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Formula 1 e media: quando lo spettacolo supera lo sport

 A Melbourne abbiamo assistito ad una pagina di sport davvero discutibile, specialmente in uno sport come la Formula 1. 

Bandiere rosse evitabili e ripartenze che hanno creato solo ulteriore caos in pista. 

Scelte dettate dalla voglia di fare spettacolo, non di certo dal seguire correttamente i regolamenti della Federazione. 

Una direzione gara che lascia trattori in pista con le macchine dietro la Safety Car ma fa uscire la rossa per della ghiaia, che si può pulire anche solo esponendo una gialla, ha dimostrato cosa vuole offrire: spettacolo puro. 

Quello spettacolo creato da Netflix e che sta influenzando troppo in negativo il modo di vedere lo sport e i suoi valori. 

Il risultato? Solo dodici piloti hanno portato a termine la loro gara e i rischi corsi sono stati tanti, tra incidenti vari, fortunatamente non gravi. 

Il caos più totale: un giro cancellato, ma incidenti del giro investigati e penalizzati. 

Le bandiere rosse messe fuori quasi per dire “facciamolo,  facciamoli partire più volte. Diamo ai fan un motivo per rimanere davanti alla televisione, diamogli qualcosa di cui parlare”.

Perché è questo di cui hanno bisogno i vertici alti: persone che stiano incollate davanti allo schermo, che portino seguito, che si sentano sempre più vogliosi di acquistare un biglietto e godere di tutto questo dal vivo. 

Ormai è questo lo sport, e vale per qualsiasi sport. 

In un mondo sempre più influenzato dai social media e dalle persone che li popolano, nessuna categoria può ritenersi immune a questo effetto.

Che sia considerato un bene o un male, le persone sono facili da persuadere e spesso e volentieri si cimentano in nuovi hobby e passioni solo perché la loro influencer preferita le consiglia tramite i suoi canali social.

Dalla moda al mondo dei cosmetici, qualsiasi categoria industriale della nostra società è aiutata a vendere anche grazie a queste figure. 

Anche il mondo dello sport ha rinnovato il suo successo mediante l’utilizzo dei canali social. 

Un caso eclatante è proprio quello della Formula 1, apparentemente salvata dall’oblio dall’avvento di Liberty Media nel 2017. 

Liberty Media ha davvero salvato lo sport?

Apparentemente, perché se da una parte c’è chi sostiene lo sport sia stato salvato grazie ai nuovi media, dall’altra c’è chi teme che il bisogno crescente di spettacolo rischi di snaturare lo sport portando alla perdita dei valori che lo contraddistinguevano. 

Ma andiamo per punti. 

Come detto in apertura, nel 2016 Liberty Media trova l’accordo e acquista la Formula 1 da Bernie Ecclestone. 

Questa operazione viene considerata da molti la salvezza dello sport, che negli ultimi anni della gestione Ecclestone ha rischiato di finire nel dimenticatoio. 

La perdita di spettatori riportata, infatti, segnava un 40% in meno rispetto al 2008 – un dato spaventoso, che faceva passare la Formula 1 per uno sport ormai destinato a scomparire. 

Così i nuovi acquirenti rivoluzionano totalmente il modo di promuovere sia la Formula1 che le categorie minori. 

Canali social come Instagram, Twitter e YouTube permettono agli appassionati di ricevere notizie in tempo reale di quanto stia accadendo in pista quando non gli è possibile seguire la gara e di rivedere in ogni momento azioni salienti e contenuti anche riguardanti gare del passato. 

Esempio di come il profilo ufficiale della Formula1 porti contenuti per ricordare il passato

Un modo per far riavvicinare chi voleva allontanarsi e anche per portare ai più giovani la possibilità di vedere con i propri occhi cosa succedeva in pista anche in anni passati, in cui loro – magari – non erano nemmeno nati. 

Suona positivo, visto in questi termini. 

Ma il problema dell’era moderna è che più si crea, più lo spettatore ha bisogno di contenuti. 

I video degli highlights non bastano più. 

Serve qualcosa di avvincente, che tenga appassionati e non attaccati allo schermo a scoprire tutto ciò che c’è dietro a questo sport tanto affascinante. 

E alla fine arriva Netflix: la Formula 1 diventa una serie TV

A marzo 2019 esce Drive To Survive, serie TV creata da Netflix e pensata per portare il pubblico nel backstage dello sport. 

Interviste a piloti, team principal e personalità di spicco. Riprese esclusive di momenti che in televisione non vengono mostrati, come gli attimi prima o dopo una gara. 

Momenti di tensione. 

Puro spettacolo.

Lo sport viene romanzato all’estremo. 

Il prodotto, però, funziona e riesce nel suo scopo principale: avvicinare sempre più fan alla Formula 1 e avvicinarli da più parti del mondo possibili. 

A livello economico e di notorietà, quindi, Drive To Survive porta alla Formula 1 tutto ciò di cui aveva bisogno. 

Ma possiamo dire che abbia fatto bene a questo sport? 

Più fan non significa necessariamente più passione e coinvoglimento. 

Trasformare uno sport in un prodotto televisivo porta alla perdita di parecchie cose: le emozioni che si provano nel vedere le gare in diretta, il vivere gli eventi con gli occhi di un appassionato e non con la superficialità che inevitabilmente porta il guardare il tutto in formato serie TV.

C’è chi non è appassionato di Formula 1, ma è appassionato di Drive To Survive: non segue le gare, non si interessa a ciò che accade nel corso della stagione sportiva e non sente nemmeno il bisogno di farlo. Poi, quando Netflix pubblica finalmente le 10 puntate della nuova stagione, rimane attaccato allo schermo per scoprire cosa sia successo. 

Chissà cosa si sono inventati gli sceneggiatori per le nuove puntate. 

Ma no, nessun sceneggiatore. Solo venti uomini che ogni domenica – o quasi – rischiano la loro vita in pista per inseguire un sogno che li fa sentire più vivi che mai. 

La promozione mediatica della Formula 1 ha in parte aiutato…

Dall’altra parte c’è chi non conosceva questo sport e grazie alla promozione social e alla serie si è avvicinato sempre di più, interessandosi anche al passato della Formula 1. Si inizia così a guardare le gare attuali e a fare ricerche su quelle di una volta. Una nuova passione, che può nascere anche quando una persona è avanti con l’età.

Non necessariamente si deve essere fan da quando si è nati. 

Si può essere anche nuovi fan, ma portando sempre rispetto per lo sport, per la sua storia passata e per chi sta scrivendo quella presente e scriverà quella futura. 

Poi c’è chi vede lo sport esclusivamente come quello dipinto nella serie. Solo dramma, azione e spettacolo continuo. 

Certo, lo sport è spettacolo. Ma bisogna essere onesti: esistono anche gare che, per quanto si possa essere appassionati, non riescono a tenere i fan attaccati allo schermo della televisione. 

Ci sono poi quelle gare che fanno rimanere con il fiato sospeso dal primo all’ultimo giro. 

Ma no, non succede sempre. 

Ed è normale. 

Questa necessità di vedere sempre azioni pericolose, che facciano venire i brividi su tutto il corpo, rischia di portare a uno spettacolo non sano. I piloti sono esseri umani che sì, stanno vivendo il loro sogno, ma che hanno una famiglia che li aspetta a casa e che vogliono rivederli sani e salvi. 

Sono giovani, la cui vita è importante tanto quanto la nostra e non è negoziabile con la voglia di divertirsi del pubblico, anche quando il divertimento non può esserci per questioni legate, magari, al tracciato e deve essere necessariamente forzato. 

Quindi non serve ricercare costantemente lo spettacolo.

…ma lo spettacolo rischia di snaturare la Formula 1

Ma a giudicare dalle 23 gare previste per la stagione 2023 (avrebbero dovuto essere 24 ma la Cina è stata cancellata ) sembra che non tutti siano di questa idea. Ritmi estenuanti, spostamenti tutt’altro che sani per l’ambiente e tutt’altro che facili per chi nel mondo della Formula1 ci deve lavorare – e no, non si parla soltanto dei piloti. 

Tutto questo per aggiungere qualche tappa al calendario. 

Tutto questo per inserire tappe che non aggiungano alcun valore allo sport dal punto di vista della gara, ma che aggiungono spettacolo. 

Parecchio spettacolo

Basti pensare a Las Vegas, a tutto il lusso che la circonda e a quanto impattante sarà vedere le monoposto sfrecciare per le strade cittadine in notturna. 

Ricordiamo anche Miami, pista rientrata in calendario nella stagione 2022. 

La gara sembrava quasi lo sfondo di un evento ben più grande: dj set, porti finti per ricreare una piccola Monaco degli States e infinite comparse di star che anziché fare da contorno allo spettacolo della Formula 1 lo sovrastano, recludendo la gara a un semplice evento della giornata. 

Un evento a cui forse qualcuno non presta nemmeno troppa attenzione. Però è bello poter dire di essere lì, godersi l’esperienza. 

I valori che legavano le generazioni passate a questo sport rischiano di andare persi. 

Ed è qua che sta la chiave di tutti i cambiamenti portati – volontariamente o no – dai nuovi media, dal bisogno di spettacolarizzare tutto a questo sport.

L’ha fatto notare anche l’attuale campione del mondo, Max Verstappen, che ha ammesso che non gli piace la piega che sta prendendo lo sport – riferendosi all’ipotesi di un nuovo format da introdurre nei weekend con qualifica Sprint. “Spero non ci siano troppi cambiamenti, altrimenti non resterò qui a lungo”. 

A rimetterci è la passione e l’amore per lo sport

Non è più la pura passione a comandare. 

È lo spettacolo, il poter dire di esserci, l’incontrare quel personaggio visto nella serie TV che non si è neanche ben capito che ruolo abbia, ma su Netflix fa ridere tutti ed è diventato così famoso che non si può non conoscerlo (sì, Guenther, parlo proprio di te). 

È la possibilità di creare contenuti da condividere sui propri canali social e diventare, chissà, virali e puntare a costruire poi una carriera proprio su questo. I content creator in questo mondo sono sempre di più e c’è chi dal creare video su YouTube nella propria cameretta si trova a creare contenuti per scuderie o per testate di spessore. 

Si inizia per puro caso e ci si trova con un lavoro che in tanti sognano e che in pochi riescono a raggiungere. 

È tutto racchiuso nella storia su Instagram, nell’analisi su YouTube o nell’edit su TikTok. 

Ci si attacca alla TV per fare il video al sorpasso più bello, prestando poca attenzione a tutto ciò che effettivamente succede. 

C’è superficialità nel seguire lo sport: c’è la necessità di avere sempre il telefono in mano per scrivere il tweet non appena il nostro preferito viene buttato fuori pista o chi meno ci aspettavamo vince la gara. 

Non si guarda più lo sport con gli occhi dell’amore. 

Lo si guarda con l’intento di ricavarne i contenuti migliori per accontentare i propri followers e per fare in modo che altre persone si avvicinino al nostro mondo. 

E la domanda continua ad essere sempre la stessa. 

Tutto questo, quanto bene fa allo sport? E quanto male? 

Perché ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

E per quanto spesso tutta questa esposizione mediale possa sembrarci un qualcosa di estremamente positivo, dall’altra parte ciò che sembra oro potrebbe condannare uno sport che da questi media in question avrebbe dovuto essere salvato. 

Stefania Demasi

Studentessa di Relazioni Pubbliche e grande amante dello sport. Il mio sogno da sempre è proprio quello di lavorare in questo mondo.

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