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GP Qatar: We Race as One (o quasi)

We Race as One
@LewisHamilton in Instagram

Questo week-end si correrà per la prima volta in Qatar e le polemiche delle associazioni internazionali che operano a difesa dei diritti umani hanno accompagnato l’annuncio della collaborazione decennale tra la F1 e il Qatar.

Le polemiche

Recentemente il piccolo emirato arabo è stato accusato di sfruttare migliaia di lavoratori per la costruzione degli stadi per il Mondiale di calcio del 2022. A oggi si rilevano 6.500 lavoratori morti nella costruzione dei suddetti impianti sportivi a causa delle condizioni lavorative pessime e totalmente prive di sicurezza.

Lo stato dei diritti umani in Qatar rappresenta una preoccupazione per diverse organizzazioni non governative. La legge della Sharia è la principale fonte governativa del paese ed è applicata alla lettera. Basti pensare che le punizioni corporali, come la fustigazione o la lapidazione, sono frequenti. I diritti della comunità LGBTQ+ sono praticamente inesistenti, anzi l’omosessualità è punita con il carcere. Le donne non hanno nessun tipo di libertà e la pena capitale è ancora applicata.

L’appello di Amnesty International

Amnesty International ha rivolto un appello a piloti e team, commentando la scelta di correre in Qatar:  “Non è un segreto che i paesi ricchi del Medio Oriente vedano lo sport di alto livello come un mezzo per rinominare e lavare le loro immagini pubbliche, e un Gran Premio in Qatar farebbe più o meno lo stesso. I piloti e i loro team dovrebbero essere preparati a parlare dei diritti umani in Qatar in vista di questa gara, facendo la loro parte per rompere l’incantesimo del lavaggio sportivo e della gestione dell’immagine”.

Nel corso di questa stagione è già accaduto che i piloti denunciassero il proprio disappunto per la situazione del paese ospitante la gara. È successo in Ungheria, quando Sebastian Vettel e Lewis Hamilton hanno criticato la legge contro la comunità LGBTQ+ promossa dal parlamento.

La difesa della F1

La Formula 1 ha risposto alle critiche con queste parole: “Prendiamo molto seriamente le nostre responsabilità e abbiamo chiarito la nostra posizione sui diritti a tutti i nostri partner e paesi ospitanti che si impegnano a rispettare il nostro impegno nel modo in cui i loro eventi sono ospitati e realizzati”.

I contrasti

È palese a tutti il conflitto tra le iniziate a favore dell’uguaglianza per cui si è spesa la F1 targata Liberty Media e i nuovi e, assai remunerativi, accordi con nazioni che hanno nei confronti dei diritti umani comportamenti discutibili.

A partire dal 2020 la Formula1 ha promosso la campagna “We Race as a One” con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico a temi di forte impatto sociale. Sembra quindi leggermente controsenso correre in paesi del genere sotto la scritta “We Race as One” come se niente fosse, come se fuori dal paddock gli individui non fossero praticamente privi dei loro diritti.

Riflessioni

Fa riflettere che nessuno all’interno del paddock faccia riferimento ai tanti soprusi che avvengono in questi paesi. Inoltre è assurda la positiva rilevanza mediatica, non meritata, che è concessa loro grazie al fatto che ospitano eventi sportivi mondiali.

È chiaro che il Qatar è una nazione molto ricca e che per far muovere l’enorme macchina della Formula 1 ci sia bisogno di fondi infiniti ma è davvero necessario mettere da parte l’etica e la morale a favore del Dio denaro?

Voi cosa ne pensate? Fatecelo sapere!

Multiformula

Multiformula è un blog nato nel 2020 per condividere la nostra passione per il motorsport, dare spazio a quelle categorie come le Feeder Series di cui si parla ancora poco e soprattutto abbattere i pregiudizi che si incontrano in queste categorie.

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