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Un tuffo nell’aerodinamica. Capitolo 4

Nella terza parte abbiamo visto gli anni delle “wing car”, vetture che tecnologicamente hanno fatto fare un enorme salto di qualità alla massima serie del motorsport, utilizzando tecniche e materiali molto avanzati per l’epoca. Tuttavia, dopo diversi incidenti fatali per alcuni piloti, la Federazione ha deciso di dare un freno a queste vetture. Grazie all’arrivo dei motori turbocompressi, il livello delle prestazioni delle monoposto si era ulteriormente alzato, così come erano aumentate le lamentele dei piloti. Per questi motivi, l’effetto suolo venne sostituito dal “fondo piatto” che andava a ridurre l’effetto deportante da sotto la vettura, per portare un maggior focus sulle ali delle vetture e sul design in sé delle monoposto.


il fondo piatto di una vettura da F1
(from:WEB.TISCALI.IT)

Il fondo piatto limitò notevolmente le prestazioni delle vetture, riducendo le dimensioni del canale Venturi, seppur mantenendo la zona dell’estrattore o diffusore posteriore in modo da consentire l’estrazione dell’aria da sotto la vettura nel modo più agevole possibile. Una delle sue caratteristiche era la “tavola” posta al centro del pavimento della vettura, che serviva a controllare attraverso il suo stato d’usura, se l’altezza minima da terra fosse stata rispettata. Nonostante la rimozione delle minigonne, non era possibile rendere l’auto più bassa di una certa altezza in quella specifica area. Il resto poteva essere diversificato da team a team in base alle proprie preferenze, sempre nel rispetto del regolamento. Le vetture dotate di questo tipo di fondo, erano delle “wing car” senza le grandi pance laterali e quindi l’aria, che prima restava all’esterno dei lati della vettura, per una naturale conseguenza della depressione, entrava sotto la vettura, riducendo ancora di più la deportanza generata.

La freccia inglese

La stagione di Formula 1 del 1983 fu caratterizzata dall’introduzione del fondo piatto, soluzione che stravolse completamente le precedenti vetture . Da ora in avanti il focus dei team sarà lavorare maggiormente sopra la vettura, ovvero creare nuove forme delle vetture e delle ali, necessarie per tenerle al suolo. In quest’occasione troveremo le cosiddette auto a “freccia”, nome che è stato dato giustamente alla loro configurazione. Infatti, se viste dall’alto sembravano delle vere e proprie punte di freccia, prima fra tutte, la Brabham BT52.


Brabham BT52 di Nelson Piquet anno 1983 (from: wikipedia)

Ciò che balzava subito all’occhio di questa vettura era la sua compattezza. Grazie ad un passo di 2860mm, una larghezza di circa 1500mm e lunghezza di poco più di 3 metri, sulla carta era una tra le più competitive di quella stagione.

Il suo telaio era realizzato in fibra di carbonio ma, a differenza di quello McLaren ad esempio, Gordon Murray progettò un telaio “misto”, cioè realizzato nella parte superiore in fibra di carbonio e nella parte inferiore in alluminio con struttura a nido d’ape, soluzione già adottata dalla Ensign (team inglese che ha partecipato dal 1973 al 1982) in occasione della stagione precedente. Esternamente la monoposto era molto diversa rispetto a quella dell’anno precedente: le fiancate erano ora molto corte con una disposizione detta “a freccia” che offriva oltre ad una bassa portanza, anche un arretramento dei pesi verso il posteriore. Inoltre, le sospensioni anteriori presentavano un nuovo schema, a quadrilateri deformabili con puntone diagonale (in inglese detto push-rod) ancorato nella parte bassa del mozzo ruota, che spingeva un bilanciere nel telaio per comprimere la molla-ammortizzatore. Questo schema le garantiva un’ eccellente stabilità e manovrabilità durante la corsa. Ciò che la differenziava da tutte le vetture che di lì in avanti avrebbero partecipato al mondiale, era il motore. In questo caso si trattava di un BMW 4 cilindri in linea con codice M12/13 soprannominato “Megatron” con una cilindrata di 1.500cc alimentato da un solo turbo compressore (configurazione simile alla prima vettura turbo in Formula 1 che era la Renault RS01 del 1977) a differenza di tutti gli altri, capace di erogare 740cv con una pressione della turbina di   3 bar in configurazione da gara ed arrivare fino a 800cv con una pressione di 3,2bar in configurazione da qualifica.

Dopo la prima vittoria al Gran Premio di Rio de Janeiro, la vettura iniziò a soffrire di problemi di surriscaldamento agli ammortizzatori posteriori, a causa della eccessiva vicinanza ai radiatori. Se da un lato queste complicanze furono successivamente risolte, dall’altro si iniziò ad utilizzare una benzina al limite del regolamento. Questo problema fu particolarmente evidenziato dalle lamentele di un esterrefatto René Arnoux. Il francese, infatti, era rimasto stupito dalla velocità della Brabham sui rettilinei, talmente elevata che nessuno riusciva ad avvicinarsi, nemmeno prendendo la scia. Alla fine risultò che quella benzina fosse effettivamente illegale, ma i metodi per il controllo di questo aspetto non erano così precisi come oggi . Dopo il Gran Premio del Sud Africa, emerse che molti altri team utilizzavano del carburante aeronautico, con un numero di ottani molto superiore al limite, ma successivamente fu regolarizzato. Infatti, il valore di ottani risultò essere entro il “limite”, senza che però venisse specificata la tolleranza di misurazione. Dopo una stagione piena di contraddizioni legate al carburante, Nelson Piquet riuscì a vincere il titolo piloti davanti ad Alain Prost. Ciò non fu sufficiente a strappare quello costruttori, saldamente in mano alle Ferrari di René Arnoux e Patrick Tambay.

L’ultimo titolo prima del gran digiuno

Poichè ho appena menzionato la Ferrari, non posso non parlarvi della vettura che ha portato a casa l’ultimo titolo mondiale, prima del digiuno che terminerà nel 1999. Stiamo parlando della Ferrari 126 C3.

 Ferrari 126 C3 di Patrick Tambay anno 1983 (from:f1sport.it)

La subentrata della 126 C2 divenne la prima Ferrari con telaio in fibra di carbonio che svolge anche il ruolo di carrozzeria, dove troviamo l’impostazione della vettura “a freccia”, le prese d’aria dei radiatori molto basse e arretrate e i veri e propri radiatori posizionati lateralmente. Questa monoposto non era estrema quanto la Brabham BT52 o la Toleman TG183. A causa di problemi di surriscaldamento, gli ingegneri Ferrari furono costretti ad usare l’impostazione delle pance più lunghe ed inclinate con i radiatori piegati a 45° in avanti come la 126 C2, conformazione che verrà ripresa anche nella vettura dell’anno dopo, la 126 C4. Come ho scritto sopra, il telaio di questa monoposto era realizzato in fibra di carbonio, ma oltre a questo materiale erano stati aggiunti anche alluminio, Kevlar e Nomex (materiali leggeri ad alta resistenza) che combinati insieme formavano due semi gusci, uniti insieme a caldo, per formare il vero e proprio telaio della vettura. L’alettone posteriore presentava dei prolungamenti laterali in alcuni punti, aggirando così la restrizione sulle dimensioni dell’ala posteriore, essendo stato concepito secondo le nuove norme, e limitando la perdita di aderenza dovuta all’assenza delle minigonne. Come la precedente monoposto, anche la C3 era dotata di un discusso sistema di miscelazione dell’acqua alla benzina da iniettare (per ovviare a problemi di surriscaldamento del motore). Dopo la ormai conosciuta diatriba sui carburanti , tale sistema, derivato dalla tecnologia dei turboreattori, fu successivamente vietato nel 1984.

La 126 C3 fece il suo esordio al Gran Premio di Gran Bretagna dove conquistò subito la prima fila in qualifica, per poi in gara vedere i suoi due piloti finire uno terzo e l’altro quinto, a causa di alcuni problemi con le gomme. In Germania i due ferraristi partirono nuovamente dalle prime due caselle dello schieramento, per poi in gara raggiungere la vittoria con Tambay, dopo i ritiri di Arnoux, Piquet e la grande crisi di Prost. Il filone positivo proseguì anche per le tre gare successive (Australia, Olanda e Italia). Purtroppo per i piloti del cavallino le ultime due gare furono fatali, in quanto né Arnoux Tambay andarono a punti. Inoltre, Arnoux vide sfumare la possibilità di lottare fino in fondo per il mondiale, a causa della rottura del motore a pochi giri dall’inizio dell’ultimo Gran Premio. Il mondiale piloti andò quindi a Piquet su Brabham,  ma la Ferrari poté consolarsi con la vittoria del mondiale costruttori, il secondo consecutivo e ultimo titolo mondiale targato Drake.

La doppia ala

La prossima vettura di cui vi parlerò è un’altra di quelle monoposto particolari che ha visto il Circus. Si tratta della vettura che vide l’esordio di una delle leggende di questo sport, Ayrton Senna. La vettura in questione è la Toleman TG183.

Toleman TG183 di Ayrton Senna anno 1983 (from:wikipedia)

Il primo elemento che saltava all’occhio era la coppia di alettoni posteriori per riuscire a massimizzare lo schiacciamento della vettura anche a basse velocità. Oltre a questo, aveva una curiosa impostazione dei radiatori, che nella prima versione (quella in foto) vennero posizionati frontalmente, creando una particolare ala anteriore. Purtroppo non fu una soluzione molto vantaggiosa, poiché ad alte velocità, il frontale della vettura risultava molto instabile e quindi gli ingegneri dovettero ripiegare verso un’ala più semplice, cambiando la posizione dei radiatori.

Il telaio era una monoscocca in fibra di carbonio con il motore usato come elemento semi-stressato. Il motore era un Heart 415 1500cc 4 cilindri in linea turbocompresso che erogava 580cv a 9500rpm accoppiato ad un cambio Hewland a 5 marcie. Le sospensioni anteriori utilizzavano lo schema pull rod, mentre le posteriori un push rod.

La stagione per la Toleman non decollò mai, complici i molteplici problemi di affidabilità del sistema del carburante e del posizionamento dei radiatori, che anche dopo essere stato risolto, non causò alcun cambiamento positivo. Ad un certo punto della stagione l’accordo di fornitura delle gomme con Pirelli fu interrotto per passare alle Michelin, senza però portare risultati.

Nicolò Galiazzo

<strong>N</strong>ato per essere un carmaniac

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