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…E il sogno realtà diverrà…

 

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Ho fatto un sogno. Era insolito, inaspettato, forse anche utopico. Un sogno dipinto di rosso, di speranza, di ricordi. Ricordi di tempi migliori, di vittorie e di supremazie, ricordi che hanno le loro radici nei lontani anni ‘90 e che oggi sembrano poter ritornare realtà.

Il sogno ha così inizio…

Era il 1994 e come accade nei sogni più travolgenti, tutto era avvolto da una nube fiabesca che, in un primo momento, non mi ha permesso di comprendere dove mi trovassi. La nebbia pian piano si è diradata ed è apparso dinanzi a me un immenso salone, con un tavolino su cui era posato un vassoio con delle tazzine di caffè, circondato da un divanetto e due poltroncine, molto sofisticate. Era sera, probabilmente l’ora di cena. Un uomo raffinato, sulla settantina, si era accomodato su una delle poltrone ed aveva rivolto la parola ad un altro uomo, più giovane, posto dinanzi ad una delle grandi vetrate. Quest’ultimo era molto teso e declinò la richiesta di sedersi con un leggero movimento della mano, senza perdere la sua compostezza. Ad un ennesimo richiamo, questi si voltò a guardarlo. Ed allora lo riconobbi. Era Luca Cordero di Montezemolo e sulla sua espressione era evidente l’inquietudine e, oserei dire, anche l’imbarazzo per ciò che era sul punto di chiedere. L’altro uomo iniziò a sorseggiare il suo caffè e, in seguito a quel movimento, anche la sua figura mi apparve più limpida. Era l’Avvocato Gianni Agnelli. Abbozzò un leggero sorriso e gli fece un cenno con il capo, per farlo parlare. Dopo un attimo di titubanza, egli si avvicinò e gli sussurrò queste parole: «Ci sarebbe il tedesco, Todt gli ha parlato, gli ha spiegato il senso e le difficoltà del progetto. Lui ci sta, ma ha chiesto un ingaggio che io, senza un’autorizzazione dall’alto, non sono in grado di concedergli». Ed a quanto ho compreso, si parlava di un compenso straordinario, mai visto prima nella storia della Formula 1. Il tedesco chiedeva all’incirca 50 miliardi di lire a stagione. Gianni Agnelli sistemò la tazzina sul vassoio e lo guardò con un’espressione seria sul volto. «Credo che tutti gli altri piloti di Formula 1, messi assieme, non guadagnino la stessa somma. Ma chi è, poi, questo Michael Schumacher? Siamo sicuri che valga tutti i soldi che ci chiede per venire a guidare la Ferrari?». Luca Cordero di Montezemolo si sistemò sulla poltrona posta dinanzi a lui.

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Le due figure, ormai avvolte dalla nube, si dissolsero fino a scomparire. Le voci erano distanti e non sono riuscita ad udire la risposta, che, oggi è leggenda. A Gianni Agnelli, però, il denaro non interessava. Era “semplicemente”un signore, grande appassionato di Formula 1, amante del Cavallino e deciso a riportarlo lì dove era sempre stato, al vertice del campionato.

E mentre il sogno sembrava svanire, subito riprese e mi ritrovai nel 1996, nel box della Ferrari. Mi voltai e vidi dinanzi a me il “triangolo magico”. Al centro vi era Ross Brawn, direttore tecnico, alla sua destra, Jean Todt, direttore della Scuderia, ed il cuore rosso di ogni ferrarista, Michael Schumacher, alla sua sinistra. Il francese aveva individuato i punti deboli della monoposto e chiedeva loro, insieme anche a Rory Byrne, aiuto per migliorarli. Dall’espressione seria del volto di Ross Brawn e dal tono della voce pacato, ma piuttosto rigido, di Michael Schumacher compresi che non fosse un’operazione semplice, ma erano sulla buona strada. Dal modo in cui lavoravano e ragionavano sulle componenti delle vetture, ben presto compresi che la filosofia della Ferrari dell’epoca, che l’aveva portata ad essere vincente, era questa: “Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo” (cit. Henry Ford).

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All’improvviso tutto intorno a me iniziò a roteare e, come una sequenza cinematografica, apparvero dinanzi ai miei occhi gli episodi più significativi di quell’era. Una scena mi rimase impressa: l’intero team che festeggia la vittoria del mondiale, dopo ventun anni, con delle buffe parrucche rosse. 

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Un altro giro su me stessa e mi ritrovai nel 2006, nella sala della conferenza stampa, dopo il Gran Premio di Monza. Cercai di farmi spazio tra i giornalisti, fino ad avere una visione totale dei tre piloti: Michael Schumacher, Kimi Raikkonen e Robert Kubica. Il tedesco di Kerpen iniziò a parlare e tutti nella sala rimasero attoniti, sorpresi, sconvolti. «Alla fine di quest’anno, ho deciso insieme alla squadra che mi ritirerò dalle corse». Continuò. «Tutti questi anni in Formula 1 sono stati fantastici, specialmente quelli trascorsi insieme ai miei amici nella Scuderia. […] Io sono felice di far parte ancora della Ferrari». Concluse, commosso. Mi commossi anche io.

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Tutto ritornò buio, il mio corpo ebbe un sussulto quasi dovessi svegliarmi, ma ancora una volta fu un falso allarme. Mi ritrovai a Monza, sul podio, completamente rosso. Il pubblico inneggiava un nome, lo stesso nome del pilota più amato dai tifosi della Ferrari. Schumacher. Puntai il mio sguardo sui tre piloti. Mick Schumacher, sul gradino più alto del podio, aveva in mano il trofeo del vincitore e sorrideva, emozionato. Al suo fianco, Charles Leclerc, che andava a completare una magnifica doppietta rossa e, infine, particolarmente sorpresa, notai colui che era un ex pilota Ferrari, Sebastian Vettel, felice di vedere un altro Schumacher vincere. Erano tutti e tre lì: il Sogno, il Presente e l’Ex Amore. E lì, sul gradino dei Costruttori, ecco che apparve Jean Todt e dietro di lui, Luca Cordero di Montezemolo. Notai Mick scomparire per pochi istanti, per poi ritornare con delle parrucche rosse. Le porse a Jean ed a Charles e ne indossò una anche lui. I tre si abbracciarono ed il tedesco indicò qualcuno sotto il podio. Mi sporsi per vedere chi fosse ed una lacrima rigò il mio volto. Vi era Michael, con sua moglie Corinna, a festeggiare il successo di un altro Schumacher, di suo figlio.

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Aurora Loffredo

Aurora Loffredo

Appassionata di Motorsport, e in generale di sport, ho iniziato a scrivere per Multiformula ad agosto del 2020. Oltre allo sport, mi piace molto la lettura e la musica.

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