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Indycar e F1: modernità di un rapporto storico

Juri Vips e Marcus Armstrong saranno negli Stati Uniti nei prossimi giorni, con l’unico obiettivo di provare una vettura Indycar. Ultimamente, anche dopo la questione Colton Herta, si sta parlando sempre più spesso della massima serie americana, che da alcuni anni è vista dai giovani piloti europei come una valida alternativa alla Formula 1. Dalla Formula 1 all’Indycar

Dalla Formula 1 all’Indycar

Quest’anno, Marcus Ericsson, giunto dalla F1 dopo diverse critiche, è riuscito a vincere la 500 miglia di Indianapolis. Come lui, già dagli anni ‘90 molti piloti di F1 si sono cimentati nella Indycar; a partire da Emerson Fittipaldi e Nigel Mansell, che qui hanno portato a compimento con onore due carriere di successo.

Il debutto di Fernando Alonso alla 500 miglia di Indianapolis del 2017 ha aperto ulteriormente la strada. Infatti si è parlato molto di Indycar, al punto che alcuni hanno iniziato a considerarla una valida opzione, differente dal GT, se non si trova spazio nella massima serie mondiale.

Romain Grosjean è passato alla IndyCar nel 2021. In origine impaurito dagli ovali, adesso sembra perfettamente acclimatato, anche se manca per lui la vittoria.

Oltre a loro, in pista Juan Pablo Montoya e Takuma Sato, vincitori due volte a testa della Indy500. Poi Alexander Rossi, campione 2016 dopo l’esperienza con Marussia e Pietro Fittipaldi, apparso in F1 solo ai GP del Bahrain e di Abu Dhabi 2020.

Il ritorno all’Indycar

L’interesse per le corse a ruote scoperte americane è scemato dopo lo split del 1995, che ha portato alla creazione di due campionati paralleli: CART e IRL, abbassando di molto il livello di entrambe. Insomma, fino alla riunificazione del 2008 la reputazione di cui l’Indycar ha goduto è stata molto ridimensionata. Adesso però, complice la nuova gestione di Roger Penske, l’interesse è tornato a crescere.

In realtà il rapporto tra Indycar e Formula 1 è molto antico: nel 1950, e per 11 edizioni, la F1 ha fatto tappa regolare a Indianapolis, anche se Alberto Ascari e Juan Manuel Fangio sono stati gli unici a correre la Indy500 in quegli anni.

Negli anni ‘60 invece, Jim Clark e Colin Chapman, pilota e ingegnere Lotus F1, hanno portato avanti una vera e propria rivoluzione, capace di investire la massima serie americana: il motore posteriore. Con questo vinsero prima a Milwaukee Mile, e poi perfino a Indianapolis, costringendo tutti gli avversari ad adeguarsi. L’ultima apparizione di un motore anteriore risale infatti al 1965. Dalla Formula 1 all’Indycar
Graham Hill vinse a Indianapolis un anno dopo Clark: erano i primi due europei a vincere dopo Gaston Chevrolet nel 1920. Hill è inoltre l’unico pilota ad aver vinto la tripla corona dell’automobilismo: la 500, Le Mans e il Gran Premio di Monaco.

Particolare attenzione viene data alla famiglia Andretti: sia Mario che Michael hanno fatto la doppia esperienza, entrambi con un buon successo. Non è un caso che il loro team abbia recentemente fatto richiesta per entrare come undicesimo team in F1.

Un passaggio curioso

Se fino ad ora abbiamo parlato di storia però, scoprendo che è sempre esistito un filo rosso tra le due serie, adesso dobbiamo occuparci di attualità: perchè un pilota ben lanciato verso la F1 sceglierebbe di passare all’Indycar?

Per rispondere dobbiamo considerare diversi fattori: prima di tutto i costi, a seguire la competizione ed il clima.

I costi

Indubbiamente Alonso, Grosjean ed Ericsson hanno riportato l’attenzione sulla serie, che è diventata appetibile grazie alle ampie possibilità di correre da professionista ed alla semplicità nell’arrivarci. I team infatti non sono tenuti a schierare un numero di auto limitato e fisso per tutto il campionato, ma possono scegliere di usare da una a quattro auto per un qualsiasi numero di gare. Di conseguenza, le gare “one-off” e i part-time non sono delle novità. Questo, unito al telaio comune per tutti ed a spostamenti ridotti, consente di tenere bassi i costi, in modo che l’intera stagione costi meno di un quarto di una stagione F1

La competizione Dalla Formula 1 all’Indycar

Per quanto riguarda la competizione, difficilmente esistono anni dove il titolo è conteso tra due soli piloti. Data la base di partenza comune delle vetture, anche team con meno possibilità riescono ad essere competitivi su alcuni circuiti. Ne è prova la storia recente di Juncos Racing, che con Callum Ilott ed un’auto poco performante è riuscito più volte a restare tra i primi. Di solito i campionati arrivano all’ultima gara, sono contesi sempre da tre o quattro piloti, nel 2022 perfino da cinque! Proprio per questo, le gare sono spesso imprevedibili ed il colpo di scena può arrivare in qualunque momento. Molti piloti giunti in Indycar da altre categorie raccontano di divertirsi più che in altre gare, data la natura caotica di ogni Gran Premio.

Dalla Formula 1 all'Indycar
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L’ambiente lavorativo

Ultima questione da analizzare è il clima: mentre la Formula 1 sceglie uno stile comunicativo chiuso e controllato, gli addetti ai lavori rivelano di sentirsi liberi in Indycar, in un ambiente che riesce a mostrarsi genuino e non ha paura a mostrare quella umanità delle persone che vi fanno parte. Alcuni piloti, tra cui lo stesso Ericsson, parlano di un campionato frenetico ma con un’atmosfera tranquilla, poca pressione ed un focus più sulle corse che sulla spettacolarizzazione dei tempi fuori dalla pista. Dalla Formula 1 all’Indycar

Per concludere, adesso che la via è stata nuovamente aperta, per i giovani si tratta di scelte: la gloria o il divertimento?

Multiformula

Multiformula è un blog nato nel 2020 per condividere la nostra passione per il motorsport, dare spazio a quelle categorie come le Feeder Series di cui si parla ancora poco e soprattutto abbattere i pregiudizi che si incontrano in queste categorie.

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