerdì ti osservavo mentre la tua Mercedes nera sfrecciava sotto il tiepido tramonto di Abu Dhabi. Mi chiedevo quanta pressione avessi addosso in quel momento. Com’è dipendere costantemente dai record passati, dai numeri e dai tempi degli altri? Com’è il mondo visto da un abitacolo, quando l’adrenalina e le pressioni esterne si mischiano all’istinto di sopravvivenza? Oppure mi domandavo quanto fossi effettivamente tranquillo. Alla fine in bacheca hai sette titoli, sette conferme. Più di cento vittorie e più di cento pole position. Però in questo maledetto sport devi sempre dimostrare qualcosa, di valere: ci vuole l’ottavo titolo per renderti il migliore.
“I always thought records are there to be broken” aveva detto quello che allora sembrava essere l’inimatibile Michael Schumacher. E tu hai proprio preso questa frase alla lettera. Negli ultimi anni hai letteralmente scavalcato ogni record del Kaiser, alzando sempre più l’asticella per quelli che verranno. Eppure continuano ad esserci paragoni tra voi due e ti chiedi perché, perché ancora si dice che “non ci sarà mai nessuno come Schumi” (parole del tuo Team Principal). Cosa ne pensi? Quanto ti pesa questo paragone che sembra impossibile da spezzare?
Quest’anno, all’età di 36 anni, hai provato ad inseguire l’ottavo titolo, a firmarti come “Lewis Hamilton, il migliore della storia della Formula Uno“. E se ci fossi riuscito, che storia sarebbe stata! Una carriera, la tua, che si può definire pressoché immacolata. C’è solo un neo. Anno 2016, impossibile da dimenticare: Nico Rosberg diventa campione del mondo, battendo il compagno di squadra Lewis Hamilton. Una macchia difficile da sbiadire, nonostante la conquista di 4 titoli consecutivi nei 4 anni successivi. La soddisfazione di vedere quel numero 7 accanto al tuo nome in Turchia, aveva aiutato a buttar giù definitivamente quella pillola amara.
Ora che ci ripenso no, a Marzo non ci avresti creduto neppure tu che sarebbe finita così. Sembrava tutto in discesa, se non si fosse presentato un giovane ventiquattrenne olandese, insieme a un valido pacchetto macchina, a farti lo sgambetto…
Non mento, è stato strano vederti crollare. In questo puoi dire di essere sempre stato sincero: hai sempre dichiarato che era difficile, che stavi faticando, che se fossi riuscito nella tua impresa sarebbe stato il titolo più sudato. Hai perso, hai perso più di un GP: più di una volta ti sei fermato a vedere quel giovane salutare le sue tribune arancioni, hai sentito più fischi e critiche che complimenti, non hai acceso la radio dopo aver tagliato il traguardo. Solo silenzio, un agghiacciante silenzio, insolito per chi come te sta in silenzio solo quando sta per compiere una magia delle sue.
Domenica, quando sei arrivato ad Abu Dhabi a pari punti con il tuo avversario, sì, sapevi di aver fatto un miracolo e sì, ci credevi anche tu. Già assaporavi il titolo quando al 50esimo giro eri ancora leader indiscusso del Gran Premio. Poi l’incidente di Latifi contro le barriere, la Safety Car, l’ultimo giro, il titolo sfumato a poche curve dalla fine. Ed anche qua silenzio, un assoluto ed agghiacciante silenzio. Ma forse questa volta, inconsapevolmente, hai fatto la magia più bella di tutte.
Quando il cuore si spezza nessuno lo sente;
E a volte vorrei vivere in un’altra pelle, molto più dura e resistente
– Federica Abbate
Ecco, in una narrazione come questa, potrebbe sembrare che domenica tu abbia lasciato il ring da “perdente“: ma non è così. No Lewis, non è affatto così: anche se i giornali riportano titoli come: “Hamilton umiliato”, “sconfitto”, “battuto”, “finito”. Anche se sui social avrai letto di tutto in queste ultime 48 ore e le parole di conforto dei tuoi colleghi trovano lo spazio che trovano.
Durante questa stagione, ma specialmente domenica, mi hai insegnato come qualche volta, specialmente da campionissimo, per vincere davvero, bisogna saper perdere. Dopo il taglio del traguardo, quando Toto malediceva la FIA per quanto accaduto, anticipando i ricorsi poi rifiutati qualche ora dopo, hai preferito stare in silenzio. Mentre sotto il podio c’era Verstappen, festante e festeggiato, ed il mondo esplodeva per il nuovo campione della Formula Uno, tu eri ancora seduto dentro al tuo abitacolo con la visiera abbassata, come se quello strettissimo sedile potesse ripararti dall’amarezza e dalla delusione.
Un sospiro e sei uscito dal tuo rifugio. Com’è avere tutto il peso del mondo addosso? Com’è ammettere a se stessi di non aver colto quell’obiettivo, di non essere ancora il migliore? Prima sei andato da Angela. Hai tolto il casco e hai raccolto le tue treccine. Hai visto Max e, mettendo da parte qualsiasi tipo di astio, ti sei avvicinato, lo hai abbracciato, gli hai stretto la mano e ti sei congratulato. Una delle immagini più belle di questo mondiale, dopo tanta polemica e rivalità. Poi il crollo, inevitabile, tra le braccia di papà Anthony, il primo a credere in te, ad indebitarsi, a commuoversi davanti ai tuoi successi. Sai, vi assomigliate proprio, e non solo fisicamente: anche lui è andato a congratularsi con Max e con suo padre Jos. Conosce bene l’emozione di un padre fiero del proprio figlio.
Una breve intervista di routine e poi il podio con le lacrime agli occhi. Dopo di nuovo il silenzio. E davanti al tuo capo che ancora inveiva contro la Federazione hai detto: “Basta. Finiamola qui”, per poi chiuderti in hotel. Sinceramente, non so quando ti passerà. Da due giorni non ti fai più sentire; tuo fratello Nicolas ha detto che stai bene, sei solo deluso, non hai voglia di parlarne.
Ma vorrei dirti, caro Lewis Hamilton, che per me, ad Abu Dhabi, hai vinto anche tu. Quella stretta di mano all’avversario prima di crollare tra le braccia di chi ci è caro: quello è essere vincente, quello è essere campione. E non è da tutti. Di campioni e piloti la Formula Uno ne ha avuti molti, ma pochi hanno colto a pieno lo spirito di questo sport: e tu sei uno di questi. Perché sai che dietro ad una vittoria c’è una storia, la storia di un uomo. E come tale, va rispettata e onorata.
Non sono i titoli in bacheca a descrivere quello che, forse, è il cuore dello sport: l’umanità. La caratteristica numero uno di un campione, di un leader. Tu, di umanità, ne hai tanta. Ed è per questo che, anche senza quel titolo numero 8, per me, domenica, (e lo dico da ferrarista, il che non è poco), sei stato il migliore.
Qualche giorno fa hai pubblicato questo post:
Caro Lewis, this kid is still proud of you: da quell’abitacolo ne sei uscito come “sconfitto”, non come “perdente”. E ricordati, non è finita qui: la sfida è solo rimandata all’anno prossimo, il 2022.