È di poche settimane fa la notizia che Mick Schumacher sarà uno dei piloti di riserva della Scuderia Ferrari nella prossima stagione. Il giovane 22enne tedesco si occuperà così dei primi 11 Gran Premi dell’anno e sarà pronto a sostituire Leclerc o Sainz nel caso ci fosse qualche imprevisto.
Pilota della Ferrari Driver Accademy dal 2019, non è la prima volta che vediamo Mick in rosso. Ma, dopo questo contratto e le continue dichiarazioni di Binotto sul futuro del ragazzo, sembra che la strada tracciata per Schumacher sia quella di diventare un giorno (è ancora presto per dirlo, inoltre l’Haas di quest’anno non ha permesso al tedesco di mostrare le sue vere capacità in Formula Uno) pilota ufficiale della Scuderia Ferrari, come suo padre.
Già, come suo padre. Chissà quante volte Mick ha già sentito questo paragone.
I still look for your face in the crowd
Oh, if you could see me now
– The Script
Reggere il peso delle aspettative non è mai semplice per nessuno. Specialmente in Formula Uno, se ci si ritrova a competere con i migliori 20 piloti al mondo. Immagina affrontare la carriera nella massima categoria dall’automobilismo da figlio d’arte e con un cognome, Schumacher, legato più che mai alla storia del motorsport. La pressione aumenta.
Nel corso di questa stagione abbiamo visto quante volte giornalisti ed ex piloti hanno ricordato Michael guardando il rookie tedesco. Certo, non sempre in buona fede: in tantissimi hanno criticato Schumacher per la sua stagione passata nelle ultime file e con solo due apparizioni in Q2. A prendere le difese del 22enne tedesco era stato Nico Rosberg: “Ci sono tanti vantaggi nell’avere un cognome importante, ma c’è tantissima pressione. Lo scorso anno in alcune conferenze stampa c’erano più giornalisti per lui che per Hamilton“. Da parte sua, il figlio d’arte replica: “A me i paragoni non piacciono ma quello con mio padre lo ricerco volentieri. Mi dicono che siamo simili.”
Ma c’è un pensiero che sorge quasi spontaneo, un tema che più volte nella stagione è stato toccato, spesso con poca delicatezza ed empatia nei confronti di Mick. Com’è davvero fare i conti con la figura di un padre che, ormai da 8 anni, c’è, ma in maniera diversa?
Una domanda, questa, a cui il giovane tedesco ha già risposto con un sospiro che traspariva tutta la sua sofferenza.
Con gli occhi azzurri lucidi e la voce tremante: così Mick Schumacher appare nel documentario dedicato al padre. “Ovviamente, dopo l’incidente, tutti quei momenti che gli altri bambini possono trascorrere con i genitori per me non sono più esistiti. Trovo che sia un po’ ingiusto. Direi che io e papà ci capiamo ancora ma in modo diverso. Abbiamo questo linguaggio in comune, i motori. E abbiamo sempre molto da dirci. Ci penso quasi sempre. Mi dico che sarebbe così bello, darei qualsiasi cosa per poterci parlare.“
Si dice sempre ci siano immagini che valgono più di mille parole. E che il dolore non richieda alcun tipo di commento. Ma solo supporto e qualche abbraccio. Ed è per questo che davanti alla storia e alla forza di Mick, spesso, ci sarebbe solo bisogno di più silenzio e rispetto.
E ad Abu Dhabi, davanti ai giornalisti che gli chiedevano chi secondo lui avrebbe vinto il campionato, Mick ha risposto così: “Chi vincerà, si vedrà. E se è Lewis, così sia. Ma per me, mio padre sarà sempre il migliore!“
Si spengono le luci, cala il siparo, le cose accessorie le porta via la vita. Nell’adrenalina prima della partenza, nel calore dell’asfalto e nel rombo di un motore, scorrono le immagini di un bambino ed un papà che giocano sulla pista, prima di mettersi le tute e iniziare un divertente allenamento sui kart. “Giorni come questi sono stati importanti per crescere la mia passione per il motorsport” ricorda oggi Mick.